31.5.07

Hollywood promuove l'Italia

“In tutto il mondo il circuito delle copie riprese abusivamente nei cinema costituisce il 90% del materiale pirata distribuito prima dell’uscita. E siamo determinati più che mai a fermare questo fenomeno”, sono le parole di Mike Ellis, direttore dell’area Asia Pacifico della Motion Pictures Association of America, associazione che al momento ha come principale obiettivo la lotta alla pirateria cinematografica, un fenomeno che solo in Italia costa 300 milioni di euro l’anno e negli USA nel 2004 ha causato perdite per 3,4 miliardi di dollari.
All'origine di qualsiasi atto di pirateria infatti c'è sempre una ripresa abusiva, i grandi studios americani lo stanno capendo e sono decisi a bloccare chi riprende abusivamente i film in sala alle prime o alle anteprime.
Per questo l'ultima idea partorita a Hollywood per preservare gli incassi dei loro blockbuster più importanti nel primo weekend nei paesi più grossi (di fatto la variabile dal peso maggiore sugli incassi) è, quando non è possibile la contemporanea mondiale, far uscire i film prima nei paesi a minor tasso di pirateria. Per questo motivo molte delle ultime pellicole americane ad alta aspettativa di incasso non escono per prima cosa negli Stati Uniti. E' stato così per Spiderman 3, sarà così per Transformers ed è stato così anche per l'attesissimo terzo capitolo della saga I Pirati Dei Caraibi, che è andato nei cinema statunitensi solo due giorni dopo l'uscita in altri paesi.
Controlli da aeroporto dunque sia alle prime che soprattutto alle anteprime per la stampa, ogni spettatore è invitato a consegnare tutte le proprie apparecchiature tecnologiche all'ingresso, dove saranno imbustate in involucri isolanti, dopodichè si passa alla perquisizione con il metal detector prima dell'entrata in sala. Una pratica che non piace al pubblico ma che, stando a quanto dichiarato da alcuni membri della security ingaggiata dalla Warner Brothers e dalla 01 Distribution, è utile oltre che efficace. A loro stessi è infatti capitato spesso a di trovare persone che avevano con sè macchine digitali o anche qualcuno seduto in prima fila che riprendeva tranquillamente il film. A scanso di equivoci poi durante tutta la proiezione gli stessi addetti che hanno compiuto le perquisizioni all'ingresso passano continuamente ai lati delle file con i visori notturni per controllare che non ci siano apparecchi in funzione.
Non sono solo le videocamere digitali infatti l’unico mezzo da usare per le riprese ma anche telefoni cellulari di ultima generazione, sufficientemente potenti e capienti da riprendere un intero film e soprattutto più facilmente nascondibili.
Tuttavia nonostante le possibilità offerte dai nuovi telefoni cellulari l’Italia non è tra i paesi a maggior rischio pirateria, anzi è uno di quelli più tranquilli in cui i blockbuster stanno uscendo per primi. I campioni in materia, oltre agli americani stessi, rimangono russi e cinesi (recentemente in polemica con il governo statunitense per la poca attenzione che dedicano alla prevenzione), perché se da noi i telefoni cellulari sono più diffusi che altrove non si può dire altrettanto della capacità di utilizzarli a pieno.
Eppure gli sforzi ancora non sono sufficienti perché a pochi giorni dall’uscita I Pirati Dei Caraibi 3 - Ai Confini Del Mondo era già disponibile in rete in diverse lingue (cosa che non ha comunque impedito al film di diventare il maggior incasso della storia del cinema con 142,5 milioni di dollari solo nel primo weekend). Questo grazie ad un rapido processo in più fasi che si fonda sulla collaborazione dei pirati di diversi paesi.
Ripreso abusivamente in un cinema di Roma il film è già in rete dopo poche ore dalla proiezione in anteprima, dopodichè i primi a che lo scaricano preparano e aggiungono i sottotitoli nella propria lingua o in quella comune (l’inglese) e lo rimettono online nelle diverse versioni sottotitolate. Infine quando poi il film esce in un nuovo paese è sufficiente registrare unicamente l’audio (cosa ancora più facile grazie a strumenti come l’iPod, i piccoli registratori o ancora una volta i telefoni cellulari) e sovrapporlo al video scaricabile in rete per confezionare subito una nuova copia con diversa sonorizzazione pronta per il download.

da LA REPUBBLICA del 31/05/07

25.5.07

Shooting Silvio: il mio film distribuito con le feste

A tutti i registi, magari esordienti e indipendenti, che lamentano difficoltà di distribuzione del loro film, che lamentano costi astronomici a fronte di incassi bassissimi e che non vedono alternative al sistema vigente, a tutti questi risponde Shooting Silvio il film di Berardo Carboni che attualmente è presente in almeno 30 città (e altre ne devono arrivare) grazie ad un sistema totalmente indipendente e low cost di distribuzione.
La promozione è consistita in una serie di espedienti il più originale dei quali (ed anche il più esportabile ad altri film) è sicuramente il sistema Cinedance, ideato dal regista stesso e da Isabelle Arnaud. Si tratta di un sistema che prevede una distribuzione a scaglioni in varie città, in accordo con una tourneé di feste ed eventi musicali. I partecipanti alle feste ricevono ognuno un coupon con il quale possono entrare gratis alla proiezione del film che comincerà ad andare nelle sale di quella città o provincia di lì a pochi giorni. Quindi l'ingresso alla festa costa più o meno quanto un biglietto cinematografico ma dà diritto a due eventi (festa e film). Il guadagno per chi organizza sta nel fatto che al cinema non si va da soli, chi ha il coupon spesso porta altri spettatori paganti, e soprattutto nel fatto che la festa fa da volano: "Per esempio a Bologna abbiamo fatto 700 persone alla festa e di queste solo 120 sono poi andate a vedere il film" dice il regista Berardo Carboni "ma l'affluenza totale al cinema è stata di 1200 persone. Le restanti quindi hanno pagato il biglietto".
In questo modo Shooting Silvio è fin'ora riuscito ad uscire in 30 città con soli 20mila euro di spesa, mentre solitamente i film più piccoli distribuiti dalle case tradizionali escono in circa 20 città con una spesa di 200mila euro e alla fine (secondo Carboni) incassano più o meno la stessa cifra. E sempre secondo il regista il suo film non ha goduto nemmeno di molti veicoli pubblicitari tradizionali, per fare un esempio cita il fatto che Cinematografo, la trasmissione di Gigi Marzullo che solitamente copre anche i film più piccoli, ha rifiutato di occuparsi di questo perchè tratta di un soggetto politico.
Tutto questo rende molto ottimista il team di Shooting Silvio sul futuro della distribuzione, anche se non mancano di rimarcare i problemi che vedono nell'attuale sistema, specialmente riguardo l'autonomia delle sale: "Anche andando a trattare con i singoli esercenti (come abbiamo fatto) rimane il problema dell'esistenza del consorzio Circuito Cinema, che gestisce la programmazione di molte sale (tra quelle votate al cinema autoriale), al punto che i pochi che si ostinano a scegliere indipendentemente che film proiettare sono costretti a subire le minacce e le ritorsioni del responsabile del circuito. Il meccanismo minatorio è semplice: 'se non prendi il nostro film quando lo diciamo noi non avrai più un film del circuito per un determinato periodo di tempo'. In questo modo chi si ribella rischia di rimanere per mesi senza film in prima visione da programmare. Quindi paradossalmente il nostro film è andato solamente nelle sale piccolissime e coraggiose e in alcuni grossi multisala che fanno cinema commerciale (e che quindi sono fuori dal giro di Circuito Cinema) a cui è piaciuto il film".
Non vuol sentir parlare di "cartello" invece Fabio Fefè, di Circuito Cinema, che invita chi fa queste accuse a fare nomi e cognomi: "Nessuno dei locali da me programmati ha mai chiesto di programmare Shooting Silvio in nessuna parte d'Italia, nè tantomeno io ho mai fatto pressioni. Non abbiamo sale sotto il nostro controllo, abbiamo quelle interamente gestite da noi (94 schermi in tutta Italia), e poi quelle per le quali decidiamo la programmazione (25 schermi), non c'è nessun cartello Circuito Cinema. Non siamo gli esclusivisti della qualità, magari lo fossimo! In una città come Roma abbiamo 30 schermi su 250, a Milano 10 su 50, e gli altri? Cinema come l'Adriano, il Barberini, l'Admiral, l'Odeon e l'Arcobaleno non fanno solo il cinema commerciale ma anche il cinema di qualità, basta guardare la loro programmazione".
Tuttavia ci sono alcuni esercenti indipendenti, cioè non legati ad alcun circuito, che hanno difficoltà a reperire film da programmare, lo spiega Fabio Amadei del cinema Farnese di Roma: "Se un film è distribuito da un qualsiasi circuito e io lo voglio proiettare non mi è possibile, anche se la legge me lo permetterebbe, e non so perchè. Se un distributore infatti vuole far seguire il suo film da un circuito sa che dovrà limitarsi alle sale programmate da quel circuito. Io semplicemente non capisco perchè a parità di disponibilità economica i distributori preferiscano una sala da 30 posti invece che una da 300, vorrei che qualcuno me lo spiegasse". Molto più deciso e secco invece il parere di Antonio Sancassani del cinema Mexico di Milano: "Circuito Cinema ha i suoi cinema con le sue case di distribuzione ed è diventato una lobby, su Milano città hanno il 90% delle sale che fanno cinema di qualità. O sei con loro e ti scelgono loro, dicendoti i film che devi fare, o te ne vai e ti arrangi e questo vuol dire cercarsi da solo i film. E io che faccio così se avessi dovuto pagare l'affitto del mio locale forse avrei chiuso".

da LA REPUBBLICA del 19/05/07

La Città Proibita tra cavi e computer

Attenta pianificazione e rigorosa divisione del lavoro
La dimensione di realtà estetizzata dei wuxiapan come La città proibita è vittima del duplice vincolo di sembrare storicamente verosimile pur presentando un mondo di irreale bellezza, un mandato che fa parte del genere fin dalle sue origini quando gli effetti speciali erano costituiti più che altro dalle impossibili evoluzioni dei protagonisti aiutati dai cavi. Ora il wuxiapan mantiene ancora forte questa sua caratteristica pur avendola integrata con effetti digitali più complessi e originali, in grado di andare più in là di una rappresentazione estetizzata della violenza.
Per questo Zhang Yimou e il regista delle scene d'azione Tony Ching hanno deciso di assumere due differenti studi di effetti computerizzati che intervenissero ognuno su una parte sola delle modifiche digitali. Due team il cui lavoro era assolutamente complementare.
Il primo, quello di Frankie Chung Chi Hang che si era già occupato degli effetti speciali di Kung fusion, era incaricato unicamente di occuparsi della rimozione in post produzione dei cavi utilizzati per tenere sospesi a mezz'aria gli attori durante le loro evoluzioni marziali e degli effetti speciali marginali, mentre il secondo, l'americano Moving Picture Co. di Angela Barton, era stato incaricato di occuparsi delle scene di massa (uno dei momenti più importanti del film). Una decisione dovuta probabilmente all'esperienza maturata dallo studio americano durante la lavorazione delle scene di massa di Troy, Alexander e Le crociate.

Le comparse digitali e gli spazi infiniti
Zhang Yimou appartiene a quella schiera di registi che non amano improvvisare e che una volta sul set hanno già in mente tutto quello che deve accadere e come deve essere ogni scena, impresa non semplice al momento di girare sequenze con 800 comparse, per questo lo studio di Angela Barton ha optato per un sistema detto di "preview", cioè tutte le scene più complesse venivano pianificate e simulate prima che si cominciasse a girare, in modo che il giorno delle riprese fosse già chiaro tutto quello di cui ci sarebbe stato bisogno e soprattutto la logistica fosse già preordinata.
"Il set era impressionante" racconta Angela Barson "Abbiamo passato la prima mattinata a camminare in giro sormontati dalle dimensioni del tutto. Poi abbiamo dovuto misurare e fotografare il set per poterlo poi ricreare al computer. Cosa che da sola è stata un lavoro infinito".
L'obiettivo di Yimou era dipingere due armate di porporzioni epiche che si scontravano l'una contro l'altra e poi la disperazione dell'armata ribelle nel momento in cui viene intrappolata tra due fronti e quindi annullata. Per fare questo erano necessarie panoramiche molto ampie che riprendessero le 800 comparse assieme a tutto lo spazio vuoto da riempire con i loro cloni digitali. L'area in questione misurava quanto svariati campi da calcio, per questo alla fine, sempre stando ad Angela Baron, l'effetto è necessariamente artificiale: "Alcune immagini sono così ampie che è ovvio che si tratti di computer grafica. Anche se poi i nostri soldati digitali si mischiano perfettamente con le comparse reali".

La parte più tradizionale del wuxiapan: i cavi
Il reparto rimozione cavi di Frankie Chung Chi Hang invece ha avuto altro di cui lamentarsi, perchè Tony Ching, il regista delle scene d'azione, abbonda nell'uso di cavi e nel loro intreccio, inoltre nell'ottica di un maggiore realismo del film le frecce (chiaramente digitali) dovevano essere molte più di quanto preventivato e dovevano essere usate a più d'una alla volta per colpire le vittime. Dunque un lavoro meno creativo e più manuale, lungo e rognoso.
La sequenza più impegnativa a tal proposito, nonchè poi una di quelle dotate del maggior impatto visivo, è stata quella degli assassini che si calano nella vallata di notte. Innanzitutto per il complicato lavoro di rimozione cavi e secondo perchè ai veri assassini che erano in primo piano (tenuti in aria dai soliti cavi) andavano affiancati quelli digitali nello sfondo senza che si percepisse la differenza tra ciò che è vero e ciò che è finto.

da MYMOVIES.IT

Net Tv, ma dove stiamo andando?

Roma - La Net Tv non ha nulla a che vedere con il viral video o il video sharing più amatoriale, ma è l'insieme dei contenuti di natura televisiva distribuiti in rete, cioè concepiti con un'idea in testa, di breve durata e rilasciati con formule di podcasting su diverse piattaforme. La Net Television infatti usa internet come antenna e il pc come un telecomando ma poi l'interfaccia è molteplice.

Sono questi alcuni dei concetti su cui Tommaso Tessarolo, guru italiano della net television e blogger di lungo corso, ha costruito il suo volume NET TV - Come internet cambierà la televisione per sempre, che questa sera sarà presentato in un singolare evento a Roma, un testo che si propone di dare conto di come la realtà della diffusione del video in rete stia cambiando e sia destinata a cambiare il modo in cui fruiamo degli altri media nonché il modo in cui vengono prodotti i contenuti.

Ora che la Net Tv è una realtà che comincia a manifestarsi, attirando sempre più anche i grandi broadcaster, Tommaso intende iniziare ad ordinare le idee sul video in rete. Poco prima della presentazione ufficiale del libro nell'evento di questa sera, Punto Informatico ha scambiato quattro chiacchiere con l'autore, per capire meglio la sua visione del futuro della tv su internet.

Punto Informatico: Qual è stato l'evento, il fatto più significativo negli ultimi tre anni per quanto riguarda la Net television?
Tommaso Tessarolo: Sicuramente la nascita di YouTube, perché ha diffuso il concetto di video distribuito in rete anche a livello mainstream. Ha avvertito l'opinione pubblica del fatto che era effettivamente possibile vedere video online.

PI: Tracci un confine molto netto su cosa sia Net Tv e cosa no. Ma l'IPTV in che categoria rientra?
TT: In tutto questo insieme di tecnologie, l'IPTV si configura malissimo per molte ragioni, la prima delle quali è che l'IPTV non è una tv via internet. Viene sempre venduta come tv via internet ma non è vero, è una cable tv, perché devi essere abbonato ad Alice, a Fastweb o a Tiscali per vedere quel tipo di contenuti, sostanzialmente non è aperta, non dà accesso a chiunque, ma sottostà alle regole del palinsesto. L'unica cosa che ha in comune con la Net Tv è che dà accesso alle library di contenuti e ai videoregistratori remoti.

PI: E i videoblog?
TT: I vlog sono assolutamente contenuti di tipo Net Tv perché seriali e in podcasting. E hanno soprattutto un'altra caratteristica tipica della tv in rete: non avendo l'incubo di essere profittevoli si concentrano su nicchie di utenza e lo fanno con apparecchiature proamatoriali, cioè telecamere da 1500 euro e PC con software di montaggio video.

PI: Al momento cosa ti piace seguire di quello che esce in rete?
TT: Seguo poco perché ho poco tempo, però mi guardo volentieri Rocketboom, Newsreel, Wallstrip e PromQueen.

PI: Il futuro è in streaming o on demand? Probabilmente avremo entrambi i modi di trasmettere ma cosa secondo te è destinato a prevalere?
TT: Una caratteristica fondamentale della Net Tv è che il pubblico (anche quello televisivo classico) preferisce sempre di più la fruizione non lineare del contenuto. La televisione classica è quella di flusso (streaming) che prevede che tu sia presente davanti allo schermo ad una certa ora, e questa sta perdendo ascolti (la tv stessa infatti perde ascolti) e là dove sono diffusi i videoregistratori con hard disk il consumo di tv in differita sta crescendo in maniera esponenziale. Credo che lo streaming andando avanti avrà sempre più senso solo per gli eventi che hanno necessità di essere visti in diretta, come lo sport e le news.

PI: Secondo te lo standard tecnologico di trasmissione attuale è adatto a reggere trasmissioni future?
TT: Sì, secondo me è una tecnologia più che matura. Ci sono solo due problemi ancora da risolvere: i DRM, in futuro la maggior parte dei contenuti probabilmente saranno gratuiti e si reggeranno sulla pubblicità ma purtroppo i DRM saranno molto presenti per ancora molti anni almeno finché non troviamo un modo per renderli interoperabili, e questo è un segno di immaturità. E poi i formati video, perché se faccio un podcast in Wmv non lo posso vedere sull'iPod. Non a caso Adobe sta spingendo tantissimo su Flash come codec video universale.

PI: Quanto credi nel crowdsourcing? Davvero le produzioni dal basso saranno quello di cui fruiremo?
TT: Credo ci sarà una mescolanza tra le due cose, anche Chris Anderson sostiene che non può esistere la coda lunga senza le Hit. Le Hit sono il fattore trascinante per qualunque tipo di nicchia, se non ci sono fattori forti è impossibile avere il resto della coda. Le produzioni classiche continueranno ad esistere e saranno fortissime, pur cambiando le modalità produttive e distributive e forse anche i format (più brevi e interattivi), ma la grande fetta della torta sarà comunque costituita dalla coda, la cui grandezza è imprevedibile ma già oggi sappiamo che può essere dal 30 al 60% del totale.

PI: Ci sono possibilità per le idee che si basano sullo standard torrent? Anche per lo streaming intendo...
TT: Non per il momento, il p2p ha una latenza ampia (più di 5 minuti) per cui non può essere usato per trasmettere una partita ma più che altro roba tipo i reality.
A parte questo però credo che il Peer to Peer verrà usato per qualsiasi tipo di contenuto, e secondo me sarà usato sempre di più. Joost o BabelGum (che comunque non trasmettono live) usano infatti i protocolli torrent per distribuire clip video anche in modalità lineare. iTunes presto o tardi monterà il p2p perché è un modo efficiente di distribuire. Per la trasmissione live invece c'è roba come Coolstreaming e Octoshape, ma avranno una portata marginale perché, ripeto, la diretta servirà solo per eventi marginali.

da PUNTO INFORMATICO del 25/05/07

17.5.07

Il primo film hollywoodiano girato senza pellicola

Il cinema è ancora cinema anche senza il ciak e senza il regista che grida "Motore.... Azione!"? Si. Lo dimostra "Zodiac", il film di David Fincher che è stato, non solo realizzato interamente in digitale come già altri film in precedenza, ma anche pensato, strutturato e concepito fin dal sistema di lavorazione in una maniera diversa in grado di sfruttare tutti i possibili vantaggi della mancanza di celluloide.
La presenza di capienti dischi rigidi al posto delle pizze piene di pellicola (sia essa digitale che analogica) sul set di "Zodiac" ha fatto sì che non fosse necessario alcun ciak prima dell'inizio delle scene e che il regista non dovesse gridare "STOP!" per interrompere la macchina da presa, perchè il digitale non è una risorsa da risparmiare. Le memorie sulle quali vengono registrate le immagini riprese dalla cinepresa digitale (in questo caso non la solita Genesis della Panavision ma la Thomson Filmstream Viper già usata da Michael Mann) non sono costose come la (costosissima) pellicola, sono molto più capienti e inoltre (per espressa volontà di David Fincher) integrareno un sistema che consente di cancellare immediatamente il materiale di scarto.
A questo punto non c'è alcun bisogno di interrompere la registrazione ogni volta che una scena deve essere ripetuta, si può continuare a registrare senza sosta. Così si annullano i tempi morti, le pause, i cambi di pizza e i momenti di estraniamento degli attori dalla loro prestazione, al punto che Robert Downey Jr. (uno dei protagonisti del film) a questo proposito ha commentato che non si era mai trovato a dover stare così tanto in piedi.
La scomparsa del ciak invece è tutto frutto di un'idea di Fincher che, avendo già lavorato con il digitale per la regia di molti spot pubblicitari, aveva calcolato quanto l'utilizzo di questo sistema costasse in termini di tempo e risorse. La procedura infatti prende almeno 10 secondi ogni volta, che, moltiplicati per le circa 300 riprese effettuate quotidianamente possono accumularsi fino a costare anche mezz'ora di girato superfluo ogni giorno. A rendere superfluo questo girato è appunto "l'auto-slate", l'idea di Fincher per identificare e marcare le scene senza il ciak: si tratta di un segnale visivo inseribile dalla cinepresa nei primi 5 fotogrammi di ogni scena e che fornisce le medesime informazioni del segnale fisico del suo predecessore fisico, il ciak è già nel girato.
Queste evoluzioni sono parte della rivoluzione del cinema girato in digitale che si sta facendo strada lentamente a Hollywood grazie a pionieri come Fincher, Lucas, Rodriguez e Michael Mann. Si tratta di un modo di girare film tecnicamente diverso che ha ripercussioni forti sul risultato finale, una serie di potenzialità nuove che ogni autore sperimenta a seconda di ciò che più rientra nelle sue corde. Il notturno e malinconico Mann con "Collateral" e "Miami Vice" ha dimostrato che le nuove tecnologie di ripresa, consentendo di girare con pochissima illuminazione, rendono possibile una visione completamente differente della notte, più reale perchè illuminata dai lampioni veri e non dalle luci del set. Mentre il maniaco della recitazione Fincher con le sue idee ha messo a punto un sistema che gli ha consentito di portare alle estreme conseguenze il suo metodo di direzione degli attori.
Raccontano infatti gli stessi protagonisti di "Zodiac" come girare in questo modo fosse molto diverso e come cambi il modo in cui ci si relaziona con il regista e con il set. Fincher spesso entrava in campo durante una scena per dare indicazioni e poi ritornava dietro la cinepresa senza che ci fossero interruzioni, era un flusso continuo di recitazione. Cosa che ben si adatta al metodo del regista di Seven e Fight Club, noto per la sua maniacale attenzione alla recitazione e per la sua esigenza di far provare anche 80 volte una scena prima di considerarla "accettabile". Lui stesso ha avuto modo di spiegare più volte come consideri le prime 20-30 ripetizioni di una scena utili unicamente a liberare gli attori dalla loro impostazione fasulla, e solo quando hanno perso questa prima barriera si può cominciare a provare davvero una scena.

da IL SECOLO XIX del 17/05/07

11.5.07

Le Colline Hanno Gli Occhi 2 recupera le tecniche horror vecchio stile

Il cinema dell'orrore dopo la rivoluzione digitale
L'horror è uno dei generi che per eccellenza non può fare a meno degli effetti speciali. Fin dalle sue origini è stato terreno di sperimentazione per le tecnologie del cinema poichè si nutre dell'esigenza di mettere in scena ciò che nella realtà non esiste e Le colline hanno gli occhi 2 (come già Le colline hanno gli occhi prima di lui) si adopera per rispolverare le tecniche basilari del genere con l'obiettivo di mettere in scena la violenza di un straordinario quotidiano.
Quello che è accaduto con le tecnologie digitali infatti è stato che i film horror hanno fatto un salto in avanti mostruoso nei termini di ciò che potevano mostrare, cosa che tuttavia non è corrisposta ad una necessaria evoluzione delle idee. Spesso la computer grafica è stata usata come una bacchetta magica in grado di risolvere qualsiasi situazione senza che ci fosse però una concreta idea di cinema sotto.

Un horror si nutre di crudezza
In questo caso però trattandosi di un remake di un film del 1977, e ora del suo sequel, molto è stato fatto per ricreare le atmosfere originali di una pellicola concepita per non avere bisogno di effetti digitali, così anche per queste produzioni moderne ci si è appoggiati soprattutto a trucchi, cavi invisibili, effetti sonori, giochi di luce ecc. ecc.
I due registi, Alexandre Aja prima e Martin Weisz dopo, hanno rinunciato a tutte le componenti estetiche della violenza, tutto quello che per esempio ha costituito il cuore di 300. Non è stato infatti neanche in discussione l'utilizzo di tecniche come ad esempio il sangue digitale, poichè ben poco doveva esserci di stilizzato, tutto doveva essere il più concreto possibile. Infatti là dove le tecnologie digitali aiutano a creare una dimensione visiva onirica, l'uso di trucchi dal vivo (come il liquido rosso per simulare il sangue) restituiscono allo spettatore il senso di "orrore" e di brutalità della violenza.
E la scelta corretta che è stata fatta in queste due pellicole è stata appunto di puntare molto sul senso di orrenda brutalità. Se il sangue digitale con le sue esplosioni irreali è una metafora del sangue vero, un suo corrispettivo estetico, il sangue simulato dal vero azzera il simbolismo.

Lo studio delle vite dei mostri
Questo ritorno alle origini però non leva che ormai la tecnologia ha penetrato le fondamenta della struttura produttiva e nulla può essere come prima. Accade quindi che lo zampino del computer ci sia anche per le cose che meno ci si aspetta. Anche in una delle componenti fondamentali per la riuscita del film: il trucco dei "mostri", i deformi che abitano le caverne.
Come è tipico di Hollywood i truccatori hanno lavorato con una metodicità rara, ricostruendo per ognuno dei personaggi deformi la sua storia personale con il solo scopo di crearli con più accuratezza, senza cioè che queste storie vengano poi narrate nel film. Servono solo a capire il personaggio per creare meglio la maschera.
Come sono le parentele nel gruppo di deformi, chi sta in combutta con chi e chi si distacca dal gruppo e per quale motivo. Come mai alcuni hanno deformazioni diverse dagli altri e questo come influisce sul loro carattere e sulle loro azioni ecc. ecc.

Il trucco tra computer grafica e modelli
Quando si passa invece alla vera a propria fase di creazione del trucco tutte le creature vengono innanzitutto modellate e disegnate in 3D al Photoshop, in modo da poter sapere ancora prima di cominciare come sarà il lavoro finito e avere un'anteprima sull'effetto che potrà dare l'attore una volta truccato. Poi dai modelli tridimensionali vengono fatte delle stampe dei volti ottenuti e alla fine queste stampe sono unite ai calchi delle teste degli attori. In questo modo è possibile capire come far combaciare al meglio trucco e volto prima ancora di cominciare a sperimentare sugli attori, aumentando la qualità del risultato e risparmiando tempo.

da MYMOVIES.IT del 10/05/07

Spiderman 3: emozionare con gli effetti speciali

Innovare per non annoiare
"Che cos'è che non ho ancora mai visto?" è quello che, per sua stessa ammissione, si chiede ogni volta Sam Raimi quando si tratta di sviluppare qualcosa di totalmente originale, ma il punto è che spesso se qualcosa ancora non si è vista è perchè non esiste la tecnologia per realizzarla, "ecco perchè in quasi tutti i casi gli effetti di Spiderman 3 sono frutto di tecniche assolutamente nuove". Tecniche e non tecnologie, dosa bene le parole il regista della saga dell'Uomo Ragno, infatti uno dei diktat di ogni film di Raimi è che agli effetti computerizzati siano sempre affiancati effetti "reali", prestazioni da parte degli attori o di stuntmen aiutate dalla tecnologia.

L'Uomo Sabbia, miliardi di granelli per un attore solo
Esemplare da questo punto di vista è stata la realizzazione e l'animazione dell'Uomo Sabbia (di gran lunga lo sforzo più imponente da parte della produzione) che ha richiesto per prima cosa la creazione di nuove tecnologie apposite. Di software in grado di gestire l'animazione di migliaia di particelle contemporaneamente infatti già ne esistevano, ma quello che era necessario in questo caso era un software in grado di gestire miliardi di particelle, per poter animare nel modo più realistico possibile i granelli di sabbia di cui è composto il personaggio. E' stato necessario dunque creare dal nuovo tutta una serie di programmi che potessero gestire una simile mole e tipologia di dati diversi. E quella è stata solo la base! Il duro è venuto dopo.
Infatti la sabbia è un materiale molto particolare, i singoli granelli si comportano a tutti gli effetti come dei solidi mentre quando sono insieme il loro movimento e le loro reazioni ricordano più quelle dei liquidi. Per poter quindi far muovere l'Uomo Sabbia in maniera realistica, calcolando le diverse forme e solidità che il suo corpo può assumere, sono stati necessari diversi mesi di studio preliminare della sabbia: "Dovevamo comprendere innanzitutto come si muove la sabbia e solo successivamente elaborare le equazioni matematiche che ci avrebbero consentito di sapere come manipolarla" sono state le parole con cui il produttore Avi Arad ha raccontato questa fase della lavorazione.
Studiare la sabbia ha voluto dire realizzare una lunga serie di riprese con la sabbia come protagonista: sabbia lanciata in aria, lanciata contro il bluescreen, o sullo sfondo di uno schermo nero, sabbia spruzzata addosso ad uno stuntman e via dicendo per elaborare tutte le possibili azioni che la sabbia avrebbe compiuto nel film e capirne le reazioni.
E mentre un team di animatori studiava accuratamente il comportamento dei granelli un altro si occupava di animare il personaggio, tenendo sempre presente che questa animazione avrebbe poi dovuto fare i conti non solo con l'altra (quella dei granelli di sabbia) ma soprattutto con Thomas Haden Church, l'attore che avrebbe vestito i panni dell'Uomo Sabbia. L'animazione del personaggio e quella della sabbia infatti sono solo il contorno necessario a mostrare il dramma umano del personaggio, dramma che parte e finisce tutto nella prestazione dell'attore: "Anche se è soltanto un mucchio di sabbia, l'Uomo Sabbia è un personaggio con delle emozioni" osserva Scott Stokdick, il supervisore agli effetti speciali "se questi granelli messi assieme comunicheranno qualcosa al pubblico, allora vorrà dire che siamo riusciti nel nostro intento".

L'Uomo Ragno nero, dark anche nei movimenti
Mentre le evoluzioni dell'Uomo Sabbia acquistano di elaboratezza lungo tutto l'arco del film, raggiungendo punte stupefacenti di evidente complessità, in pochi invece noteranno come l'animazione dell'Uomo Ragno non sia la medesima per tutto il film. Uno dei punti di forza fin dal primo episodio della serie è infatti l'accurata animazione delle evoluzioni ragnesche, sia nel volo tra i grattacieli che durante i combattimenti, in questo terzo episodio però è stato aggiunto un elemento in più di raffinatezza.
Per una certa parte del film Peter Parker è posseduto da un simbiota alieno nero che ne amplifica i poteri ma lo rende anche più aggressivo e cinico. Questo cambio di umore e atteggiamento non si riflette solo nelle decisioni e nelle interazioni con gli altri personaggi ma anche nell'animazione. Spencer Cook, responsabile dell'animazione che è stato personalmente incaricato di operare le piccole modifiche nei movimenti ragneschi che riflettessero la maggiore aggressività, spiega come "Spiderman [nero] si muove con maggiore rapidità, inarca le spalle un po' di più e quando è appeso ad un muro solleva i gomiti un po' più in alto. Abbiamo cercato di immaginare movimenti che il solito Spiderman non farebbe: lì dove il supereroe con il costume rosso è elegante e aggraziato, l'Uomo Ragno tutto in nero è brusco, violento e avventato".

Venom, parte umano e finisce interamente digitale
Una volta lasciato l'Uomo Ragno il simbiota alieno prende possesso di Eddie Brock dando vita a Venom, un personaggio nuovo che solo inizialmente somiglia al protagonista del film ma che con il lento prendere il sopravvento della personalità senza scrupoli dell'organismo ospite diventa un'entità autonoma. Venom è uno dei personaggi più attesi dai fan del fumetto, un cattivo diventato subito un cult tra gli appassionati, portarlo sullo schermo voleva dire confrontarsi con aspettative molto alte. Per questo il personaggio è stato curato seguendo due linee di realizzazione corrispondenti alle due anime del personaggio. Inizialmente infatti Venom è una sorta di sosia di Spiderman, ma con il procedere della trama gli interventi digitali si fanno sempre più insistenti fino a che alla fine Venom non ha più nulla di umano ed è un personaggio animato interamente in computer grafica.

da MYMOVIES.IT del 03/05/07

iTunes? Un sistema obsoleto

Roma - Il mondo della distribuzione musicale in rete non è un'esclusiva di Apple e del suo iTunes e nemmeno delle molte altre società che tentano di rosicchiare fette di mercato (da Microsoft a Napster, da eMusic a RealNetworks). C'è tutta un'altra dimensione della musica scaricata legalmente che è quella della musica rilasciata sotto licenza Creative Commons, una tendenza che fu inaugurata ufficialmente qualche anno fa da Wired quando fece un party per pubblicizzare l'iniziativa di un CD di musica in CC (con pezzi di artisti del calibro di David Byrne e Gilberto Gil) dato in regalo con la rivista.
Si tratta di un sottobosco sempre più ricco, fondato sulla libertà di riutilizzo e su "some rights reserved", per costruire un business diverso, più libero, equo e in linea con le tecnologie (il digitale e la rete) cui si appoggia. Musica distribuita senza DRM e senza vincoli tecnici di alcun tipo, venduta a prezzi variabili e liberamente scambiabile, in virtù di un modello di business che si fonda sullo svincolo da ogni tipo di intermediazione tra chi distribuisce e l'artista. Le due entità (a seconda dei contratti e dei siti in questione) dividono le entrate provenienti da passaggi in radio o acquisti in rete e l'utente ci guadagna in musica totalmente libera.

Sui limiti e i pregi di un tale approccio abbiamo sentito Juan Carlos De Martin, professore associato presso la Facoltà di Ingegneria dell'Informazione del Politecnico di Torino e responsabile italiano del progetto Creative Commons.

Punto Informatico: Il modello di distribuzione musicale in CC è un business appetibile? Intendo anche per le grandi etichette
Juan Carlos De Martin: Le possibilità sono due: mettere la musica online, cosa che favorisce la vendita di CD (come mettere un libro online può favorire la vendita del libro cartaceo) oppure (come diceva David Byrne un paio di mesi fa) capire che la musica è di per sé gratuita e dovrebbe servire a reggere tutta una serie di business collaterali da cui viene il guadagno per gli artisti.

PI: Cioè il disco come veicolo promozionale?
JCDM: Sì. Il disco deve essere propedeutico all'acquisto del biglietto del concerto o del merchandising, del contatto con l'artista tramite fan club a pagamento e cose del genere. Modelli che qualcuno sta cominciando a provare ma che chiaramente ci vorrà del tempo prima che si stabilizzino. Bisognerebbe rigettare la vecchia idea per la quale è necessario spingere le vendite di CD per abbracciarne una dove la musica è solo un modo per stimolare gli appassionati a spendere i loro soldi in attività collaterali.

PI: Ma un simile modello non dovrebbe essere la soluzione più conveniente per musicisti che fanno generi di nicchia e già guadagnano principalmente dai concerti?
JCDM: Sì, è quello che pensano molti. È la stessa cosa per i libri, un libro accademico che diciamo vende 200 copie in tutto il mondo che senso ha che sia a pagamento? Ci guadagna solo l'editore. Perché invece non metterlo a disposizione di tutti in Creative Commons in modo che la diffusione sia massima? Questo si può declinare in tutte le dimensioni dell'industria culturale e quindi anche alla musica popolare, perché un compositore di classica non può certo vivere facendo concerti...

PI: In Italia ci sono esempi validi?
JCDM: Beh, music store internazionali come Jamendo hanno anche una sezione in Italia, ma di altre attività di ordine commerciale non ho notizia. Ci sono però molte etichette indipendenti e quindi molti artisti che hanno rilasciato la loro musica in Creative Commons.

PI: Eppure ancora non si sente di nessun musicista noto (anche di un ambito di nicchia) che abbia intrapreso questa strada....
JCDM: I grandi nomi ci stanno ancora pensando ma per il momento non si sono ancora mossi. Del resto sono anche passati solo quattro anni dalla creazione dei Creative Commons, siamo all'inizio. A tutt'ora esistono degli ambiti in cui tutti sanno di che si tratta e come funzionano e ambiti in cui nessuno ne ha sentito parlare. Passare da un modello all'altro è una cosa che richiede solitamente almeno una generazione.


Jamendo e Magnatune sono due dei più grossi music store mondiali dove acquistare e distribuire musica con licenza Creative Commons, vendono musica senza DRM scaricabile liberamente e retribuiscono gli artisti senza l'intermediazione di etichette o distributori.
Hanno un rapporto diretto sia con i clienti che con i musicisti e danno vita (per chi vuole aderire a questo tipo di distribuzione) ad un commercio il cui primo obiettivo è far girare e ascoltare la musica mantenendo alcuni diritti fondamentali: attribuzione (l'utente deve sempre nominare l'autore originale), non commerciabilità (l'utente non è autorizzato ad usare il lavoro dell'artista a scopi commerciali, senza prima chiedere il permesso), nessun lavoro derivato (l'utente non può alterare, trasformare o prendere il lavoro dell'artista come spunto per il proprio, senza prima chiedere il permesso), condivisione allo stesso modo (se un utente altera, trasforma o prende il lavoro dell'artista come spunto per il proprio, deve distribuire quest'ultimo sotto la stessa licenza).
Jamendo ha diverse sezioni sparse in vari paesi (Italia compresa) e da quando è in piedi (2005) ha distribuito legalmente almeno un milione di album attraverso la tecnologia di BitTorrent e quella di eDonkey (anche se per quest'ultima è più difficile il tracciamento e quindi non è chiaro quanto materiale sia stato scaricato). L'ascolto e il download degli oltre 2.800 album in archivio è gratuito ed è possibile fare una donazione agli artisti a discrezione dell'utente.
Magnatune invece nasce nel 2003 e propone l'acquisto a prezzi che variano a discrezione del compratore dai 5 ai 18 dollari per album. Applica un modello di business per il quale ognuno dei 175 artisti che hanno scelto di appoggiarsi al servizio ha diritto al 50% di tutti i proventi che vengono dalla loro musica, sia che si tratti di acquisto, sia che si tratti di darla in licenza per scopi commerciali ad altre realtà.
Abbiamo sentito Laurent Katz, CEO di Jamendo e John Buckman, CEO di Magnatune, sui medesimi argomenti per capire dove stia andando il mercato della musica in CC.

PI: È possibile immaginare un business musicale che preveda la distribuzione in CC come standard?
John Buckman: È sbagliato pensare ad un solo scenario possibile per il business musicale. Per il futuro vedo molti differenti tipi di modelli, dai più antiquati come iTunes (dove compri un album dalle etichette musicali) fino alla musica comprata direttamente dai musicisti e ai servizi che ti offrono musica gratis. All'interno di questa moltitudine di alternative la musica in CC troverà sicuramente il suo modo di vivere.
Laurent Katz: La musica gratuita è già uno standard per la generazione tra i 15 e i 25 anni, ma raggiungerà quote sostanziali di mercato nei prossimi anni, come ha fatto il free software nel suo settore negli ultimi 20 anni (ma speriamo che la musica ci metta meno). Questo poi non vuol dire che un artista non trovi altre fonti di guadagno oltre alla musica in sé.

PI: Cosa offrono di vantaggioso ad un musicista i Creative Commons? Intendo ai grossi artisti
JB: Artisti come Madonna vendono la loro musica in molti modi di cui il CD è solo un esempio. Condividere la tua musica amplia la platea di ascoltatori, cosa che ti dà la possibilità di fare più soldi.
LK: Musicisti come Gilberto Gil, Pearl Jam, Beasty Boys già usano i Creative Commons per una certa parte del loro catalogo perché gli conviene.

PI: Come vanno gli affari? Ci sono musicisti da voi distribuiti che guadagnano abbastanza da viverci?
JB: Magnatune è solo una parte della carriera di un artista, noi contribuiamo alla loro sopravvivenza ma non li manteniamo in vita.
LK: No. Ricevono soldi ma non intendono vivere con questi introiti.

PI: Ci sono grossi player del mercato che si sono interessati a quello che state facendo?
JB: Ricevo con cadenza regolare chiamate dalle principali etichette e dai loro musicisti più importanti che sempre di più vedono calare le loro vendite e sono stufi di venire pagati poco per quanto vendono. Nel mondo delle grosse etichette sanno bene che il loro business sta morendo e stanno cercando delle alternative.
LK: Sì. anche se non posso rivelare altro.

da PUNTO INFORMATICO del 11/05/07

7.5.07

Robocani romani più forti di spagnoli e portoghesi

Roma - L'Italia ha vinto sulla Spagna e il Portogallo. O, meglio, i robot programmati dalla squadra italiana dell'università La Sapienza hanno vinto contro gli omologhi provenienti da Spagna e Portogallo. Si tratta del risultato del triangolare di Robo Soccer che è stato l'evento centrale del RomeCup2007, il primo trofeo internazionale città di Roma di robotica.
L'evento si è svolto nella sala Protomoteca del Campidoglio, e a margine del triangolare ha visto anche gli automi progettati da istituti tecnici di tutta Italia sfidarsi in diverse discipline che ne hanno messo alla prova le peculiarità. Alcune mettevano a dura prova i sensori di movimento, altre quelli per la rilevazione e l'analisi di gas e altre quelli visivi.

I robot che si sono sfidati a calcio invece sono automi a forma di cane, i modelli che fino a poco tempo fa Sony aveva in commercio, dotati di sensori visivi e di un collegamento in rete che consente loro di comunicare e coordinarsi per attuare strategie di gioco e raggiungere un obiettivo. Quattro contro quattro, i cani robot hanno occupato un campo di calcio di sei metri per quattro senza il minimo aiuto del team che li ha programmati, che era lì solo per vedere come si comportavano le proprie creature.
Questo triangolare è stata una manifestazione amichevole e promozionale messa in piedi da Fondazione Mondo Digitale, le vere gare si sono già svolte in altre sedi e hanno qualificato l'Italia (lo stesso team che ha vinto questo triangolare) ai mondiali di Robo Soccer che quest'anno si terranno ad Atlanta in America.

Punto Informatico, presente alla manifestazione, ha scambiato quattro chiacchiere con Daniele Nardi, professore di Intelligenza Artificiale presso la facoltà di Ingegneria della Sapienza, e Luca Iocchi, ricercatore e team leader della squadra vincitrice.

Punto Informatico: Questa di oggi era solo un amichevole ma tra poco partirete per l'America...
Daniele Nardi: In realtà è la squadra che stiamo organizzando da qualche anno con Ingegneria che gareggerà in America. È una squadra fatta da studenti e coordinata da me e da un collega ricercatore, mentre i dottorandi fanno da coordinatori. Ma la parte di programmazione la svolgono gli studenti dei corsi di laurea e della specialistica. Il team comprende una decina di persone.

PI: Gli studenti quindi ci lavorano nel tempo libero?
Luca Iocchi: Fa parte del loro curriculum scolastico, quindi colgono l'occasione di tesine, di corsi di progetto oppure lo fanno come stage finale di primo livello o come tesi di laurea. Si cerca insomma di portare questo lavoro all'interno delle attività accademiche anche per applicare ciò che viene insegnato nei corsi.

PI: Come è organizzato il lavoro?
DN: Lavoriamo in un ambiente di sviluppo abbastanza sofisticato che consente di programmare sia la parte di movimento che quella di percezione e anche poi un sistema di comunicazione attraverso il quale i robot si coordinano. I limiti imposti dalle regole del torneo sono legati unicamente al fatto che si è vincolati all'utilizzo della piattaforma data. È un ambiente disponibile in rete, si chiama SDK.
LI: Ci sono varie parti del codice che vanno sviluppate e lo facciamo a gruppi, c'è chi si occupa di visione, chi di localizzazione, chi di azione. Tutto in un ambiente C++.

PI: Su cosa lavorerete tra oggi e luglio?
LI: Beh, migliorerei i comportamenti di tiro, perché spesso anche in situazioni favorevoli i robot hanno ritardato troppo a prendere decisioni.

PI: Chi sono i più forti al mondo?
DN: Dipende dal tipo di gare ma è una questione legata alla disponibilità di risorse umane e finanziarie per portare avanti i progetti di ricerca. I tedeschi e gli americani investono più in ricerca degli italiani e quindi vanno meglio ma non si può fare un paragone come nel calcio. Da noi tipicamente è più difficile fare ricerche che necessitano di un laboratorio e spese relative a materiali.
LI: I tedeschi e gli australiani. Anche perché spesso queste partite sono simili al rugby: può essere più conveniente portare la palla in porta anziché tirare da lontano, le abilità di tiro di questi robot non sono eccezionali.

PI: Qual è la parte più sofisticata di questi robot?
DN: Ci sono diverse componenti sviluppate a livello dello stato della ricerca corrente quindi non c'è una parte più difficile e una meno. Certamente, per questo tipo di robot l'aspetto di percezione è quello con i maggiori limiti. Cioè la conoscenza che il robot riesce ad avere sulle situazione del gioco e su cosa stanno facendo i compagni è la parte più complessa.
Una componente è la percezione delle immagini e poi l'altra, quella più propriamente di intelligenza artificiale consente di prendere decisioni che non siano semplicemente reazione ad uno stimolo ma che comportino una parte di analisi della situazione e scelta dell'azione da svolgere.

PI: Quali possono essere le applicazioni pratiche delle tecnologie sviluppate per queste gare?
DN: Una delle tecnologie fondamentali forse è il sistema di visione, che di sicuro è quello in cui la trasferibilità è più immediata. Può essere applicato a sistemi di sorveglianza o controllo degli ambienti.

da PUNTO INFORMATICO del 07/05/07

1.5.07

La Legge Del Desiderio (musicale)

L'anno zero è stato il 2001, da quel momento il mercato musicale è entrato in una fase di crisi e conseguenti mutazioni che non accenna a fermarsi. Una mutazione determinata in gran parte dall'effetto che ha cominciato ad avere da quell'anno la pirateria informatica di brani musicali.

Si dice sempre che le cose cominciano a muoversi solo quando ci sono in ballo grandi interessi, in questo caso la pirateria musicale è stata e continua ad essere (ora è affiancata dalla pirateria cinematografica, ma quello è proprio un altro discorso!) il primo elemento capace di catalizzare l'attenzione di società, istituti legali e intere nazioni su internet. Il danno economico che internet sta provocando alle grandi major è tale da stimolare una serie di provvedimenti che hanno lo scopo di tappare i buchi della pirateria ma finiscono per dare le linee guida di una futura politica e giurisprudenza della rete. Non volendolo il caso della pirateria musicale, e soprattutto i rimedi che si stanno approntando, cominciano a costituire dei precedenti dai quali non si potrà prescindere in futuro.

Prendiamo per esempio il caso di ThePirateBay.org, sito che distribuisce file torrent (vedi scheda "no comprendo"), i server risiedevano in Svezia ma quando sotto la pressione di istituti inernazionali e società degli editori la polizia svedese ha sospeso i server in questione per accertamenti , basandosi su un cavillo della legge nazionale antipirateria (che come tutte le leggi antipirateria al momento non prevede reati via internet e quindi non ha strumenti specifici per arginarli), i proprietari del sito hanno fatto i bagagli e si sono recati in Olanda, stato in cui non avrebbero avuto noie e così dopo due giorni il sito è tornato a disposizione di tutti gli utenti del pianeta al medesimo indirizzo, senza nessuna differenza.

Questo perchè si sta diffondendo il principio giurisprudenziale secondo cui in rete si è soggetti alle norme dell'ordinamento della nazione nella quale risiedono fisicamente i server. Così succede anche che un sito come AllOfMp3.com, possa vendere in tutto il mondo indisturbato file musicali a 9 centesimi di euro e interi album a 1 euro e senza limitazioni imposte da DRM (vedi scheda "no comprendo"). La vendita di file musicali è fortemente regolamentata e soggetta a precisi criteri e limitazioni imposti dalle case discografiche, ma AllOfMp3 riesce ad aggirarle tutte perchè risiede in Russia, dove c'è una particolare regolamentazione in materia di pirateria, e ne sfrutta la peculiarità per fare questo assurdo commercio in tutto il mondo senza poter essere fermato.

Una simile miope visione della regolamentazione della rete rischia di creare i "paradisi di internet", stati nei quali viene appositamente approvato un'ordinamento più indulgente verso atti che altrove sono reati con lo scopo di attirare tutti coloro i quali gestiscano attività illegali, o al limite della legalità, in rete che da lì possono continuare le loro attività (su base mondiale) nella più totale tranquillità.

E l'industria musicale che sta facendo?

Dal 2001 (l'anno in cui il boom di internet ha raggiunto la massa critica di utenti per cominciare ad intaccare le vendite musicali) ad oggi i profitti legati alla vendita musicale sono scesi del 22%, perdite che sono aumentate di anno in anno e non accennano a fermarsi. Colpa della pirateria, si è sempre detto, ma ora comincia a farsi strada l'idea che non sia solo quello il problema.

Si perchè va bene che la pirateria in rete è stato ed è un fenomeno fortissimo che ha coinvolto moltissima gente dissuadendola dal comprare ciò che poteva scariare gratis, ma c'è anche da dire che dal 2003 ad oggi (dati pubblicati dagli stessi editori musicali) la massa di file musicali coperti da diritto d'autore in giro sui server p2p è passato da 1,1 miliardi di file a 885 milioni, eppure la crisi non ha accennato a diminuire, anzi!

Si comincia allora a pensare a quali siano le cause che stanno determinando questa assurda situazione, perchè mai nella storia del mercato musicale c'è stata tanta richiesta di musica da parte dei consumatori e mai sono stati acquistati così pochi dischi.

Come sempre la causa non può essere una sola, così questa crisi si può spiegare non solo con la pirateria (che pure ha il suo merito) ma soprattutto con un atteggiamento sbagliato dei rivenditori musicali che sempre di più stanno accantonando i CD per fare spazio ad altre forme di intrattenimento complementari, su tutte il DVD. Impauriti dalle primi crisi, imbambolati dalle mille voci e leggende metropolitane su pirateria, scomparsa dei CD, fine dei mercati musicali ecc. ecc. i rivenditori (chiaramente non quelli specializzati) hanno progressivamente accantonato la vendita musicale determinando un ulteriore calo delle vendite.

Sembra che si comincerà a vedere la luce, secondo gli analisti di Screen Digest, nel 2010, non prima, quando se tutto continua così, uno dei primi rimedi alla crisi comincerà a fare effetto. Nel 2010 infatti il mercato delle vendite legali di file musicali online dovrebbe raggiungere una dimensione sufficiente da consentirgli di rimediare ai danni della pirateria, e questa rinnovata fiducia si spera potrebbe portare di nuovo le vendite in positivo.

Una cosa è certa, mai torneremo ad una forma di commercio come la precedente, il mercato musicale se e quando uscirà dalla crisi sarà assolutamente rivoluzionato, come è giusto che sia, per fare fronte ad esigenze diverse di un pubblico diverso che vuole musica in maniera diversa. Non più il vincolo dei CD, ma tracce libere ascoltabili su più tipologie di device.

da DIGITAL LIFESTYLE

Ubiquitous cinema, il futuro della distribuzione cinematografica

Non ci saranno proiettori 3D, non ci saranno ologrammi e non ci saranno nemmeno occhiali speciali che proiettano immagini sulla retina. Nell’immediato futuro del cinema (o della comunicazione video in senso più esteso) non ci sarà nulla di tutto ciò che i film di fantascienza ci avevano promesso (solo il videotelefono di 2001 Odissea Nello Spazio (1968) e ancora prima di Metropolis (1927) è realtà, ma nessuno lo usa).

Nel futuro del cinema per ora sembra esserci solo la sua smaterializzazione, cioè quel processo che con leggero anticipo ha subito la musica: il passaggio da supporti fisici sempre più evoluti (nastri magnetici, videocassette, DVD e DVD ad alta definizione) all’assenza di un supporto standard e la proliferazione di mezzi di riproduzione e archiviazione.

La smaterializzazione purtroppo ancora non riguarda l'Italia, infatti CinemaNow e Movielink, i due principali movie stores online a cui i grandi studios hanno dato la concessione per vendere parte dei loro cataloghi, sono accessibili solo dai residenti in America. E così com’è per i music stores anche in questo caso bisognerà attendere un accordo economico valido per l’Italia per poterne usufruire.

Se per ora dunque il cinema immateriale in Italia lo si può solo guardare da lontano (sono sicuramente pochi e insoddisfacenti gli esperimenti di casa nostra come il portale RossoAlice), non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda il secondo aspetto del cinema del futuro, ovvero la proliferazione di diversi dispositivi di riproduzione.


In principio era il grande schermo, monopolista assoluto, al quale, dopo 50 anni di dominio, si è affiancato lo schermo televisivo e ora dopo altri 50 anni di lotte, crisi e necessarie mutazioni di questi due mezzi di riproduzione, stanno arrivando altri concorrenti.

Al momento il più agguerrito sembra il fiore all’occhiello di Apple, il device multimediale portatile per eccellenza: l’iPod, che nella sua ultima generazione è anche lettore video. Apple ancora non vende film (al massimo i cortometraggi della Pixar), ma è noto che il passo è imminente e probabilmente rivoluzionario, perché di botto tutti i proprietari di iPod saranno in grado di comprare a 10$ un film in ottima qualità. Film, questo è importante considerarlo, che il proprietario di iPod Video, non è costretto a vedere sul piccolo schermo, poiché assieme all’iPod viene venduto l’apposito cavo per collegarlo ad un qualsiasi televisore, l’iPod dunque può essere anche solo un dispositivo per archiviare e trasportare film.

Discorso diverso invece va fatto per i telefoni cellulari che si stanno muovendo più che altro sul piano della televisione e non del cinema, anche se spesso muoversi per la tv significa muoversi per il cinema. Intendo dire che spesso tra i canali televisivi offerti dai gestori ci sono canali di cinema (come quelli di Sky), quindi di fatto reti di cinema 24 ore su 24 da vedere sullo schermo del cellulare.

A questo proposito va fatta un netta differenziazione tra i provider. Se infatti TIM non intende in alcun modo fare concorrenza al cinema o al mondo del noleggio DVD (cioè il cinema di seconda visione), non volendo trasmettere film ma curare tutto ciò che è a latere della distribuzione cinematografica, promuovendo e arricchendo di contenuti l’uscita di un film tramite trailer, giochi interattivi, clip audio e video ecc. ecc. Dall’altra parte c’è 3 che ha già messo un piede nella distribuzione di seconda visione grazie ad alcuni accordi importanti e ha anche tentato il grande salto verso la distribuzione di film a due settimane dalla loro uscita in sala tramite un accordo con Eagle Pictures che è però saltato.


Al momento dunque sembra che il cinema debba continuare ad essere distribuito per prima cosa nelle sale e solo in seguito attraverso altri supporti.

Ma anche solo il parlare di dispositivi di fruizione cinematografica alternativi alla sala (telefoni cellulari, computer, iPod ecc. ecc.) ha sollevato un grandissimo polverone: produttori, attori, gestori e chi più ne ha più ne metta sono insorti in difesa del cinema di qualità visto in sala. Il mondo del cinema si sente minacciato dai nuovi dispositivi tecnologici che sono invece visti con estremo favore dal pubblico (che scarica film da internet per lo più illegalmente), il sentore è quello che il cinema perderà la sua anima se comincerà ad uscire fuori dalle sale.

La verità è un’altra. Il cinema ha già cominciato ad uscire dalle sale, il processo è iniziato con la televisione e con il noleggio, è stato molto lento ma in 20 anni di esistenza il VHS (e ora la storia procede, anzi aumenta con i DVD) ha causato cambiamenti fondamentali nel mondo della produzione cinematografica: alcuni settori come quello del porno si sono convertiti ad un consumo a noleggio abbandonando per primi la sala, molti film vengono girati quasi esclusivamente per il mercato dell’Home Video anche se ufficialmente escono al cinema (ma ci rimangono un giorno magari) e molti altri film invece hanno successo solo nei loro passaggi televisivi.

Con il passare degli anni il pubblico si è abituato al fatto che cinema, televisione e home video sono tre mondi simili ma diversi, e una stessa persona può gradire in maniera differente un film a seconda di come ne fruisce (gratis a casa o a pagamento al cinema o in tv), si crea così una differenziazione non ufficiale. Per fare una semplificazione utile a spiegare possiamo dire che c’è il grande blockbuster americano che è un film di cui tipicamente si preferisce fruire al cinema, c’è la divertente commedia d’amore di cui tipicamente si preferisce fruire a noleggio e c’è il film spensierato o magari anche il film molto impegnato, al quale prima di vederlo lo spettatore medio non dà fiducia (il che non vuol dire chiaramente che sia brutto) e di cui fruisce tipicamente in televisione.

E’ un meccanismo inevitabile: la semplice esistenza di tre mercati differenti su cui vanno i medesimi prodotti (solo che in momenti diversi) inevitabilmente stimola nella testa del pubblico una categorizzazione poiché nel momento di scegliere cosa vedere al cinema o in DVD deve fare un previsione e scegliere in base alla sua soddisfazione passata.

da DIGITAL LIFESTYLE

Il computer del futuro? Un oggetto inutile

Se si potesse fare una statistica seria salterebbe sicuramente fuori in maniera evidente come il computer nella fantascienza (antica o moderna che sia) sia qualcosa sempre e comunque ingombrante e fisicamente molto "presente".
Così a memoria mi vengono in mente gli immensi computer pieni di luci dei film di fantascienza a basso costo degli anni '50 e '60 (come Il Pianeta Proibito), oppure i computer dei film di fine anni '70, come Alien, dove "Mother" occupa una stanza intera, penso pure alla fantascienza di matrice più cyberpunk dove comunque regnano i cavi e le postazioni semidistrutte e rovinate dominano le scene, penso addirittura a film molto moderni come Johnny Mnemonic o Matrix dove si rimane invetiabilmente sempre legati ad un concetto di informatica presente nella vita quotidiana in maniera molto fisica (memorie impiantate nel cervello, sistemi pieni di grossi cavi ecc. ecc.), quasi meccanica.
Invece, almeno al momento, la direzione che sta prendendo l'utilizzo e la fruizione dei computer (di qualsiasi tipo essi siano) sembra molto diversa.
Innanzitutto nessuno aveva previsto la miniaturizzazione (certo prima che questo processo avesse inizio) e nessuno aveva previsto lo svincolamento di ogni contingenza informatica. Già ad ora molti documenti risiedono in rete e non sui computer, molti documenti utilizzati nella normalità della vita quotidiana: si archiviano online le foto su Flickr o su Yahoo!Photo, si archiviano i file sugli spazi virtuali gratuiti si archiviano le mail e i loro attachment sui webmail client (come Hotmail, Yahoo!, Gmail ecc. ecc.). Tutte cose che di colpo acquistano l'impagabile dono dell'ubiquità poichè accessibili da qualsiasi device (telefonino compreso) in qualsiasi luogo.
Adesso azzardo, ma quello che mi sembra sempre più evidente è che il computer del futuro sta diventando sempre più stupido e la rete sempre più intelligente. Già il computer non ha mai brillato per intelligenza ma almeno prima era pieno di nozioni, adesso progressivamente lo stiamo allegerendo sempre più di questi carichi.
I dati passano per il computer e finiscono in altri device specializzati o in rete. Delle foto già si è fatto un esempio, ma anche i file mp3 scaricati prima erano ascoltabili dal computer o mediante apposito CD fresco di masterizzazione, ora progressivamente si stanno spostando sui lettori Mp3, le telefonate di Skype fatte attraverso il computer si stanno spostando su telefoni appropriati, i video visti sul monitor stanno piano piano finendo sui televisori (e già si vendono i kit per vedere l'IPTV, la tv su protocollo internet direttamente sul televisore). Il computer in virtù della sua estrema flessibilità sperimenta e perfeziona, dà la possiblità al pubblico di fare propria una tecnologia appena uscita dai laboratori e di individuarne punti di forza e debolezze fino a renderla (di modifica in modifica) un'applicazione veramente utile, dopodichè questa lascia il computer per dirigersi altrove.
E' come un ulteriore stadio della catena produttiva, un gigantesco beta test lasciato fare agli utenti.
Il prossimo passo? Già lo abbiamo sotto gli occhi. I software stanno abbandonando il computer per trasferirsi in rete, cioè siti internet che emulano il software che solitamente risiede sul disco rigido. Siti come AjaxWrite.com o Writely.com sono stati tra i primi ad avere successo, anche perchè emulano uno dei software più richiesti e indispensabili nel mondo del computer, la videoscrittura. In pratica si accede al sito da Internet Explorer (o Mozilla Firefox o un altro qualsiasi browser) e quella che si presenta è una schermata non dissimile da quella di molti account di posta solo che ad ogni titolo non corrisponde una lettera ma un documento. Chiaramente le potenzialità non sono esattamente quelle di Word ma le funzioni basilari, quelle veramente necessarie, ci sono tutte. I file si salvano in remoto (cioè sui siti in questione) e a scelta possono essere scaricati in formati diversi (word, html, pdf, open office, rtf...).
Ma questo è solo un esempio. Ci sono software in rete che emulano Excel (uno l'ha fatto proprio Google http://spreadsheets.google.com), che emulano i programmi di grafica (http://www.pxn8.com) o l’intera suite di Office ecc. ecc.
Impossibile dire se effettivamente questo sarà un passo esclusivo che ucciderà la tecnologia del software su disco rigido, di sicuro si sta confermando una validissima alternaiva che ha il pregio (non risiedendo su nessun computer particolare) di essere accessibile anche da qualunque device (telefoni cellulari, televisori, palmari...) in qualunque luogo senza nessuna installazione.
Se è vero che la storia dell'evoluzione dell'informatica è la storia della liberazione dell'uomo dai compiti noiosi e ripetitivi (delegati appunto alle macchine) per lasciare più tempo alla parte creativa del lavoro, allora sicuramente questa è un'innovazione.
Recentemente ho avuto problemi di connessione dove abito e lavoro, dunque ero tagliato fuori dalla rete e ho dovuto trovare una zona wi.fi. ospitale dove trasferirmi quantomeno per lavorare. Al momento di preparare il portatile (solitamente lavoro su un fisso) mi sono domandato quanti dati avrei dovuto trasferire per poter lavorare lontano dal mio abituale pc, avrei avuto bisogno di un cd? di un dvd?? Niente. Non ho dovuto trasferire nulla, tutto quello di cui avevo bisogno era già nel mio portatile perchè è in rete, tutti i documenti, le email, i numeri di telefono era tutto già in rete.

da DIGITAL LIFESTYLE

Viral Videos

Ricordate quale è stato il primo incontro tra il computer di casa e la produzione di video? La webcam. Le piccole telecamere a bassissima risoluzione che vengono utilizzate più che altro per riprendere o scattare foto dell'utente al computer. Una rivoluzione decisamente non da poco, che non a caso fu all'origine del passaggio dalle chat ai siti di incontri online (sullo stile di Meetic o Match.com), poichè gli utenti diventavano d'improvviso visibili, non più un nick ma una faccia e un corpo che facevano cadere il pretesto della chat e palesavano il bisogno di una ricerca dell'anima gemella in rete.
Ma la gente si sa non può stare ferma e utilizzare uno strumento sempre nella stessa maniera. E così ora la possibilità di produrre filmati in maniera più che amatoriale sta diventando alla portata di tutti, lo avevate notato? Credo di si.
E lo avevate notato che non solo i prezzi delle videocamere stanno crollando, ma anche i telefoni con videocamere stanno aumentando di qualità e diminuendo di prezzo? E lo avevate notato infine che sono sempre di più e più semplici da utilizzare i software per montare video (dal professionalissimo Final Cut per Mac all'ottimo Adobe Premiere fino al banale Windows Movie Maker)? Bene.
Questo forse non significa che aumenteranno in maniera esponenziale i nuovi registi (quello è proprio tutto un altro mondo!) ma significa di certo che aumenteranno (e già stanno aumentando) quelli che non si possono ormai più definire videoamatori.
Non si possono più chiamare così perchè i nuovi mezzi permettono di andare oltre il filmino del battesimo o quello delle vacanze per poter produrre dei video che non siano necessariamente ad uso strettamente personale.
Il vero problema fino ad ora infatti era che si avevano a disposizione molti modi per produrre dei video ma pochissimi per farli vedere. Non tutti hanno telefoni cellulari abilitati a ricevere MMS e spesso questi video sono troppo grandi per essere inviati integralmente via mail. Si era così creata una stranissima situazione per la quale chiunque poteva dare vita a dei prodotti video ma non poteva farli vedere quasi a nessuno.
Ed è qui che è entrata in gioco la rete (guarda caso!), non è infatti una casualità che siti come Google Video o YouTube siano i più grossi fenomeni della rete dell'ultimo anno (32.000 filmati inviati al giorno a testa), capaci di raggiungere in meno di 365 giorni di vita la stessa quota di utilizzatori di un colosso come Msn Video, che è fortemente avvantaggiato dal fatto di poter disporre della gigantesca base utenti della rete di blog Msn Spaces. E non venitemi a dire che non avete mai guardato un filmato su Google Video o YouTube, non ditemi che nessuno vi ha mai mandato via mail il link di una pubblicità straniera, un video umoristico, un trailer rimontato o un'esibizione dal vivo da vedere su questi siti, non ditemi che non avete mai visto su un blog il caratteristico riquadro con schermo e pulsanti per vedere i video (sì, anche quello è fornito da YouTube che assieme al filmato dà anche ai blogger il modo per inserirlo nelle proprie pagine).
Ecco allora che avere una telecamera nel telefono cellulare comincia ad avere un senso! YouTube infatti offre da poco anche la possibilità di inviare filmati direttamente dal telefono senza nemmeno dover passare per il pc di casa.
Ecco allora che finalmente c'è un canale di distribuzione per questo tipo di creatività, qualcosa che costituisca sia un modo per far vedere i propri prodotti sia un modo per avere una visuale non ortodossa sulla realtà. Che intendo? Beh per "questo tipo di creatività" intendo tutto quel mondo di artisti del video per hobby, che non hanno modo di far conoscere le loro opere se non così, per farvi un'idea fate una ricerca su YouTube (http://www.youtube.com) per "Shining", il primo risultato è uno degli esperimenti più interessanti che abbia mai visto di montaggio alternativo: un trailer fatto con le immagini del film di Stanley Kubrick ma montate in modo da farlo sembrare una commedia familiare o provate a cercare "10 Things I Hate About Commandments" trailer di I 10 Comandamenti di Cecil B. DeMille rimontato per farlo sembrare una commedia stile American Pie. E questa dei trailer rimontati è solo una delle possibili tipologie di produzione creativa.
Per "visione non ortodossa della realtà" intendo invece la copertura da parte dei privati dei grandi eventi, quello che in certi casi è anche definitio citizen journalism, un ultimo esempio del quale possono essere i video sull'E3, la fiera di videogiochi di Los Angeles. Cercando "E3 2006" escono fuori i filmati di tutti i nuovi videogiochi che sono stati presentati lì, cosa che nessun giornale online o televisione vi farà mai vedere: c'è il video di Paris Hilton che presenta Diamond Quest (il suo nuovo gioco per cellulari), Robin Williams che gioca a Spore e c'è Miyamoto (il creatore di Super Mario Bros.) che presenta la nuova console Nintendo, chiamata Wii, dirigendo un'orchestra virtuale. Cose che nessuno avrebbe mai mostrato.
Il mondo è pieno di telecamere e di gente che filma per il proprio divertimento o per spirito di informazione e adesso il sistema di condivisione video rende visibile al mondo quello che prima era invisibile, un cambiamento di prospettiva incredibile che ha già portato alla luce talenti e nuovi modi di fare informazione, e se avete a disposizione un qualsiasi dispositivo per riprendere la realtà o modificare filmati è difficile resistere alla tentazione dell'esserne protagonisti.

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Media Stores - Oltre i Confini del Download

Si può dire che esistano sostanzialmente tre modi di comprare qualcosa: il modo reale, il modo ibrido e quello virtuale.
Il modo reale è il più tradizionale, si esce, ci si dirige in un negozio, si entra, si sceglie l'oggetto dei desideri e con denaro tangibile (anzi frusciante) si acquista qualcosa che ha una consistenza, dopodichè felici si può ritornare a casa con il frutto dell'acquisto saldamente in mano. Il modo ibrido prevede che tramite moneta virtuale (solitamente si tratta di carta di credito) si acquisti un bene tangibile che, nel caso degli acquisti online, verrà recapitato a casa o il giorno seguente o dopo un lasso di tempo infinitamente più lungo (non ci sono vie di mezzo). La terza via infine prevede che con denaro virtuale si compri un bene virtuale, il che non è neanche tanto assurdo, è in fondo ragionevole che per avere qualcosa che non esiste fisicamente (ma esiste in assoluto!) si paghi con denaro immateriale...
I media stores della rete appartengono a quest'ultima categoria, tutto è virtuale.
Si tratta dei negozi di musica e video online, uno dei più grandi successi commerciali del 2005 e uno dei settori che più è in espansione in assoluto, con un miliardo di dollari di profitti solo nell'ultimo anno.
In Italia sono arrivati solo in parte (non tutti i media stores infatti hanno aperto la sezione italiana a causa di lungaggini legali) e per il momento si tratta unicamente di music stores, per il video tocca ancora aspettare, ma già si può parlare di successo. Allo stato attuale il negozio di musica virtuale aperto anche in Italia che con più probabilità soddisferà i vostri desideri è quello di Apple, cioè iTunes (www.apple.com/itunes), che non a caso con il suo archivio di quasi due milioni di tracce è anche il leader di mercato mondiale (ben il 75% delle canzoni acquistate in rete vengono da iTunes).
Naturalmente, per assicurarsi il margine di successo più ampio possibile, fare un acquisto è semplicissimo e soprattutto molto economico (se rapportato ai costi del mondo vero), basta scaricare dal sito ufficiale il software e una volta installato compiere la procedura di registrazione che chiede i soliti dati: nome, cognome, età ecc. ecc. scegliere un nome utente, una password e cosa più importante inserire il numero della carta di credito (la sicurezza è una delle priorità di ogni music store!), operazione che verrà compiuta una ed una sola volta, ci pensa poi il music store a ricordarsela per voi.
Fatto questo si presenta la home page con le principali offerte della settimana: dai dischi più venduti alle novità, come ogni vetrina che si rispetti. In alto c'è la barra per la ricerca, si immette il nome dell'artista, della canzone o dell'album e i risultati arrivano immediatamente. A questo punto l'acquisto è ad un pugno di click. Basta premere su "Acquista", confermare premendo "SI" quando appare il cartello "Sei sicuro di voler acquistare questa traccia?", ed è fatta, in pochi secondi (a seconda della connessione utilizzata) la traccia è scaricata e pronta per l'ascolto o la masterizzazione.
Qual è il segreto del successo di una formula simile (che più o meno è la medesima per tutti i music e video store)? Il prezzo. Una traccia = 1€ e un album 8 o 10€, una bella differenza con i dischi comprati nel mondo reale... Certo c'è anche un bella differenza con le tracce scaricate gratis, ma 1€ è una cifra ragionevole per avere garantite l'immediatezza del download (tutta la procedura prende 30 sec al massimo), la sicurezza dell'integrità della canzone e la pulizia del suono.
Tanto è ragionevole questa cifra che ora il commercio online costituisce il 6% dei profitti della vendita totale di musica (due anni fa costituiva meno dell'1%) e se c'è un 15% sul totale dei naviganti in rete che scarica musica illegalmente c'è anche un 5% che la compra. Per dare un'idea basterà citare il fatto che solo nell'ultima settimana del 2005 sono state comprate ben 20 milioni di tracce.
Ma il bello è quello che deve ancora venire. I video stores come quello di Google (http://video.google.com) offrono ad un prezzo che oscilla intorno ai 2€ a filmato gli episodi delle serie televisive più seguite, assieme a quelle storiche (da McGyver a Supercar), oltre alle partite dell'Nba e altri video inediti. Google Video in più è aperto a tutti, chiunque può mettere in vendita (o anche distribuire gratis) i propri video al prezzo che crede.
Per il momento, nonostante la grande crescita, la vendita di contenuti multimediali in rete è un settore ancora acerbo che sta maturando lentamente e che vive ancora in una fase oligarchica in cui poche grandi aziende fanno il bello ed il cattivo tempo, vendendo file musicali ascoltabili solo attraverso i music player o i lettori MP3 prodotti da loro (così fa Apple e così vuole fare Microsoft), ma le cose stanno cambiando. Chi fornisce i contenuti (dalle case discografiche a chi distribuisce le serie televisive) si sta stancando di fornire il suo materiale in esclusiva, preferisce un mercato in cui poter vendere la sua merce attraverso più canali, magari con prezzi diversi per target diversi.
E questo accadrà non appena scenderanno sul mercato mondiale pezzi grossi come Rhapsody di Real Networks (per ora attivo solo in America con un archivio di 1,5 milioni di tracce) o Urge, il media store di MTV sponsorizzato da Microsoft, che sarà compreso in tutte le nuove versioni di Windows Media Player e del sistema operativo di Bill Gates e permetterà alla rete televisiva di origini americane di distribuire oltre alla sua musica ed ai suoi video anche le sue trasmissioni, nonchè dei video inediti girati apposta per la vendita in rete.
Se non riuscite a comprendere il successo di questo fenomeno è perchè non avete provato. L'acquisto è talmente semplice, veloce ed economico e la varietà dell'offerta è tale (e ancora deve milgiorare parecchio!) da rendere l'esperienza dell'acquisto in un negozio virtuale una vera e propria droga.

da DIGITAL LIFESTYLE

Online Rounders

Tutto ha origine dalle chat room. Ogni espressione moderna della rete in cui è coinvolta l'interazione sociale ha avuto origine nelle chat room.
Un po' come ogni scienza moderna al suo inizio faceva parte della filosofia e se n'è poi distaccata per diventare autonoma, allo stesso modo il meccanismo della chat (il confronto tra utenti) aveva in sè tutto il web sociale a venire. E non fanno eccezioni i giochi!
Se all'inizio erano dei piccoli add-on alle normali conversazioni c'è stato chi ha pensato di spostare il baricentro su di essi e far diventare marginale il meccanismo della discussione. E a dimostrazione di questo ancora oggi non c'è gioco online che non preveda un box dove parlare con gli altri giocatori, il retaggio di un'epoca che fu.
E in questo sistema di socialità ludica il poker online ha uno status tutto suo, diverso dagli altri. Un po' perchè è un gioco in cui sono in ballo soldi veri (e in questi casi c'è sempre poco da scherzare) e un po' perchè i siti più importanti come Party Gaming (www.partygaming.com) contano tra i giocatori più affezionati alcuni maestri del poker in rete che con quest'attività ci vivono, e portano online le loro amicizie pokeristiche fatte offline. Gente in grado di mettere in mutande qualsiasi sprovveduto e anche molti giocatori mediamente esperti. E se si pensa che in questi ultimi anni il poker online sta avendo un boom senza precedenti (solo negli ultimi 3 mesi ha avuto un aumento del 54% degli utenti), anche grazie alla maggiore diffusione televisiva dei tornei internazionali di poker di Las Vegas, è facile immaginare un'invasione di giocatori inesperti.
Ma non pensate che il poker online funzioni come il poker tradizionale, regole a parte, è proprio tutta un'altra cosa! A noi ce l'ha spiegato confiteor, giocatore più che esperto, uno che ora come ora con quello che guadagna con il poker online potrebbe anche viverci: "Online hai molte meno possibilità di interpretazione dell'avversario quindi per quello che è tutto l'aspetto matematico e meccanico del gioco sei molto favorito. Inoltre dal vivo hai un tavolo e lì giochi, mentre in rete puoi stare su 8 tavoli in contemporanea e fare 120 mani in un'ora e se poi assumiamo che un buon giocatore in ogni singola mano vince anche solo un dollaro in rete sono già 120 dollari l'ora. Inoltre alla lunga giocando su 8 tavoli c'è anche un'ottima ripartizione del rischio, percui, se è vero il presupposto che sei un buon giocatore, necessariamente il bilancio è positivo, anche perchè giocando 1000 partite alla stessa cifra ogni giorno la fortuna e la sfortuna cominciano a contare poco. Io nei primi 5 mesi di quest'anno ho fatto più di 100,000$".
E confiteor non è nemmeno dei più temibili, anche se è uno che della parte sociale del poker online si interessa poco: "Non so chi sono le persone contro cui gioco e non mi interessa, ho capito solo che di solito sono il contrario di quello che sembrano: se uno mette la foto di una ragazza di solito è un uomo e se come nick ha GiocatoreUbriaco in realtà è una persona seria e se mette il nick serio è un ubriacone. Ma comunuqe non mi interessa, io vedo un'immagine e un nome e gioco. Se proprio devo chattare sono comunque cose passeggere, anche perchè spesso questi vivono in altri continenti. La volta in cui ho chattato di più è stato giusto perchè ho giocato con i marines che erano in Iraq per la guerra.".
Tommy invece è un giocatore un po' meno accanito e quindi anche meno abbiente: "In questo periodo mi sta andando abbastanza bene. Niente di eccezionale... Non so esattamente quanto ho guadagnato. Sui siti ci sono i ranking ufficiali con tutti i guadagni di tutti i giocatori ma io non so nemmeno in che posizione sto. Anche perchè i database ufficiali calcolano le vincite dei tornei più grossi e io faccio solo i tornei più piccoli percui probabilmente nemmeno risulto. Li consulto solo per evitare di sedermi ad un tavolo con gente troppo forte e può succedere perchè girano i veri professionisti."
Se vi state chiedendo come si faccia poi ritirare i soldi è presto spiegato da confiteor: "Ci sono vari modi per tirare fuori i soldi, ti puoi far mandare un assegno a casa o usare uno di quei metodi di pagamento online come Paypal, ma se giochi su un sito affidabile (e lo sono quasi tutti) il pagamento è quasi immediato con il riaccredito su carta di credito. I tempi tecnici poi prevedono almeno 2-3 giorni.".

da DIGITAL LIFESTYLE

La tecnologia che si preoccupa dei clienti

Dopo decenni di evoluzione tecnologica in termini di potenza e prestazioni il mercato degli ultimi anni sta vedendo finalmente un cambiamento di prospettiva e gli oggetti tecnologicamente più avanzati (cioè i più venduti) stanno diventando quelli frutto di accurati studi di interactive design prima ancora che di prestazioni. E l'iPod è solo l'esempio più eclatante e di successo di una tendenza che ha l'obiettivo di allargare la platea di fruitori di tecnologia prima ancora che primeggiare a livello tecnico.
Ecco, Giorgio Manfredi e Leandro Agrò è di questo che si occupano con Kallideas: interactive design per applicazioni aziendali. In sostanza Kallideas cura il modo con cui la tecnologia delle aziende riesce a comunicare con i clienti, progettando interfacce che cercano di essere il più amichevoli possibile, fino all'ultima idea: il virtual assistant, cioè l'individuo di sintesi che dà una faccia ed un corpo alla tecnologia.
Claudia (così si chiama il primo modello) vuole essere la visualizzazione in forma umana di un sistema di intelligenza artificiale che è in grado di dialogare con il cliente. Claudia dunque è capace di muoversi e sorridere, ma non con uno script (cioè in maniera predeterminata), bensì esprimendo emotività in base a ciò che gli si dice.
Leandro e Giorgio vengono entrambi dal mondo della teoria (uno dai corsi di design dell'interazione e l'altro dall'università) e si sono incontrati in una conferenza dove tra i relatori c'era anche Leandro stesso, impegnato a diffondere la sua visione dell'interaction design. Una visione che parte dall'assunto che nell'interazione uomo-macchina è l'uomo a costituire la parte complessa e non la macchina.

Tu non ti sei sempre occupato di personal assistant vero?
GIORGIO: No, ho sempre lavorato nell'interaction design ma Kallideas nasce nel 2003, orientata alla gestione della relazione azienda-cliente in ottica strumenti e soluzioni per la comunicazione multimediale, quindi web, telefono, SMS e quant'altro. Solo all'inizio del 2006 abbiamo cominciato ad elaborare la soluzione K-Human, o virtual assistant.

Perchè studiare l'interazione?
GIORGIO: Provo a risponderti spiegandoti da dove viene il nome Kallideas. E' l'unione del prefisso greco kalòs ("bello") e ideas che è la parte anglofona, quindi "belle idee". Ma la parte anglofona significa anche tecnologia perchè ormai è tutta americana, mentre sul versante della creatività la parte mediterranea ha ancora tanto da dire.
Il nostro approccio mira a svincolarsi dalla tecnologia. Se dici "viaggio" o lo scrivi o lo selezioni non importa, noi lavoriamo su quello che avviene dopo, quando quest'informazione è elaborata. Per cui se la tecnologia avanza, io non cambio nulla ma la mia tecnologia migliora adattando solo il primo strato.

Qual è la visione del progetto?
LEANDRO: Bisogna partire dal concetto di "embodiment" sviluppato da Paul Dourish, una mente molto fine, esso è la riduzione della distanza tra bit e atomi, dove i bit sarebbero le macchine e gli atomi le persone. Noi, come dice Bruce Sterling, viviamo già in un ecosistema misto dove uomini e macchine ne sono parte integrante e di questo dobbiamo prenderne atto perchè comporta che molte volte ci troviamo ad avere un dialogo con oggetti o con altre persone ma attraverso oggetti. Allora a questo punto il concetto di embodiment diventa cruciale e in un mondo simile occuparsi di virtual assistant vuol dire pensare ad un avvicinamento alle macchine attraverso la creazione di un piano intermedio in cui le macchine tendono ad assomigliare un po' di più alle persone, non tanto dal punto di vista visivo ma più che altro da quello comportamentale.

Chi sono le persone con cui lavorate?
GIORGIO: Ci sono due elementi che sono particolarmente importanti per me: la curiosità e la capacità di essere ibridi. Il nostro gruppo è fatto di tecnici ma c'è anche chi si occupa di semiotica, c'è uno che si occupa di psicologia, uno di design ecc. ecc. Il tecnico alle volte è troppo rigido da questo punto di vista. Da noi c'è tutta gente che suona, ama la musica ecc. ecc. infatti nel classico curriculum come prima cosa guardo gli hobby, perchè ti danno l'idea della creatività e della varietà. Qui c'è tutta gente di 25 anni che ha quella freschezza mentale di chi non è stato inquadrato da anni di tecnologia.

Quali problemi concreti può risolvere il virtual assistant?
LEANDRO: Pensa ad un call center di un'azienda in grado di fornire un primo livello di risposta tramite un assistente virtuale efficiente ed empatico, già risolve moltissimi problemi. E se poi il problema è più complesso è dotato di sufficiente intelligenza artificiale per indirizzare la chiamata all'operatore umano più appropriato (mentre solitamente le chiamate arrivano un po' "a pioggia").

Ma oltre ai call center?
LEANDRO: C'è moltissimo. Tutta la parte dell'apprendimento può essere supportata da assistenti virtuali. Pensa ad un sistema banale, in cui fruisci tramite video di una lezione. Poi però c'è una parte di esercitazione che chiaramente non puoi fare con il docente, qui scatta l'assistente virtuale che, non è solo una faccia, ma soprattutto un cervello che analizza i dati che ha inserito la persona che sta facendo il test e poi passa i risultati al docente (non al suo video ma proprio alla persona) che può valutare le performance e contattare i singoli studenti. Per non parlare poi del settore dell'intrattenimento: mia madre non sa usare un videoregistratore perchè è una cosa meccanica con un'interfaccia digitale, un approccio che lei non ha mai assorbito. Se il set top box potesse però registrare una trasmissione unicamente premendo un pulsante sarebbe più semplice per lei. E questa è una tecnologia che oggi è già disponibile (vedi MySky) basta aggiungere solo l'ultimo pezzo, quello più umano e più "intelligente" che ti chiede: "Vuoi registrarlo tutte le settimane?".

Non si rischia l'effetto boomerang però? Cioè che l'assistente che risulta antipatico...
GIORGIO: Il rischio c'è, ma è lo stesso che può accadere con un operatore umano. Il principio fondamentale da non violare è la non invadenza: l'assistente deve presentarsi solo quando lo richiedi tu.

Se devo essere sincero mi sembra improbabile che gli utenti accettino di parlare ad uno schermo in mezzo quando sono in mezzo ad una stanza...
LEANDRO: E hai ragione! Infatti io non credo che gli assistenti virtuali debbano mai essere personali, perchè è un concetto che è legato ad un uso personale del computer mentre il personal computer ormai è da anni che è morto. Il virtual assistant invece per me deve essere l'estensione di una compagnia, non di una persona. Pensare che un singolo assistente virtuale possa risolvere tutte le istanze di un uomo è follia, ma pensare che un assistente virtuale, che tra le altre cose riconosce testi o input vocali, sia un'estensione della banca è un altro conto. Perchè quando mi collego ad un sito di home banking ogni volta devo rifare le stesse cose, ma se subito dopo il login mi compare una faccina che mi strizza l'occhio e mi chiede se voglio sapere le solite cose e poi con un solo click mi mostra l'aggiornamento del mio saldo posso risolvere il 90% delle situazioni, perchè solitamente non serve altro.

Ma questa metafora umana, proprio per la sua ricercata accuratezza, non risulta ancora più fallace?
LEANDRO: Certo che è fallace! Ma è una semplificazione che la nostra mente accetta volentieri. Pensa all'alzacristalli elettrico della macchina: in linea di massima non sai come funzioni ma vedendo unicamente un pulsante ti fai una tua idea di quale sia il meccanismo che lo lega al movimento del vetro. Il virtual assistant può essere un pò come il pulsante dell'alzacristalli: qualcosa che ti fornisce una visione semplificata -ed accettabile- del mondo. Inoltre, mentre è molto improbabile che qualcuno sviluppi empatia nei confronti del pulsante dell'alzacristalli, c'è molta gente sviluppa emotività verso l'automobile. Il fatto di poter sviluppare empatia verso gli assistenti virtuali, è senz'altro un aspetto controverso, ma anche una delle chiavi di lettura dell'interesse che suscitano, nonché del loro potenziale successo.

da 7TH FLOOR di marzo/aprile 2007