10.10.08

Il punto sullo stato di YouTube

Roma - È difficile non pensare a YouTube come ad un successo. È uno dei siti più visitati in assoluto, la libreria di video più vasta e importante della rete, nonché una società che Google ha valutato 1,65 miliardi di dollari. Eppure non è una notizia il fatto che YouTube, frenato ed esaltato dai contenuti generati dagli utenti, non sia anche un successo economico. A tre anni dalla sua nascita e a due dal suo ingresso nelle braccia del più grande rivenditore di spazi pubblicitari, il sito che ospita il 34% dei video visti in rete (dati comScore) ha dato vita ad un settore ora pieno di diverse diramazioni e di competitor ma che non trova un modello di business valevole.

AlleyInsider sostiene che nel 2008 Google è riuscito a monetizzare solo il 4% circa dei 4,2 miliardi di video che i suoi utenti hanno visto, cioè più o meno 126 milioni di video, e attraverso un sistema non eccessivamente redditizio. E nonostante 126 milioni di video sia comunque una cifra considerevole, bisogna aggiungere che la società deve sopportare anche costi di banda e di hosting non indifferenti. Senza contare le infinite spese legali che le accuse di violazione del copyright gli portano.
Di contro un servizio come Hulu.com (una joint venture tra studi di produzione visibile solo ai residenti in America) mandando in streaming gratuitamente e legalmente film e show televisivi dai principali network (NBC, Universal, Fox, Warner, CBS ecc. ecc.) riesce a monetizzare ogni singolo minuto dei suoi 88 milioni di video visualizzati. Si tratta di circa un quarto in meno di quanto ha fatto YouTube e con costi infinitamente minori.
Hulu non è uno strumento sociale, sfrutta un'incredibile inerzia creativa e produttiva consentendo, a fronte di poca pubblicità, la visione gratuita di contenuti che già sono passati in televisione e che hanno l'unico vantaggio della disponibilità on demand.

YouTube invece è pieno di contenuti originali, creativi e interessanti che sono visti, consigliati, inviati via mail, embeddati nei blog e commentati migliaia di volte ma che lo rendono inaffidabile per gli investitori, i quali non credono nella pubblicità associata ai video generati dagli utenti e ne temono i contenuti imprevedibili. In sostanza ad oggi se mantiene i contenuti generati dagli utenti i costi a loro legati gli impediscono di decollare economicamente mentre se li elimina perde tutto il suo successo a favore di chi, come Hulu, i contenuti professionali li produce e li gestisce in casa. Questo perché sono proprio la socialità e i contenuti generati dagli utenti la componente più dirompente e devastante del video online, capace di creare nuovi modi di vivere ed entrare in contatto con le forme di racconto audiovisuale.
E la dimostrazione più evidente di tutto questo è che dopo anni di dominio della tecnologia le cattive compagnie sono tornate ai vertici delle fobie sociali. Ora infatti sono di nuovo gli esseri umani, benché comunque attraverso una tecnologia (che rimane un oggetto sconosciuto per molti e dunque spaventoso), a costituire una delle principali fobie sociali: quelli che "entrano nelle vostre case attraverso le connessioni internet dei vostri computer (per) incoraggiare i bambini a costruirsi un Bong o bersi una birra a 13 anni" sono parole di John Walters, direttore dell'Office of National Drug Control Policy, un organo costituito dal governo degli Stati Uniti d'America, paese tecnologicamente più evoluto della media.

Dunque le persone guardano e molto i contenuti prodotti da altri utenti ma gli investitori pubblicitari non vogliono esservi associati e in questo modo la situazione non fa che peggiorare. Secondo un sondaggio fatto presso i principali network da NewTeeVee un annunciatore di uno show settimanale in rete come può essere Rocketboom guadagna da un minimo di 100 dollari a puntata ad un massimo di 1.000, cioè 4.000 dollari al mese di guadagno massimo per un business dove i visitatori si possono contare in alcuni casi anche nell'ordine dei milioni.
Inoltre sempre i principali network spiegano che con l'aumentare degli utenti e del materiale video si abbassa il CPM (cioè il costo di uno spot per migliaio di impressioni) il quale è passato in un anno da una forbice che oscilla in media tra i 20 e i 30 dollari (a seconda del piazzamento e del tipo di video) ad una che oscilla tra i 10 e i 20 dollari.
Infine se si calcola quanto incida l'investimento pubblicitario nei video in rete sul totale televisivo si scopre che oggi conta per una parte minima e anche le previsioni più rosee sostengono che tale stima possa arrivare ad essere il 7,6% del totale per il 2013. Questo a meno che non succeda qualche sconvolgimento.

E quello sconvolgimento oggi Google lo identifica con il commercio parallelo, cioè vendere (o per il momento aiutare a vendere) beni collegati ai video fruiti, qualsiasi essi siano. Tra le prime e più facili applicazioni di questo progetto c'è la vendita dei videogiochi abbinati ai video di gameplay e quella ancora più importante della musica che si ascolta nei suoi video (attraverso partner come iTunes o Amazon Mp3). Cosa che in realtà al momento è una falsa soluzione al problema perché si basa essa stessa su un altro assunto problematico e cioè che nella più grande risorsa di video in rete il contenuto più fruito è la musica e non il video UGC (che sta nella parte più lunga della coda). A dimostrarlo può bastare il fatto che ben 6 clip tra le 10 più viste di tutti i tempi sono musicali e una è di danza, mentre l'unica UGC è in decima posizione.

da PUNTO INFORMATICO del 09/10/08

RECENSIONE Wall-e

Wall-e è l'ultimo robot rimasto sulla terra dopo che gli umani l'hanno abbandonata perchè invasa dai rifiuti. Si sono dimenticati di spegnerlo e lui da 700 anni continua a fare quello per cui è stato costruito: comprimere e ammassare rifiuti. Non parla ma si fa capire molto bene a gesti e attraverso una gamma di suoni espressivi come faceva R2-D2 di Guerre Stellari. È un robot animato come un animale antropomorfo, un piccolo Charlot: operaio alienato che sogna un domani migliore guardando il cielo stellato. E quando dal cielo questo domani migliore arriva sotto forma di un altro robot, Eve, più moderno e programmato per cercare vita sulla Terra, Wall-e lo insegue sull'astronave madre. Lì, sempre come il vagabondo di Chaplin, sarà un portatore sano e inconsapevole di caos e anarchia assieme agli altri "devianti" della società cioè i robot difettosi, l'equivalente di quella famiglia di freak che erano i pesci da acquario con cui aveva a che fare Nemo.
Andrew Stanton torna a raccontare "un'odissea d'amore" dopo quello straordinario road movie acquatico che è stato Alla Ricerca di Nemo e lo fa sostituendo alla vastità dell'oceano la profondità dello spazio e alla forma del film on the road quella del cinema di fantascienza distopico. Ma Wall-e non è la solita celebrazione della riappropriazione da parte dell'uomo della sua umanità in un futuro dove la tecnologia ha vinto sullo spirito, al contrario è un film capace di commuovere anche solo con un abbraccio, che afferma la bellezza e il romanticismo della tecnologia attraverso alcune delle scene più semplici e disarmanti che il cinema abbia mai offerto.
Wall-e dunque è prima di tutto uno dei più rivoluzionari film di fantascienza mai visti (realizzato con un unico gigantesco punto di riferimento: 2001: Odissea nello spazio) nel quale il mondo delle macchine è a tutti gli effetti centrale. I robot non sono solo l'entità da combattere ma una società a sé: hanno una loro vita, loro sentimenti e valori propri (come il concetto di "direttiva"), i protagonisti di una trama autonoma rispetto a quella che coinvolge gli umani. Wall-e e Eve non combattono per salvare la razza umana, quello accade incidentalmente e secondariamente, combattono a fianco di altri robot buoni contro i robot cattivi prima di tutto per salvare se stessi e il loro amore, degli umani non gli importa.
Il nono lungometraggio della Pixar è l'ennesimo annuale capolavoro capace di cambiare definitivamente il modo in cui viene imitata la macchina da presa e le sue lenti nell'animazione computerizzata e come al solito ci mette di fronte al miglior cinema immaginabile oggi.
Un film che afferma con una forza che mai avevamo visto nei lungometraggi della società di Lasseter l'importanza e la centralità del racconto audiovisivo (e quindi del cinema) nel modo in cui conosciamo la realtà. Tutti i momenti chiave del film sono mediati dalla visione di un video (sia reale che di finzione): dalla conversione del capitano della nave, all'educazione sentimentale di Wall-e (attraverso la visione ripetuta di Hello, Dolly! di Gene Kelly), dalla scoperta dell'amore per Eve (in uno stupendo flashback visto in prima persona su monitor), fino all'inganno del capitano nei confronti del computer della nave (perpetrato con alcuni tipici trucchi cinematografici).

da MYMOVIES.IT del 10/10/08

9.9.08

Hancock, la normalità di un supereroe

Funi e carrucole che sostituiscono motion capture e attori digitali, così prendono vita i super poteri di Will Smith
La cosa più difficile non è far volar un supereroe ma far volare un uomo normale. Questa in poche parola è stata la vera sfida visuale di Hancock, portare al cinema immagini di un uomo comune che fa cose non comuni senza perdere in credibilità.
In un periodo in cui fioriscono i film sui fumetti i grandi studi di effetti speciali sono più che abituati a lavorare su prestazioni superomistiche eppure Hancock ha costituito qualcosa di completamente diverso, lo dice lo stesso John Dykstra, storico creatore di effetti visivi: "Tutto deve sembrare reale e non stilizzato come in tanti film di supereroi. Per mancanza di un termine migliore, io direi che è uno ‘stile documentaristico’: è aggressivo e utilizza la macchina a mano, cosa inusuale per un film così tecnico".
Nel 1995 Lars Von Trier e gli altri registi che diedero via al collettivo Dogma decisero di adottare la camera a mano come stile di ripresa perchè avvicina il cinema alla realtà. Tale stile è stato incorporato massicciamente ad Hollywood solo per i film di guerra proprio per il medesimo motivo. Per questo la sola idea di Peter Berg di filmare in tal modo un film con un supereroe ha fatto scappare molti studi di effetti speciali.
“Hancock non ha neanche un costume!" prosegue Dykstra "Si veste sempre in maniera diversa e far sì che i vestiti si muovano correttamente già è una sfida, poi tradurre questo movimento da un tipo di vestiti all’altro, mantenendolo coerente e rendendolo reale, anche quando è assolutamente incredibile, era diventata una vera ossessione".
Il problema appunto è che Hancock vola per tutta Los Angeles in pantaloni e felpa, atterra sfondando il terreno e il tutto viene inquadrato con macchina a mano cosa che non consente l'uso di controfigure digitali ma obbliga l'impiego dei veri attori. Per questo Hancock ha richiesto pochi effetti digitali (per essere un blockbuster da Hollywood) e un rispolvero delle classiche tecniche "fune & carrucola".

Usare le funi per atterrare con violenza
L'esigenza di filmare con camera a mano ha portato con sè molte altre decisioni accessorie che si sono tradotte in un superlavoro per gli attori, solitamente abituati a lasciare che siano i reparti di post produzione ad occuparsi delle loro prestazioni più impossibili. Ancora di più il fatto che spesso Peter Berg vada a cercare le espressioni dei volti con movimenti ad avvicinarsi e il fatto che preferisca affidarsi a piani sequenza piuttosto che ad un montaggio frenetico hanno fatto sì che non fosse possibile nemmeno usare molte controfigure.
Nonostante ci si sia dovuti appoggiare a funi, carrucole e cavi, lo stesso le cose non sono andate come vanno solitamente. La parte peculiare di Hancock infatti è che non si tratta di uno Spiderman o di un Superman che atterrano e prendono il volo in maniera dolce e delicata necessitando quindi solo di qualche prova per tarare il peso dell'attore con quello dei contrappesi, Hancock schizza via e precipita sull'asfalto spaccando tutto, cosa che pone dei problemi quando devi farlo fare ad un attore vero su asfalto vero.
"Noi dovevamo provare in continuazione per ottenere un atterraggio accurato in cui Hancock inciampa o cade sulle sue ginocchia e deve ritrovare l’equilibrio prima di potersi rialzare, cosa che significava dover programmare bene ogni argano e contrappeso. Quindi, bisognava semplicemente provare e riprovare continuamente con Will" sostiene il coordinatore degli stunt Wade Eastwood.
Will Smith infatti ha realizzato in prima persona quasi tutte le scene con i cavi sia in partenza che in atterraggio. E non che le scene in partenza fossero più semplici come spiega lui stesso: "Ci sono stati dei giorni ventosi in cui si volava a trenta metri sopra il terreno in circa un secondo e mezzo. Era come essere sulle montagne russe, ma senza stare nel trenino!" e continua "Il fatto è che lanciarsi da una panchina può farti male, perché i cavi ti tirano talmente forte, che se sei teso puoi stirarti il collo o i tendini, così come mettere troppa pressione sulle tue ginocchia negli atterraggi".

Negli studi di effetti speciali non si butta mai via nulla
Ad ogni modo qualche intervento digitale è stato comunque necessario, le iperboliche distruzioni portate da Will Smith sono state infatti in gran parte frutto del lavoro della Sony Imageworks, dai frigoriferi che finiscono in strada fino ai treni che deragliano.
"Hancock non ha richiesto nulla di mai fatto prima, abbiamo riadattato molto materiale usato per Beowulf o Spiderman 3. Ad esempio tutta la parte delle variazioni climatiche sull'Hollywood Blvd è stata fatta con i medesimi strumenti che ci avevano consentito di animare l'Uomo Sabbia" spiega il supervisore agli effetti digitali Ken Hahn. Ovviamente gli strumenti usati non erano proprio gli stessi ma un'estensione di quelli. Quasi per ogni film vengono programmati dei software utili a svolgere il lavoro di molti uomini in poco tempo e come è normale che sia sono strumenti utili a fare una cosa sola con uno scopo solo. Tuttavia spesso è più facile adattare un programma a fare cose simili a quelle per le quali è stato creato che rifarne uno da zero.
"Anche per quel poco di motion capture facciale che è stato necessario ci siamo appoggiati agli strumenti usati per Beowulf [uno dei più massicci esperimenti di motion e performance capture mai tentati, ndr]", si è trattato per lo più delle complesse sequenze di volo per le quali è stato più semplice usare attori digitali. Il senso dell'aria premuta contro la pelle degli attori infatti è così risultato migliore.
Una scena che però ha di sicuro impegnato e non poco gli studi è quella in cui Hancock ferma il treno causando un deragliamento. Gli elementi da modificare o creare dal nulla in quel caso erano tantissimi, dai vagoni usciti dai binari alle macchine vicine a tali vagoni, dalla polvere creata dallo scontro (sia nell'aria che posata sulla strada, sulle persone e sulle macchine vere) fino ad alcune comparse digitali. "E' una scena complessa" dice Carey Villegas, un altro supervisore "perchè c'è un unico movimento di macchina panoramico e dovevamo essere sicuri di riuscire a direzionare l'occhio dello spettatore solo con la coreografia del tutto".

da MYMOVIES.IT del 08/08/08

9.7.08

Una Favola Per Sfidare la Pixar

Mentre una volta il cinema d'animazione era la Disney, sinonimo stesso di intrattenimento infantile, da quando nel 1993 è nata l'animazione in computer grafica (con Toy story) è stata la Pixar a diventare sinonimo di cinema d'animazione. Ma contemporaneamente la computer animation con i suoi costi bassi ha anche permesso l'emergere di altri concorrenti.
E' la storia della Blue Sky, salita alla ribalta con il grandissimo successo di L'era glaciale e ora al cinema con una favola più tradizionale e destinata ai bambini: Ortone e il mondo dei Chi.
La storia racconta dell'elefante Ortone (doppiato da Christian De Sica) che un giorno sente un grido d'aiuto provenire da un granello di polvere e nonostante l'implausibilità della cosa si convince di doverlo salvare. Quello che non sa è che il granello ospita un minuscolo mondo abitato dai Chi, i quali sono davvero in serio pericolo.
Contrariamente alla tradizione dell'animazione computerizzata che solitamente porta al cinema sceneggiature originali la Blue Sky ha scelto una storia dal sicuro successo (almeno in territorio americano), una favola scritta da dr. Seuss, pseudonimo di Ted Geisel, uno dei più grandi scrittori (e disegnatori) moderni di fiabe per bambini.
Ma al di sopra di tutti c'è sempre lui Chris Wedge, wonder boy della Blue Sky, regista di tutti i film realizzati fino ad ora dallo studio (dai fasti della saga di L'era glaciale al più blando Robots), che per questo film è passato dai panni di regista a quelli di produttore, un ruolo da supervisore che ha calzato con una certa difficoltà (tanto che ha promesso che ben presto tornerà a dirigere) ma che si è reso necessario per realizzare un film dal soggetto non originale e portare la Blue Sky a livello degli altri grandi studi di produzione.

L'animazione realizzata al computer ha i suoi maestri e padri fondatori nella Pixar c'è qualcosa di tecnico che gli invidia?

Io non invidio nulla di tecnico agli altri. Tecnicamente possiamo competere con qualsiasi altro studio. Si tratta di aspetti molto importanti ma se proprio devo invidiare qualcosa è sicuramente la storia, almeno se mi trasporta via. Insomma tengo molto di più a tutto il bello di una storia ben narrata è quello che mi scatena emozioni.

E cosa invidia allora dal punto di vista della storia?
Ciò che mi ispira di più è trascendere la tecnica e arrivare al cuore del cinema, che poi è il medesimo cuore del cinema dal vero. Il nostro obiettivo non è solo fare cartoni ma presentare personaggi talmente profondi da farti dimenticare che si è di fronte ad un cartone poichè sei di fronte al cinema puro.

E per questo la Pixar è d'ispirazione?
Si. Da questo punto di vista sono rimasto molto impressionato da Ratatouille, da come quel topo in cerca di diventare un artista e come questo desiderio sia reso. Di fronte a queste cose la tecnologia scompare.

Voi invece ora avete scelto di affidarvi ad una storia scritta da un grande scrittore...
Abbiamo scelto la favola di Ortone perchè combacia con la nostra idea di cosa sia una grande storia per il cinema, il libro ha un inizio un mezzo e una fine, grandi personaggi e grande potenziale emozionale. E questo ci libera dal peso di fare la storia e lasciandoci unicamente il compito di capire come raccontarla.

da IL SECOLO XIX del 23/05/08

Cinema e Web alla Festa Del Cinema di Roma

La soddisfazione più grande nel poter curare un evento come Cinema e Web all’interno della Festa Del Cinema è sicuramente quella di portare a galla e poter condividere con una platea di mestieranti, appassionati ed esperti un nuovo mondo cinematografico che sta nascendo in rete a partire dalle nuove tecnologie.
Quelle nuove tecnologie che non solo consentono a chiunque di entrare in possesso di strumenti per la ripresa, il montaggio e l’authoring, ma che da pochi anni a questa parte consentono anche di pubblicare e mostrare (potenzialmente) al mondo intero le proprie opere.

Cinema e Web si propone di presentare il meglio della produzione audiovisuale che si è affacciata in rete, qualcosa che al momento è atta da poche persone per poche persone. E per questo motivo i prodotti migliori sono quelli per i quali può esistere una generale identità tra chi produce e chi fruisce. Questa è la vera componente di rottura: una sincerità nel mettere in scena e realizzare opere data dalla comunanza di idee, aspirazioni e volontà tra realizzatori e pubblico. E’ un cinema che parla direttamente al suo pubblico perchè lo conosce, perchè quelle dietro la videocamera sono le stesse persone che fino a ieri erano davanti al monitor stufe dei contenuti che vedevano. Una particolarità che non durerà ancora a lungo e che verrà soppiantata dall’arrivo dei grandi colossi ma che non potrà non influenzare tutto il futuro linguaggio del video in rete.

In questi filmati non ci sono i contenuti acquietanti proposti dai media tradizionali, e anche se i temi non sono molto diversi dal solito (si parla di donne e uomini, di vita metropolitana, di passioni e molto di solitudine) a mancare sono i contesti familiari (sia amorevoli che pedanti), mancano i rapporti convenzionali e mancano le aspirazioni sociali. Per ora il cinema che si vede in rete, quando non vola su temi fantastici con l’animazione o non esplora territori provocatori con la comicità, è sostanzialmente il ritratto malinconico e molto autoironico di chi lo mette in scena (e per buona parte di chi ne fruisce), di una generazione tra i 15 e i 35 anni che è anche l’utenza prediletta di internet.

Il grado zero di tutto è chiaramente l’User Generated Content, tutti quei video che non avrebbero trovato spazio da nessun’altra parte e che in alcuni casi, senza un chiaro motivo, vengono visti da milioni di utenti. Si tratta spesso di riprese di prestazioni curiose o particolari fenomeni che una volta diventati famosi vengono copiati e ripetuti da decine di altri utenti. Materiale che nonostante l’effimera inutilità, nel 10% dei casi sta innovando davvero, segnando il modo di girare e immettere video online.

Non troppo distanti dall’User Generated Content vengono i video musicali prodotti dagli utenti, videoclip alternativi per brani conosciuti e dotati già di loro videoclip ufficiali. Da tempo ormai MTV trasmette sempre meno videoclip lasciando il posto ai programmi e la rete sta prendendo il suo posto come canale preferenziale per i video che dunque non sono più trasmessi a flusso dalla rete, ma sono visti on demand.

Non mancano poi produzioni di tipologia televisiva. Nonostante il terreno sia quasi tutto occupato dai media tradizionali con contenuti tradizionali accade che ogni tanto qualcosa riesca a dimostrare la specificità del mezzo mettendo a nudo la natura di internet. Spesso ciò avviene appoggiandosi alla comicità, elemento trasversale ad ogni tipo di produzione.

Il comico, il grottesco e più in generale l’irriverente senso di divertimento basato sulla presa in giro sono una componente che contamina tutte le produzioni per internet, dove un registro divertente è la chiave per far diffondere qualunque contenuto ed arrivare a parlare al pubblico più vasto possibile. Questo oltre alle produzioni più dichiaratamente comiche, cioè i veri e propri sketch.

Il settore invece in cui la produzione in rete meglio rivaleggia con quella professionale è sicuramente quello dell’animazione, per il quale più che in altri le moderne tecnologie digitali permettono di produrre contenuti a basso costo e alta qualità. E se pure la maggioranza dei prodotti guarda all’animazione giapponese o al 3D della Pixar, esiste qualcosa che cattura immediatamente lo specifico delle tecnologie per la rete e che non potrebbe essere trasmesso da altre parti se non su internet: le animazioni fatte in Flash, un tecnologia nata per animare pagine web ma ora usata anche per fare corti animati di una qualità elevatissima.

A dominare ad ogni modo sono le serie ed il motivo è presto detto: si tratta di una tipologia di produzione più facilmente monetizzabile delle altre. Molte puntate, molti file da vedere e quindi pagine da caricare che equivalgono a più pubblicità visualizzata. Anche per questo le serie sono i contenuti dove la colonizzazione dei media tradizionali è arrivata per prima, ma ancora una volta senza saper incidere e innovare come fanno le produzioni autonome.

A conclusione di tutto poi arriva il cinema vero e proprio, i lunghi o cortometraggi dotati di linguaggio cinematografico prodotti per essere fruiti attraverso la rete e per sfruttarne i meccanismi e le possibilità esclusive. Sono ridefinizioni o anche evoluzioni del modo canonico di raccontare affiancate a sperimentazioni di modalità alternative di produrre e di mostrare contenuti di stampo cinematografico.
Da una parte dunque ci sono i film per la rete, caratterizzati da una messa in scena che è la summa delle caratteristiche esclusive di tutte le altre categorie, e dall’altra c’è una messa in scena più canonica ma che sfrutta le modalità alternative di produzione e di fruizione. Certo molti di questi video sono banalmente sperimentali e in realtà innovano poco non battendo strade effettivamente nuove o utili ma altri invece riescono a trovare effettivamente modi diversi di mettere in scena che sfruttino al meglio le possibilità di interazione di internet. Solo in quei casi siamo di fronte a qualcosa di “veramente” nuovo.

da 7TH FLOOR di Ottobre 2008

La sezione EXTRA della Festa del cinema: Intervista a Mario Sesti

Delle molte sezioni nelle quali si articola la seconda edizione della Festa Del Cinema di Roma (aperta dal 18 al 27 ottobre), una in particolare si distingue per particolarità, interesse ed originalità e soprattutto per l’attenzione dedicata (finalmente!) alle nuove tecnologie del cinema.

La sezione, denominata EXTRA e diretta da Mario Sesti, costituisce la parte più di frontiera della festa, quella più sperimentatrice e, a fronte delle Premiére molto commerciali e di un concorso che deve rispettare certi canoni, sicuramente quella più costretta a puntare sulla qualità.

Ma la selezione di EXTRA, contrariamente a quanto può avvenire per il resto della festa, non ha vincoli. Non deve rispondere a canoni predefiniti o dare conto di determinate esigenze che non siano quelle di mostrare il materiale più interessante raccolto nel mondo come in patria, “perchè chiunque si occupi di cinema si è accorto da tempo che la grande sala ormai ha perso la sua funzione egemone” è stata la risposta di Mario Sesti, il direttore artistico della sezione, quando, seduti per iniziare l’intervista gli abbiamo chiesto subito a bruciapelo il perchè di una sezione EXTRA all’interno della festa.

Ma non c’è solo la sperimentazione. Sono raccolti in ordine sparso all’interno della sezione sia documentari (veri o finti che siano) molto originali e particolari trovati nei festival meno noti, al pari di versioni restaurate di capolavori come Novecento di Bertolucci ed esperimenti fuori dalle convenzioni di autori convenzionali come il documentario di Guido Chiesa sui cambiamenti nel sistema metereologico accordati ai mutamenti sociali.
In maniera ordinata invece si può dire che la sezione EXTRA ha due direttrici principali, una va verso il passato e una verso il futuro.

La prima è quella che si occupa delle grandi retrospettive che interessano i capisaldi dell’actor’s studio (quest’anno tocca alle donne emancipate degli anni ‘70: Jane Fonda, Shirley Knight e Cloris Leachman) e un serie di incontri d’eccezione tra cui spiccano quello con Francis Ford Coppola e l’impensabile incontro con Terrence Malick, lo schivo e inafferrabile autore di “La Sottile Linea Rossa” e “La Rabbia Giovane”, già definito a suo tempo e senza alcuna esagerazione da Michael Cimino “l’unico vero poeta della mia generazione”. In più quest’anno l’Acting Award sarà consegnato a Sophia Loren, il perchè della scelta è presto detto: “Innanzitutto volevamo una donna, visto che l’anno scorso è stato un uomo ad essere premiato, Sean Connery. E poi volevamo alternare un premiato straniero ad uno italiano e a quel punto il nome di Sophia Loren è arrivato spontaneamente“.

La seconda direttrice, quella verso il futuro, attraverso il Premio Cult mette in competizione le produzioni più originali e fuori dagli schemi, il cui linguaggio innovativo è destinato ad influenzare in qualche anno quello del cinema mainstream. Forse a tal punto da potersi aspettare di trovare tra qualche anno esperimenti non diversi da quelli visiti in EXTRA all’interno di selezioni ufficiali? “Sicuramente penso che un festival debba saper incorporare quand’è il momento giusto le novità. Le cose che vengono proposte nel programma di EXTRA sono tutte relative a possibili evoluzioni del linguaggio cinematografico ed audiovisuale e io sarei molto contento se tra 10 anni qualcuna delle innovazioni che presentiamo quest’anno fosse alla base di un film parte della selezione ufficiale“.

Durante la conversazione con Mario Sesti emerge con chiarezza come l’impronta che ha voluto dare a questa sezione sia stata prevalentemente mirate a dimostrare che, come ci dice lui, “il cinema sia pur frammentato conserva sempre la sua identità, perchè è un software che si adatta benissimo a tantissimi tipi diversi di hardware“.
Con questo Sesti fa riferimento al fatto che oltre al Premio Cult lo sguardo sul futuro di EXTRA si articola anche in una serie di eventi speciali dedicati a formati diversi dal grande schermo ma sempre fortemente improntati sul linguaggio cinematografico. Verranno mostrate installazioni di VideoArte, i risultati di un concorso di cortometraggi parallelo alla Festa Del Cinema che si è svolto unicamente in rete con la collaborazione di MySpace, e un incontro speciale sul cinema e i suoi nuovi formati ed esperimenti in rete.
Un’attenzione alle nuove tecnologie che non può trascurare la proiezione digitale: “saranno allestiti alcuni padiglioni con proiezioni interamente digitali e in alta qualità. Ormai un festival non può non prevedere questo tipo di formato, specialmente se si prefigge di esplorare nuovi territori“.


Ma questo appunto è qualcosa che ormai ogni festival non può evitare di mostrare. Esistono invece sezioni simili ad EXTRA, per varietà e novità, negli altri grandi festival?Sicuramente ci sono esprimenti non dissimili dal nostro, ma noi abbiamo cercato una nostra via che si situi a metà tra la sperimentazione e la tradizione. La sezione EXTRA non è solo nuovi formati e nuovi linguaggi ma anche retrospettive, uno sguardo al grande cinema passato e alle professioni come quella dell’attore. Ecco un’unione simile forse è una cosa unica“.

Il problema principale l’anno scorso fu la difficoltà di riuscire a prendere parte a tutti gli eventi interessanti che affollavano il programma, una cosa di cui in molti si lamentarono e che la direzione non ha mancato di recepire, ecco perchè Sesti alla domanda su quali aggiustamenti siano stati necessari quest’anno si affretta a rispondere che “l’anno scorso in quanto prima edizione ci sono state molte cose che non andavano e che quest’anno abbiamo ottimizzato. A partire dal programma: più snello e agile, più semplice da seguire e più chiaro. E poi abbiamo aggiunto la Rush Line cioè a 20 minuti dall’inizio di ogni proiezione sarà possibile, se ci sono posti liberi in sala, accreditarsi o comprare quei biglietti. L’anno scorso infatti fu un problema il fatto che molti accreditati o persone che avevano acquistato il biglietto non sono poi andate allo spettacolo e le sale avevano posti liberi mentre fuori era pieno di persone che volevano entrare“.

La passione e l’ardore che Sesti profonde descrivendo i singoli film, i singoli incontri e tutti i piccoli eventi della sezione sono tali che è impossibile ad un certo punto non chiedergli quale tra i tanti eventi, se fosse stato solo un semplice spettatore, non si sarebbe voluto assolutamente perdere: “Io se non fossi nell’organizzazione sarei comunque un grande amante del cinema e di quello di Coppola in particolare e un evento come quello dell’incontro con il grande regista che porterà con tutta probabilità anche la sua famiglia al completo sarebbe imperdibile“.

da 7TH FLOOR di Ottobre 2008

Il futuro delle tecnologie del cinema secondo Bruce Sterling

Le parole con cui Matt Aitken, uno dei membri più importanti della WETA digital (compagnia di effetti speciali nota per aver realizzato King Kong) ha aperto la conferenza dei dieci anni del Future Film Festival, l’evento bolognese che annualmente propone il futuro del cinema, sono state:

“Nel 1997 il campione d’incassi della stagione era Titanic, seguito da Il mondo perduto, sequel di Jurassic Park. Vedevamo il cinema come una macchina destinata ad effetti speciali sempre più raffinati ma non ne avevamo capito la direzione”.

E stando alle molte personalità intervenute a Bologna il futuro delle sale, almeno a breve, è sicuramente il 3D, sbandierato come l’arma definitiva contro la pirateria (poichè non replicabile in casa).
La Pixar è pronta, la WETA è pronta (con l’attesissimo Avatar che nel 2009 vedrà il ritorno di James Cameron al cinema), l’Industrial Light And Magic è pronta e, strano a dirsi, anche le sale italiane lo sono.

Nonostante al momento quelle attrezzate siano circa 8 in tutto il territorio, i principali multisala si stanno muovendo e contano di essere pronti per la fine dell’anno. Già il 2007 infatti ha visto molti film proiettati in 3D con esiti decisamente più remunerativi (calcolando la media incassi per sala) delle proiezioni usuali e questo sarà ancora più vero per il 2008. Nessuno vuole rimanere fuori dalla nuova ondata di 3D che questa volta sembra tornato per restare.

Più invisibile allo spettatore ma ugualmente devastante è anche l’evoluzione delle tecnologie di realizzazione dei film. Dieci anni fa non immaginavamo di poter creare personaggi virtuali e muoverli o farli recitare catturando la performance di attori veri (come proprio la WETA ha fatto per il Gollum nei film del Signore Degli Anelli) e ora invece riusciamo non solo a far questo ma, dal secondo episodio di “I Pirati Dei Caraibi” in poi, possiamo anche far recitare questi attori che prestano i movimenti direttamente sul set con gli altri membri del cast e non più in una stanza a parte contornati da pareti verdi.

La Virtual Cinematography
Ma ancora di più, il futuro ci riserva la “virtual cinematography” cioè la possibilità per un regista di vedere su un piccolo schermo in diretta il frutto del motion capture applicato al personaggio digitale e non più in post produzione, potendo quindi dare indicazioni di regia e di recitazione come si trattasse di un attore normale, migliorando sempre di più il livello di interazione tra vero e falso.

Eppure i cambiamenti più grossi stanno accadendo fuori dai cinema e dai set. Negli ultimi anni il cinema è sempre più in stretti rapporti con la rete, che porta un nuovo modo non solo di distribuire i film (legalmente o illegalmente) ma anche di promuoverlo con continue anticipazioni e nuovi trailer che creano aspettativa, e soprattutto di discuterne. Una nuova dimensione di critica e promozione a cui l’industria ancora deve abituarsi ma che non può trascurare.

Il Future Film Festival è stata la prima manifestazione ad ospitare una tavola rotonda di cineblogger, cioè tutti i più grandi blogger di cinema riuniti per discutere del fenomeno e di come di fatto si tratti di una nuova critica proveniente dal basso, l’unica ad occuparsi di molto cinema “sommerso” di cui i media tradizionali non parlano. Un fenomeno inevitabilmente destinato ad influire sulla circolazione di tanto cinema a cui viene negata un’uscita italiana o che è relegato a poche sale sul territorio.

Il Futuro Secondo Bruce Sterling
Ma ad attirare tutta l’attenzione su di sè è stato principalmente Bruce Sterling. Il noto scrittore di fantascienza cyberpunk, futurologo e giornalista, con il suo solito modo di esporre vivace e colorito ha parlato del futuro del rapporto tra cinema e rete tracciando 4 possibili scenari. Si tratta dei 4 possibili 2018 dati dal diverso intrecciarsi delle variabili tecnologiche e delle loro implicazioni “socioeticolegali” (citazione testuale).

Per Sterling prevede quattro scenari per il futuro del cinema:

  1. a basso tasso tecnologico e basso controllo simile a Bollywood, un’industria fiorente ma immatura dove i contenuti traboccano e non c’è modo di controllarli;
  2. uno a basso tasso tecnologico ed alto controllo che somiglia più al “sistema rinascimentale di Sarkozy”, dove cioè i nuovi media sono tassati a favori dei vecchi;
  3. un futuro ad alto tasso tecnologico e alto controllo che vede il 2018 come il 1984 di Orwell, un mondo in cui sono le associazioni che riuniscono le etichette musicali o i grandi studios a dominare e dove “piratare un film può costarti la vita”; e infine c’è
  4. un futuro ad alto tasso tecnologico e poco controllo dove tutti possono fare tutto e rubare tutto e dove non esistono i blockbuster ma solo tronconi di film, un gigantesco YouTube 3.0 o per usare le parole dello scrittore: “un’infinita scuola di cinema”.

Da bravo scrittore però Sterling ha precisato solo alla fine che con tutta probabilità questi quattro scenari si verificheranno tutti quanti insieme e contemporaneamente.

Un futuro segnato? No. A noi rimane la possibilità di scegliere quale preferiamo e spingere il più possibile in quella direzione.

da 7TH FLOOR di Febbraio 2008

8.7.08

Arrivano i superfilm ma si litiga sugli occhialini

Il 2009 sarà l'anno del cinema in tre dimensioni: si annunciano film a raffica, le sale attrezzate crescono in tutto il mondo (secondo "Variety" sono passate dalle 98 del 2005 alle 1300 del 2007). Ma, come accaduto per la nuova generazione di dvd, l'industria è divisa su quale tecnologia 3D adottare. Quando il prossimo aprile Monsters vs. Aliens, lungometraggio dei creatori di Shrek, darà il via alle danze (altri otto film lo seguiranno nel corso dell'anno) probabilmente la situazione non sarà più chiara di oggi, le sale infatti non si stanno modernizzando tutte con lo stesso tipo di tecnologia tridimensionale.

I cinema in America e nel resto del mondo stanno facendo le prove generali e continueranno a farle fino alla fine di quest'anno con l'uscita di due nuovi film: Bolt, della Disney (girato in 2D e poi adattato al tridimensionale), e Viaggio al centro della Terra, il classico racconto di Jules Verne girato in 3D (cioè con due macchine da presa). In Italia ci sono al momento di circa una quindicina di schermi pronti, ma gli esercenti, finalmente non più ostili al costoso cambiamento, si stanno attrezzando e tutte le principali catene di multisale pianificano l'apertura di diversi schermi 3D entro il 2009. La tecnologia del cinema tridimensionale infatti piace al pubblico, soprattutto ai più giovani, e piace anche a chi i film li produce, li distribuisce e li proietta perché, dicono, è un'esperienza nuova che attrae e soprattutto che non è piratabile (cosa vera solo al momento).

Ma non tutti i 3D sono uguali, e alle diverse tecnologie di proiezione corrispondono differenti tipi di occhiali da far indossare agli spettatori (in attesa della seconda era del 3D, quella che abolirà ogni forma di occhiale). A tutt'oggi non c'è uno standard unico e addirittura molte catene, come i multiplex Giometti o i Cinecity, si sono equipaggiati con più di una tecnologia: "Abbiamo montato sia proiettori XpanD, che richiedono occhiali interattivi con lo schermo, che Dolby 3D, per il quale si usano gli occhialetti classici" spiega Gianantonio Furlan titolare della catena Cinecity "La differenza è che nel primo caso l'effetto tridimensionale avviene proprio grazie all'occhiale e quindi davanti agli occhi, nel secondo invece avviene a livello di proiettore e l'occhiale filtra solamente l'immagine. Ma, nonostante ci sembri migliore il primo sistema, stiamo sperimentando anche il secondo poiché gli occhiali interattivi hanno un costo di manutenzione molto elevato". Oltre ai due sistemi citati ne esiste anche un terzo, chiamato Real D, che utilizza i classici occhiali di carta usa e getta dal costo irrisorio e che per questo è il più diffuso al mondo. In Italia però solo i cinema della catena Uci Cinemas l'hanno adottato.

Tanta tecnologia per vedere cosa? Uno dei successi di stagione, ancora in proiezione all'Arcadia di Melzo, è U2-3D, il lungometraggio girato tridimensionalmente del concerto dall'ultima tournée della band di Bono Vox. "È stato un grande successo, lo proiettiamo dal 24 aprile" racconta Laura Fumagalli dell'Arcadia, multisala diventata un faro della modernità cinematografica in Italia, dotata addirittura di due sale per il 3D, con tecnologia a occhiali interattivi "La risposta del pubblico è ottima, la gente ci chiede se continueremo la programmazione di film in tre dimensioni".

Sì, perché il pubblico sembra gradire questo passo in avanti del cinema, anche se non ci sono ancora dati affidabili per "misurare" questo gradimento. Siamo ancora in una fase, se non pionieristica, di studio. I film usciti in tre dimensioni sono stati per lo più esperimenti, come appunto U2-3D o Hannah Montana della Disney che in 3D a Milano è addirittura in tre sale (Arcadia, Uci Bicocca e Apollo), ci sono state riedizioni di grandi classici come Nightmare before Christmas di Tim Burton (e nel 2009 vedremo anche la riedizione di Toy Story della Pixar di John Lasseter) e Beowulf che però non si è rivelato un grande blockbuster nemmeno nella versione canonica in 2 dimensioni. Ad ogni modo le poche stime italiane sembrano in linea con quelle più sostanziose rilevate all'estero e dicono che quando può scegliere tra 2D e 3D il pubblico opta per il tridimensionale nell'80% dei casi, nonostante sia sempre previsto un sovrapprezzo rispetto al biglietto normale (al momento quasi ovunque di un euro, ma destinato ad aumentare).

Non resta che attendere la prossima stagione per uscire da questa fase sperimentale e capire se il 3D diventerà un nuovo modo di vedere il cinema. Il clou arriverà a dicembre 2009 con l'uscita di Avatar, l'attesissimo ritorno al cinema di James Cameron, regista di culto e innovatore tecnologico, inattivo dai tempi di Titanic, che ha definito il suo film 3D "un'esperienza totalmente nuova per tutti, qualcosa di mai visto prima. Di sicuro l'opera cinematografica più complessa che sia mai stata realizzata".

da LA REPUBBLICA del 08/07/08

5.6.08

Gomorra e Sorrentino conquistano il pubblico più giovane

«È la seconda volta che vengo a vederlo. È bellissimo! Forse ci torno anche un terza se trovo qualcuno con cui andare» a parlare in questo tono di Gomorra è un ragazzo di 19 anni all’uscita da un grande cinema multiplex di Roma. Contro ogni aspettativa infatti le catene multisala stanno diventando di giorno in giorno sempre più pesanti nel successo del film di Garrone.
Il dato è subito confermato anche dagli esercenti dei multiplex come sostiene il filmbuyer della catena dei Warner Village, Andrea Roselli: «Ho tenuto una doppia copia di Gomorra in uno miei multisala del Veneto alla terza settimana di proiezione, non mi era mai capitato prima».
Dunque dopo i trionfi di Cannes ma anche indipendentemente da essi (distributori e esercenti concordano che molta parte del pubblico non si fa influenzare dai premi del festival francese) entrambi i film stanno dimostrando come i criteri applicati solitamente da chi è abituato ad interpretare gli incassi in questo caso non funzionino.
Il pubblico, soprattutto quello giovanile e di periferia che sceglie più facilmente i multiplex, sta preferendo Il Divo a Sex And The City e sta tornando a rivedere Gomorra più di una volta. Il risultato è che per entrambi i film gli incassi dei multiplex arrivano ad essere quasi la metà del totale (in proporzione i multisala realizzano il 49% del totale degli incassi del film di Matteo Garrone e il 44% di quelli del film di Sorrentino) da che si pensava che sarebbero stati più che altro i cinema del circuito d’autore con poche sale a fare la differenza.
La spiegazione del fenomeno la dà un altro dei tanti ragazzi che sono rimasti soddisfatti da Gomorra: «Mi è piaciuto perché è duro, non fa la morale come i soliti film italiani, ma ti fa vedere le cose come stanno».
Più dura era però la sfida che si era posto Paolo Sorrentino con Il Divo: spettacolarizzare la DC. Eppure come ha spiegato anche Andrea Occhipinti, che con la sua Lucky Red ha distribuito il film: «Per il pubblico più giovane Sorrentino compensa Andreotti. Cioè, nonostante il nostro film riscuota più successo presso un pubblico maturo, lo stile moderno e pieno di musica del regista riescono ad attrarre i ragazzi anche a dispetto dell’apparente austerità del tema». E grande merito in questo viene attribuito anche ad un’attenta campagna promozionale che fin dal trailer ha saputo comunicare correttamente il fascino dinamico del film.
E anche l’incasso per regioni presenta delle sorprese cui non siamo abituati. Se infatti nelle sale del centro e del nord Italia in fondo ci si attendeva una buona prestazione di Gomorra, sia esercenti che distributori ci tengono a precisare come, nonostante il grande caldo, nei cinema del sud stia facendo registrare prestazioni in proporzione anche migliori, superiori ad ogni aspettativa.
Dall’altra parte Il Divo ha il suo punto di forza nel centro Italia «e nei giorni feriali» sostiene Pierluca Sforza, direttore commerciale di Lucky Red «perché il grosso del suo pubblico rimane quello di età medioalta e ci aspettiamo che con l’andare del tempo il passaparola favorisca ancora di più un abbassamento dell’età media».

da LA REPUBBLICA del 05/06/08