28.1.09

Quarantine e REC: la differenza è tutta nelle piccole variazioni

Gli americani non doppiano i film, li rifanno da capo. Dopo il caso Vanilla sky/Apri gli occhi tornano a riadattare un film di successo spagnolo con Quarantena, instant remake di REC.
E come per i molti casi di pellicole giapponesi riadattate anche stavolta si tratta di un horror, uno dei migliori e più "americani" tra quelli girati al di fuori degli Stati Uniti. Stranamente però anche Quarantena, come Vanilla sky e diversamente dai j–horror, è un calco quasi perfetto dell'originale, una copia identica nella storia, nella struttura del racconto, nelle scenografie, nelle scene e nell'idea di fondo. Una copia in cui ognuna delle molte piccole variazioni conta tantissimo.
A fronte di tante piccole differenze però il vero distacco tra Quarantena e REC è dato da come il primo faccia solo finta di imitare quello stile di ripresa amatoriale che il secondo invece persegue concretamente. In realtà Quarantena è cinematografico dall'inizio alla fine e prosegue quel discorso tutto hollywoodiano sull'orrore messo in scena con macchina a mano attraverso la grande cura profusa nell'illuminazione, nelle inquadrature (studiatissime e composte con molta cura), negli effetti di sfocato che indirizzano lo sguardo dello spettatore e nell'attenzione agli elementi della scena che inserisce o lascia fuori dal campo visivo.

La prima e più grande differenza tra i due film la si nota subito nella prima inquadratura: Scott, il cameraman che nell'originale spagnolo non vediamo mai entra in campo. È nero. E non sarà la sola volta che lo vedremo, le sue apparizioni saranno centellinate ma presenti lungo tutto il film, "normalizzando" in un certo senso il suo personaggio.
Allo stesso modo sono disegnati in maniera più canonica e quindi con un po' più di profondità anche i personaggi dei vigili del fuoco, specialmente nelle scene iniziali all'interno della caserma.
Un altro prevedibile cambiamento nei caratteri è poi quello che vede la famiglia di asiatici diventare una famiglia di africani e la scomparsa della figura molto europea del vecchio effemminato.
In linea con la tendenza statunitense a ritrarre in maniera violenta le proprie forze dell'ordine poi c'è un piccolo ma significativo cambiamento in come la polizia non solo impedisca ai personaggi di uscire dalla casa ma sia anche pronta ad ucciderli tramite dei cecchini piuttosto che lasciarli uscire.
Infine scompare tutto l'anticattolicesimo a sfondo satanico (molto tipico dell'horror spagnolo recente) che caratterizzava il personaggio originale dell'inquilino dell'ultimo piano. Anche in Quarantena questo non si vede ma stavolta non c'è la voce impressa sul nastro a spiegare cosa sia successo e i soli pochi indizi vengono dati dalle carte sui muri.

Dal punto di vista dei canoni dell'orrore invece le differenze tra Quarantena e REC è totale. Gli americani hanno leggi e regole proprie per quanto riguarda la paura e in questo senso hanno adattato le dinamiche del film aggiungendo alcune nuove scene o sottolineandone con maggior forza altre.
Su tutto risalta molto come gli "infetti" ruggiscano come animali, anticipando in un certo senso la loro rezione bestiale e come si prema molto più il pedale sul gore. Nel remake americano infatti la videocamera diventa anche un'arma spesso sbattuta contro il volto degli infetti per difendersi e c'è decisamente più spargimento di sangue.
Più in generale però si può dire che tutte le scene cardine e gli snodi narrativi sono rimasti invariati, e intorno ad esse le sequenze aggiunte sono state concepite, delle "variazioni sul tema".
C'è in più il personaggio di un ubriaco e del suo cane infetto che vengono eliminati in un'altra scena aggiunta che comprende un ascensore. Allo stesso modo ci sono sequenze aggiunte che prevedono la presenza di topi infetti nel palazzo. Presenza che poi troverà una spiegazione nelle scene all'ultimo piano.
E proprio dal punto di vista delle spiegazioni salta agli occhi come Quarantena si dilunghi molto di più nell'illustrare le ragioni scientifiche della contaminazione, teorizzando una forma di "rabbia" che contagia e si presenta all'istante, mentre poi si rifiuta di dare un senso a cosa abbia dato vita all'epidemia

da MYMOVIES del 28/01/09

9.1.09

Lasciami entrare come Nosferatu, una variazione sul tema di Dracula

Ci voleva un film svedese per adattare con grande sapienza la figura classica del vampiro all'era moderna. Lasciami entrare nonostante non abbia al centro del suo svolgimento le dinamiche vampiresche riporta in vita il mito del vampiro seguendo tutte le direttrici mitologiche fissate nel tempo dalle tradizioni popolari e poi dalla letteratura ottocentesca.
Dalla sensualità asessuata alla violenza del colpire, dall'attrattiva morbosa alla pacatezza nei modi, dal tema del male in continuo viaggio alle entrate dalla finestra, tutte le caratteristiche e i topoi dei racconti classici di vampiri tornano camuffate da espedienti moderni con una bravura che raramente abbiamo visto.
Sebbene negli ultimi anni la figura del vampiro sia diventata per certi versi un eroe romantico, preda di una maledizione contro la quale combatte solitario rifiutando l'omicidio e cercando (senza riuscirci) l'amore, e per altri una specie di zombie atletico, figura spaventosa senza sfumature più simile ad un animale che ad un raffinato gentiluomo, deforme in volto e organizzato in branchi, lo stesso il film di Tomas Alfredson riesce a riazzerare tutto senza suonare vecchio e stantio, anzi. La vera novità è nel trovare un modo di raccontare in maniera moderna quella figura antica. In questo caso quindi non è la storia che cambia ma come è raccontata.
E non era facile, perchè tra i diversi generi cinematografici l'horror è quello che più di tutti negli anni ha saputo rispecchiare la società attraverso la messa in scena di "ciò di cui in questo momento storico si ha timore". E nel mondo dell'horror un ruolo tutto particolare lo ospita il vampirismo e le sue evoluzioni, da Dracula e le sue variazioni e poi anche con il concetto di "vampiro" inteso come creatura succhiasangue.

Ci voleva un film svedese per adattare con grande sapienza la figura classica del vampiro all'era moderna. Lasciami entrare nonostante non abbia al centro del suo svolgimento le dinamiche vampiresche riporta in vita il mito del vampiro seguendo tutte le direttrici mitologiche fissate nel tempo dalle tradizioni popolari e poi dalla letteratura ottocentesca.
Dalla sensualità asessuata alla violenza del colpire, dall'attrattiva morbosa alla pacatezza nei modi, dal tema del male in continuo viaggio alle entrate dalla finestra, tutte le caratteristiche e i topoi dei racconti classici di vampiri tornano camuffate da espedienti moderni con una bravura che raramente abbiamo visto.
Sebbene negli ultimi anni la figura del vampiro sia diventata per certi versi un eroe romantico, preda di una maledizione contro la quale combatte solitario rifiutando l'omicidio e cercando (senza riuscirci) l'amore, e per altri una specie di zombie atletico, figura spaventosa senza sfumature più simile ad un animale che ad un raffinato gentiluomo, deforme in volto e organizzato in branchi, lo stesso il film di Tomas Alfredson riesce a riazzerare tutto senza suonare vecchio e stantio, anzi. La vera novità è nel trovare un modo di raccontare in maniera moderna quella figura antica. In questo caso quindi non è la storia che cambia ma come è raccontata.
E non era facile, perchè tra i diversi generi cinematografici l'horror è quello che più di tutti negli anni ha saputo rispecchiare la società attraverso la messa in scena di "ciò di cui in questo momento storico si ha timore". E nel mondo dell'horror un ruolo tutto particolare lo ospita il vampirismo e le sue evoluzioni, da Dracula e le sue variazioni e poi anche con il concetto di "vampiro" inteso come creatura succhiasangue.

A partire dal dandy sofisticato degli anni '30 la figura del vampiro continua a costellare in un modo o nell'altro la cinematografia americana e non, guardando sempre a quel modello ma variando spesso e volentieri il tono. A volte si tratta di piccole evoluzioni a volte invece di recuperi classicheggianti, come la serie di film della Hammer degli anni '60 passati alla storia del cinema con lo splendido Christopher Lee nel ruolo del principe delle tenebre. Ma anche in questi casi si tratta comunque di una versione progressivamente più brutale del mito o della figura. I tempi non erano gli stessi e l'orrore necessitava più brutalità.
Le croci da che erano elementi di cui il vampiro non riusciva a sostenere lo sguardo diventano oggetti al cui contatto la sua pelle brucia violentemente, il sangue è sempre più rappresentato e l'attenzione lentamente scivola dalla paura per la minaccia alla paura sanguinaria. Tutte cose che non troviamo invece nel film svedese che rifiuta la dimensione violenta (se non per qualche accelerazione tipica del cinema moderno) preferendo quella del racconto del modus operandi vampiresco e delle reazioni della popolazione.
Quello che succede negli anni a seguire è che, passando poi attraverso le celebri rappresentazioni ironiche supervisionate da Andy Warhol e deviazioni da teen-comedy degli anni '80, il cinema di vampiri si presenta all'alba degli anni '90 con la medesima foggia di 60 anni prima se serio (in linea di massima ambientato nell'Ottocento) e in veste più moderna se ironico. Questo porta a un interesse sempre minore del pubblico per la figura, anche perchè così com'è non riesce più ad intercettare le paure moderne, non suscita timore e non sembra plausibile.
Per ridare vita alla figura servirà che due mostri sacri del cinema si occupino del sacro mostro Dracula con un adattamento del romanzo originale che ha fatto epoca e una clamorosa variazione sul tema.

Nei primi anni '90 il vampiro riprende prepotentemente la scena grazie da una parte a Dracula di Bram Stoker diretto da Francis Ford Coppola, che ritrae il vampiro classico come una figura adesso pienamente romantica, non più animale del sesso ma tenero innamorato vittima di una maledizione, non più cattivo ma buono ambiguo. Dall'altra grazie Abel Ferrara che con il suo The addiction mostra nella New York di oggi un gruppo di vampiri moderni che vivono in branchi e che non hanno niente degli originali se non la folle dipendenza dal sangue che consumano brutalmente non più mordendo ma mangiando. Per il regista era una metafora della dipendenza dalla droga ma per il resto del cinema diventa una traccia da seguire.
Questi due film creano due filoni distinti che continuano ad influenzare la produzione contemporanea: uno romantico, l'altro sanguinario.
I vampiri così tornano al cinema e già Neil Jordan poco da Coppola conferma il trend con il suo Intervista col vampiro, dove i succhiasangue sono romantici, pieni di sentimenti ed ossessionati da una maledizione che li costringe a dipendere follemente dall'omicidio da cui tentano (almeno uno dei due) di fuggire. Mordono ancora lascivamente ma sono pieni di problemi, il male non è più il sesso ma l'omicidio, i cattivi diventano figure comprensibili e non da osteggiare.
Ma siccome di cattivi c'è sempre bisogno qualcuno deve prendersene l'onere. Dunque meno problemi li hanno i vampiri che vanno per la maggiore, quelli sanguinari che si contagiano a vicenda più come gli zombie che come i loro illustri predecessori, che non hanno una psicologia e che cacciano come animali non come uomini. Sono quelli di Dal tramonto all'alba o di Blade, esseri potenti e forti che spesso non parlano nemmeno ma che sembrano reagire come bestie in presenza dell'uomo.
Anche film che recuperano tempi andati come Van Helsing non mostrano più Dracula in modo classico ma vi sostituiscono sempre di più figure mostruose, che scelgono forme non umane o che comunque sono mostruosi in volto quando si accingono a cibarsi e non dotati di quello sguardo magnetico e fascinoso di Bela Lugosi.
L'arrivo oggi al cinema di un film come Lasciami entrare quasi insieme ad un altro come Twilight continua il trend. In Twilight i vampiri sono mostrati nella doppia dimensione: romantici, pieni di problemi e afflitti da una maledizione (i buoni) ma anche mostruosi, inarrestabili e animali (i cattivi).
Mentre nel film svedese la questione è più subdola e complessa: la violenza non è più il centro e la bambina vampira (benchè non contenta di vivere uccidendo) è fascinosa come Bela Lugosi, avvince altri bambini e li tiene con sè finchè non sono troppo vecchi e inservibili, non ha sesso ma ammalia. Il vampiro così è nuovamente la maledizione che va di villaggio in villaggio, come la peste.

da MYMOVIES del 8/01/09