3.7.09

Il club delle 100 milioni di visualizzazioni

Quanti video sono stati visti in rete più di 100 milioni di volte e qual è il più visto? The Evolution of Dance? Girlfriend di Avril Lavigne? No. Quelli sono i più visti su YouTube, che pur essendo il sito di videosharing più popolare di tutti rimane solo una delle tante piattaforme. Il video più visto in assoluto (nelle sue varie forme) è Crank Dat di Soulja Boy. Più di 350 milioni di visualizzazioni per un fenomeno fortemente localizzato negli Stati Uniti e praticamente sconosciuto da noi. Ed è solo la prima delle sorprese.

Stimolata dall'improvviso e devastante successo del video di Susan Boyle, la Visible Measures ha stilato una classifica dei video che superano le 100 milioni di visualizzazioni, la prima in assoluto, poichè contare le visualizzazioni di un video attraverso diverse piattaforme è una cosa fatta solitamente per misurare le campagna di viral video e quindi un servizio a pagamento. Per farsi pubblicità però la compagnia ha deciso di far scandagliare al suo software, True Reach, tutta la parte di rete che indicizzano (circa 150 piattaforme di video in rete). Il risultato è il club delle 100 milioni di visualizzazioni, area elitaria che ad oggi conta 18 membri e che fotografa quale sia il pubblico del video in rete mostrando cosa sia più guardato e condiviso.

Quello che si capisce in parte già lo si sapeva e in parte no. La maggior parte dei video sono musicali, ben 8 (segno che la musica è il contenuto più universale), poi ci sono 4 trailer cinematografici (di cui due sono film tratti da libri) e solo 3 video user generated e 3 presi dalla televisione. L'unico personaggio ad essere presente due volte (con un video e un trailer) è Hannah Montana e, grande sorpresa, c'è molto poco da ridere!
Molti dei video in classifica ci hanno impiegato anni ad arrivare in quella posizione e altri, come quello di Susan Boyle, ci sono arrivati in pochissimo tempo (e chissà quanto ancora possono crescere), quasi tutti però non hanno avuto tempo e modo di monetizzare un successo che, nonostante la lenta crescita, è stato comunque inaspettato.

Analizzando la classifica più nel dettaglio si nota che, dopo la prima posizione occupata dalla band autoprodotta ed emersa in rete fino a diventare famosa (specialmente per il balletto che è diventato imitatissimo), arriva il trailer di Twilight, sul cui successo è inutile speculare ancora e un video di Mariah Carey (stranamente la prima tra gli artisti noti) che precede la prima clip televisiva, un interessante sketch di ventriloquio che prende di mira i terroristi e che non è difficile immaginare da quale paese sia stato visto e rivisto fino ad arrivare così in alto.
Quinta è poi Susan Boyle (anche se il successo devastante potrebbe fargli scalare altre posizioni in pochissimo) e dopo il videoclip di Leona Lewis in sesta posizione arriva finalmente la (ex?) campionessa di YouTube Avril Lavigne. Dopo Chris Brown c'è, al nono posto, il trailer di The Dark Knight, film che ha goduto di un'hype, un seguito e un interesse internazionale senza precedenti per l'affastellarsi di tantissimi elementi particolari (dal successo del precedente Batman Begins, alla totale revisione del personaggio del Joker fino alla morte di Heath Ledger).

Solo undicesimo (ma primo tra quelli user generated) è invece il video che per molto tempo è stato considerato il più visto di YouTube e che adesso fa avanti e indietro tra la prima e la seconda posizione con Avril Lavigne, cioè Evolution Of Dance, subito seguito dal primo dei due video di Hannah Montana (questa volta un videoclip a nome della cantante, Miley Cyrus, e non del personaggio).
Al 13esimo posto Charlie Bit My Finger... Again, unico rappresentante della categoria tipica di YouTube "so cute it hurts", cioè i video che strappano una risata di tenerezza coinvolgendo solitamente animali domestici o bambini. In questo caso bambini. Se non ne capite il senso o il successo (136 milioni di visualizzazioni) non avete capito chi sono in realtà i naviganti di internet e siete ancora convinti di essere voi un campione rappresentativo.

Al 14esimo posto ancora videoclip, quello di Rihanna, e poi un altro spezzone di Britain's Got Talent quello di Paul Potts, un pre-Susan Boyle arrivato in rete due anni fa e apprezzato per le medesime ragioni sentimental-popolari del primo ma ritornato in auge in scia al successo di Susan. Anche qui c'è un uomo che non sembra pronto per lo show business, intrappolato in un lavoro che non ama e che appare abbastanza grigio ma poi pronto a sorprendere tutti e riscattarsi con il talento del titolo. Curioso come la dinamica drammaturgica del video di Paul Potts non sia molto diversa da quella del video di Susan Boyle, solo meno efficace e precisa.
Al 16esimo posto il sempreverde Harry Potter con il trailer del prossimo film in uscita, seguito da Lezberado uno dei videoblog più seguiti della rete, l'unico capace di arrivare a sfondare la quota delle 100 milioni di visualizzazioni in virtù di un tema ancora più popolare: il sesso lesbico. Chiude la classifica ancora Hannah Montana, stavolta con il trailer del film.


1
Soulja Boy: Crank That
356,300,000
2
Twilight
266,500,000
3
Mariah Carey: Touch My Body
230,200,000
4
Jeff Dunham: Achmed the Dead Terrorist
196,500,000
5
Susan Boyle (Britain's Got Talent)
186,000,000
6
Leona Lewis: Bleeding Love
185,600,000
7
Avril Lavigne: Girlfriend
176,000,000
8
Chris Brown: With You
175,000,000
9
The Dark Knight
172,500,000
10
Alicia Keys: No One
160,300,000
11
Evolution of Dance
147,000,000
12
Miley Cyrus: 7 Things
143,000,000
13
Charlie Bit My Finger... Again
136,000,000
14
Rihanna: Please Don't Stop the Music
122,000,000
15
Paul Potts (Britain's Got Talent)
118,800,000
16
Harry Potter and the Half Blood Prince
104,800,000
17
Lezberado: Revenge Fantasies
103,000,000
18
Hannah Montana: The Movie
100,100,000

da WIRED.IT del 12/05/09

Th Hunt For Gollum rivoluziona i fan film

Si chiama Chris Bouchard ed è il George Lucas dei fan. Come il regista di Guerre Stellari infatti Bouchard è al centro di alcuni dei più importanti progetti cinematografici che stanno cambiando il mondo dei fan film e non sempre in qualità di regista, come George Lucas ha una passione per le grandi saghe e per gli effetti speciali e come lui infine rischia di rivoluzionare il mondo dei fan film (cioè i film che sfruttano saghe molto note, fatti dai fan a proprio uso e consumo, senza scopo di lucro e a budget ridottissimi).
A mettere Chris Bouchard sulla frontiera del cinema dei fan (una frontiera più indpendente degli indipendenti) non sono tanto le soluzioni o le innovazioni tecnologiche messe in campo ma ciò che materialmente ha avuto il coraggio e l'ardire di fare. Con il suo fan film ispirato a Il Signore Degli Anelli, The Hunt For Gollum, il giovane inglese (già parte di altri progetti da fan come Star Wars: Revelations o Born Of Hope) realizza senza dubbio un'opera senza precedenti per qualità, lunghezza e sforzo.

Con 3.000 sterline di spesa (circa 3.500€), radunando ben 160 attori e comparse pronti a lavorare gratis, girando durante giorni festivi nei boschi del nord del Galles, Bouchard ha realizzato un mediometraggio di 45 minuti impressionante per vicinanza ai film di Peter Jackson. Certo nessuno lo scambierebbe mai per un film fatto ad Hollywood, ma lo stesso si tratta di un'opera godibilissima grazie alle meticolosità della ricostruzione e alle tecnologie digitali.
Come Lucas a suo tempo introdusse il digitale nel cinema, così Bouchard grazie ad un uso accurato di tutti quegli strumenti qualitativamente validi e abbordabili per tutti è riuscito a dimostrare a tutti i suoi colleghi fan-filmaker che un altro step in termini di qualità è possibile, alzando di fatto la sbarra. Come ha fatto a spendere solo 3.500€? "Abbiamo comprato solo tutto ciò che non potevamo riutilizzare, prendere in prestito, usare gratis o rubare. Siamo andati davvero all'essenza delle spese" ecco come.

La storia anche non è eccessivamente peregrina. Certo non la si può paragonare con quella imbastita da J. R. R. Tolkien, però immaginare qualche evento che si svolga tra Lo Hobbit e La Compagnia Dell'Anello non è nemmeno troppo difficile per un tolkeniano vero, dato il monte di informazioni che lo scrittore britannico ha vergato nei suoi romanzi e nel compendio di storia della Terra Di Mezzo, Il Simmarillion.
The Hunt For Gollum racconta della caccia che Aragorn e Gandalf danno al Gollum quando scoprono che potrebbe avere informazioni fondamentali su dove sia l'anello. A dar caccia all'orrendo essere ovviamente ci sono anche le forze del male. Tutto nella Terra di Mezzo si sta preparando alla grande guerra.

E i grandi studios? Loro sono contenti. E come se lo sono! I fan film alimentano il passaparola e tengono viva l'attenzione e l'attesa per le altre operazioni commerciali o gli altri film, quelli che uno scopo di lucro invece lo hanno di sicuro come in questo caso Lo Hobbit. Sempre di più infatti gli studios sono pronti a prestare materiale, vestiti, consigli o indicare le location più adatte, tutto quel know how di base insomma che può aiutare altri squattrinati fan a mettere insieme i loro film.

Ma nel caso del Signore Degli Anelli c'è anche un'autorità superiore da consultare. Nonostante le molte cautele e il gran rispetto per avere l'approvazione finale Bouchard si è rivolto direttamente alla Tolkien Enterprise, spiegando loro che il progetto non aveva il minimo fine di lucro. E così è stato. The Hunt For Gollum, nonostante le lodi e i download, non frutterà niente al suo autore e a chi ci ha lavorato. L'obiettivo semplicemente non è quello. Un fan film non è fatto per fare soldi ma per essere fatto. Per entrare nel giro di chi realizza storie intorno ad un universo condiviso di mitologia e passione.
Tuttavia sarebbe naive pensare che non ci sia anche un'idea intorno a cosa possa sevire tutto questo sforzo. Proprio come George Lucas anche Bouchard ha capito e bene che il risultato di un film non si ferma alla sua sola visione e che, specialmente con una distribuzione in rete, può portare vantaggi (o profitti nel caso di Lucas) soprattutto dopo la visione. Nel caso di The Hunt For Gollum, l'idea di Bouchard è di avere un pubblico, cioè di trovare una massa di fruitori grande come non sarebbe immaginabile realizzando un film dal soggetto originale. Un pubblico così vasto da far circolare il suo nome e, magari, consentirgli il salto di qualità per realizzare quel lungometraggio che ha in mente da tempo...

da WIRED.IT del 29/5/09

Terza dimensione e linguaggio videoludico, Coraline porta avanti il cinema

Con idee e trovate fuori dagli schemi arriva una favola classica raccontata nella maniera più moderna
Pupazzoni digitali e trame prese dai videogiochi, spesso l'integrazione tra tecnologie e cinema si riduce a queste due sole possibilità. Fortunatamente poi escono anche film come Coraline che ci ricordano che un altro modo di rimettere in discussione, aggiornare ed arricchire il linguaggio del cinema è possibile.

Il nuovo lungometraggio d'animazione di Henry Selick infatti racconta l'omonima storia di Neil Gaiman utilizzando in più momenti espedienti, trucchi e linguaggi di narrazione nati per raccontare le storie nel mondo (interattivo) dei videogiochi. Selick li prende, li piega, li adatta e li ripropone all'interno di uno strumento non interattivo come un film. Ma non solo.

A prima vista non sembra eppure in Coraline è radicata molta più tecnologia di quanta se ne sia vista nei film degli ultimi anni, solo che è utilizzata con una trasparenza paragonabile forse unicamente a quella di Gondry. Tecnologia nel senso più ampio del termine, dunque sia strumenti per la realizzazione del film (dall'utilizzo molto abile del 3D agli aiuti chiesti al digitale per animare lo stop motion) che linguaggi espressivi nuovi che si appoggiano su mezzi nuovi.

Un racconto filmico e videoludico
Chi innova rompe sempre qualche regola e così ha fatto Henry Selick quando ha deciso di realizzare l'ultima parte del suo Coraline adottando uno stile e una serie di soluzioni visive tipiche del mondo dei videogiochi per raccontare il superamento di una serie di prove da parte della protagonista.

Nel racconto di Gaiman infatti accade che Coraline debba correre contro il tempo per cercare degli oggetti sparsi nella casa e lo debba fare con l'aiuto di uno strumento che le consente di vedere la realtà diversamente, individuando così più facilmente ciò che cerca. Per mettere in immagini e poter raccontare facilmente lo svolgersi di queste azioni, e soprattutto per immedesimare gli spettatori in quel senso di ricerca e superamento dei propri limiti (che è l'essenza stessa del videogiocare), Selick ha allora scelto di usare modalità di racconto da videogioco.

Per scandire lo scorrere del tempo infatti la luna si va parzialmente oscurando con un grosso bottone (elemento ricorrente nel film e idea tipica dei videogiochi), gli oggetti che Coraline deve trovare sono uno in ogni ambiente della casa (una dependance, il giardino, il sotterraneo e via dicendo), per trovarli necessita di un altro oggetto (simile nella funzione all'oggetto magico tipico delle analisi sulla narrativa classica) che le consentirà di vederli e che le viene dato da alcuni alleati. Ogni area prevede anche lo scontro con un'entità messa a sorvegliare l'oggetto, sconfitto il boss dell'area e recuperato l'oggetto quell'area diventa poi monocromatica per indicare come sia stata "completata" e quindi non più d'interesse ai fini della risoluzione dell'obiettivo finale.

Come nei videogiochi dunque esiste un "mondo" preciso, confinato e delimitato in zone (la casa, comprensiva di stanze interne, alcune dependance e un giardino anch'esso ben delimitato) nelle quali si può svolgere l'azione, esiste un aiutante vivo (il gatto) e uno inanimato (un visore che consente di vedere diversamente la medesima realtà in modo da individuare ciò che altrimenti sarebbe nascosto), esistono dei nemici di primo grado e poi uno più grande da affrontare nella casa (l'ambiente principale) una volta entrati in possesso degli oggetti nascosti in ogni area. Infine esistono dei personaggi da andare a trovare che possono dare degli indizi utili alla vittoria.

La forza di Selick è però nell'aver preso queste dinamiche ed averle perfettamente integrate nel racconto di modo che non siano intellegibili solo ai gamers ma anche a chi non ha mai preso in mano un videogioco. Il suo racconto di quella serie di prove finali è comprensibile a tutti proprio perchè si ispira e usa quegli elementi del mondo del racconto videoludico che sono i più universali e che costituiscono l'evoluzione moderna di modalità eterne di racconto.

Un 3D da cui imparare
La terza era del 3D (forse quella definitiva dopo tanti fallimenti) è cominciata e ancora non avevamo visto un film con una bella terza dimensione, un film che non solo ci regalasse immagini interessanti in 3D, ma che anche sapesse farne un uso funzionale e, in una parola sola, "utile"! A farlo è arrivato ora Coraline.

Gli avversatori della nuova tecnologia potranno andare al cinema e rendersi conto da soli se la terza dimensione potrà o meno avere un futuro al cinema. Il 3D di Coraline infatti non è lo stato dell'arte o un punto di arrivo ma qualcosa di molto buono che serve a dare un'idea di ciò che si può fare, un abbozzo per iniziare un discorso importante.

Le differenze con il passato sono innanzitutto tecniche perchè Coraline in una parola si "vede bene", cosa tanto semplice e scontata quanto finora poco vista (se si esclude lo spottone tecnico Viaggio al centro della Terra 3D), non ci sono imperfezioni, non ci sono errori di prospettiva nè fastidi per gli occhi, il 3D è invisibile e non invadente.

Oltre a non infastidire però la terza dimensione viene qui utilizzata per dare corpo e strutturare una sostanziale differenza tra i due mondi nei quali si svolge il film (quello reale e quello "dietro la porta chiusa") dotati appunto di profondità diverse e quindi, a livello inconscio, fortemente separati.

Inoltre Selick sebbene non faccia mai uscire oggetti dallo schermo si diverte ogni tanto a sfruttare in pieno il concetto di "profondità" e lo si vede bene nelle scene del tunnel che collega i due mondi, un lungo cordone che appunto si "allunga" in profondità avvantaggiandosi dell'effetto degli occhiali. Sono dettagli ma che danno un senso ad una tecnologia che può ancora migliorare molto ed essere integrata anche di più.

Non abbiamo ancora le parole e i termini adatti ad analizzare il cinema 3D e dobbiamo anche capire quale effetto una maggiore profondità possa avere sul coinvolgimento degli spettatori nel momento in cui è usata con invisibilità, cioè è usata senza che lo spettatore se ne renda conto, ma adesso sappiamo che Coraline è un buon punto da cui partire.

da MYMOVIES.IT del 16/6/09

Coraline tra videogioco e film

Una volta era considerato un insulto dire di un film che "somiglia ad un videogioco", oggi non più. A dimostrarcelo arriva da venerdì nelle sale (in 3D e non) Coraline, l'ultima perla di animazione in stop motion (la tecnica che fa muovere sullo schermo pupazzi di plastilina) di Henry Selick, il regista diventato noto con un altro gioiello animato: Nightmare Before Christmas.
Il film e l'omonimo videogioco (già disponibile per Playstation 2, Wii e Nintendo DS) sono stati realizzati di pari passo tenendo conto l'uno delle esigenze dell'altro. Ma lungi dall'aver condizionato la qualità e la godibilità dei due prodotti, una simile integrazione li ha invece arricchiti, portando un coinvolgimento da vero film al gioco e idee originali al racconto del film.
La storia di Coraline viene dall'omonimo racconto di Neil Gaiman e gira intorno ad una bambina insoddisfatta come molte dai genitori, a suo dire grigi e poco attenti alle sue esigenze, che nella nuova casa in cui la famiglia ha traslocato trova una porta per un altro mondo speculare a quello reale ma dove tutto è come lei vorrebbe. Almeno apparentemente.
Coraline è quindi prima di tutto un racconto e chi non ha mai toccato un videogioco non si accorgerà probabilmente delle novità. I più smaliziati invece non potranno fare a meno di notare come la storia segua spesso le regole dei più noti videogiochi di ruolo. In particolare nella parte finale, quella in cui la bambina deve risolvere delle prove e recuperare degli oggetti in una sfida contro il tempo per liberare i genitori, ci sono molte idee tipiche dei videogame come gli schemi da "completare" sconfiggendo un nemico che li sorveglia, oggetti magici da utilizzare per la soluzione delle prove e una rigida divisione in aree.
Coraline però è solo un primo assaggio di questo tipo di contaminazione aspettando Avatar. L'attesissimo nuovo film che James Cameron ci porterà nella prossima stagione a ben 12 anni di distanza dai fasti di Titanic, è stato infatti realizzato in parallelo all'omonimo videogioco e con idee ancora più radicali. La collaborazione tra i team creativi del film e del gioco è stata talmente stretta che addirittura è durante la presentazione del gioco (e non del film) all'annuale fiera mondiale dei videogame di Los Angeles che il regista ha rivelato le prime attesissime (e per ora uniche) indiscrezioni sull'ambientazione e la possibile trama fantascientifica della pellicola.

da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 17/6/09

Il film corale oggi è Crossing Over

Un problema, tanti punti di vista non approfonditi ma messi in relazione
L'America non ha gli operai inglesi di Ken Loach, non ha i poveri disperati dei fratelli Dardenne o i criminali di periferia del cinema francese, ma più di tutti ha gli immigrati. Una realtà con la quale il paese si confronta da decenni e che costituisce la vera frontiera del cinema sociale negli Stati Uniti.
I derelitti che tentano viaggi impossibili per sconfinare e diventare fuorilegge (ma in America!) cercando di sfuggire ad una povertà asfissiante sono però solo una parte del cuore di Crossing over, film corale che, come tipico del cinema più recente, intende affrontare un problema non attraverso la proposizione di un punto di vista ma attraverso la presentazione della sua "profondità" cioè delle diverse forme che può assumere.
Kramer sceglie a tale scopo la forma del film di gruppo (solo Eastwood per raggiungere il medesimo scopo poteva osare un doppio film con due punti di vista diversi), un genere che contrariamente agli esempi passati sempre di più per Hollywood sembra adatto a descrivere l'attualità. Invece che affrontare sentimenti il film corale di oggi affronta problemi sociali, il senso così non scaturisce più dalle parole che si pronunciano ma dal diverso rapporto che le storie hanno tra loro.

Chi e perchè oggi sogna di diventare americano?
Non siamo di fronte ai complicati puzzle che Arriaga ha spesso messo in scena assieme a Inarritu ma più dalle parti delle molte storie collegate anche da un filo blando come abbiamo visto in Crash, in Traffic o per fare un altro esempio recente in Look both ways.
Crossing over ci mostra diversi personaggi di cui solo due americani per davvero (Harrison Ford e Ray Liotta) intenti a cercare di diventare americani. In questo senso è un film su un processo, su un mutamento di condizione, quella stessa condizione che per decenni i cittadini statunitensi hanno esaltato come massima aspirazione per chiunque ("Bisogna tener duro figliolo finchè non sarà passata questa mania della pace e bisogna lottare perchè dentro ogni muso giallo c'è un uomo che sogna di diventare americano" diceva un alto ufficiale di Full metal jacket). La terra delle opportunità forse è ancora tale (e la solennità della cerimonia di giuramento del finale sembra suggerirlo) ma entrare a far parte di chi quelle opportunità può averle è sempre più difficile.
C'è chi inganna, chi compra, chi uccide e chi rischia di essere ucciso per diventare americano e anche chi non si cura del vantaggio che gli piove in testa. Con quest'idea di paesaggio composito Wayne Kramer (anche sceneggiatore) intende parlare di integrazione, di globalizzazione sempre maggiore e soprattutto di post 9/11. Un tema ha molte applicazioni e problematiche diverse e sebbene non sia possibile affrontarle tutte in profondità il film corale si propone di mettere sotto gli occhi dello spettatore la varietà dello spettro di situazioni, di toni e di esiti. Una storia può fare da metafora, da paradigma, ma più storie cercano di avvicinarsi alla realtà dei fatti.

La coralità è la società americana
Per Crossing over il modello del film corale sembra più adatto che mai poichè la società americana stessa è corale, è cioè composta di realtà alle volte distanti anni luce non solo per reddito e stile di vita (cosa che capita anche negli altri paesi) ma per provenienza, etnia, valori e obiettivi di vita. Come sarebbe possibile raccontare i problemi di ingresso nel paese con una storia se le eventualità e gli elementi di crisi sono così tanti e così diversi?
Non sfugge a nessuno infatti come il giovane che si finge esponente religioso della chiesa ebraica riceva l'aiuto della sua comunità per cercare di aggirare il sistema e come la giovane musulmana colpevole di aver confessato di "comprendere" le motivazioni dei dirottatori dell'undici settembre in un tema scolastico invece venga dileggiata da tutti senza ricevere l'appoggio di nessuno. Non è un caso che ancora una volta dei messicani muoiano nel silenzio del deserto tentando viaggi impossibili mentre i più ricchi tentino di speculare sull'ingresso di belle ragazze e importanti famiglie mediorentali non sappiano lasciare a casa alcune tradizioni non gradite nei paesi occidentali.
Da questo crogiolo emerge lo specifico di Crossing over rispetto al resto del cinema corale: non la volontà di mostrare un gruppo unico e coerente di storie che corrono verso il medesimo punto (che è quello che accade nei film di Altman o di Anderson) ma trame che da un punto unico partono per andare in direzioni diverse e che non si incontreranno mai, come le comunità che compongono gli Stati Uniti, talmente lontane da non incontrarsi. Non hanno rapporti reciproci i ricchi coreani e i poveri messicani, non sono come i musicisti country di Nashville, eppure condividono il medesimo problema. Solo che chi ha avrà sempre di più e chi non ha avrà sempre di meno.

da MYMOVIES.IT del 26/6/09

Transformers vs. Terminator - Io sto con i robot di Skynet

Non fatevi ingannare! I T-800, Skynet e i T-600 di Terminator Salvation potrebbero ad una prima visione somigliare agli Autobot e i Decepticons di Transformers: La Vendetta Del Caduto ma in realtà sono completamente diversi, due visioni opposte della fantascienza. E io sto con i Terminator!

Venerdì esce in tutta Italia l'attesissimo secondo capitolo della trasposizione cinematografica di Transformers già serie animata e prima ancora linea di giocattoli (secondo un'evoluzione del prodotto culturale da giocattolo a cartone a film tipica dell'industria giapponese) che riporta al cinema la visione di Michael Bay e dell'industria ludica della fantascienza robotica.
Rispetto al primo film ci sono più botti, più esplosioni, più robot, più effetti, più scene d'azione e meno umani che corrono sullo sfondo mentre i giocattoloni se le danno di santa ragione. Aumentano i Transformers e cambia di poco il target del film, rivisto verso il basso probabilmente a seguito delle indagini di marketing che hanno mostrato l'alto gradimento del primo film presso i bambini. Il delicato equilibrio tra commedia, azione, racconto e storia che aveva fatto del primo film una sorpresa qui salta totalmente. L'idea è distruggere tutto il distruggibile per 140 minuti. Piramidi d'Egitto comprese.

Curiosamente però i Transformers arrivano nei cinema mentre ancora in alcune sale adiecenti verrà proiettato Terminator Salvation, altro film di fantascienza robotica ma dalla visione opposta.
I due film di McG e Michael Bay infatti possono essere accomunabili per genere, ritmo, azione e carattere (entrambi film di alto profilo e intrattenimento hollywoodiano) e possono anche avere il medesimo pubblico ma mostrano due modi decisamente diversi di immaginare, sognare e teorizzare il rapporto dell'uomo con le macchine intelligenti.

I Transformers infatti sono fantascienza solo per approssimazione, in realtà non immaginano scenari futuri ma trattano di idee fantastiche. Non ipotizzano nemmeno sofisticate tecnologie che cambino la vita dell'uomo (come tipico della fantascienza) perchè Autobot e Decepticons sono in tutto e per tutto trattati e mostrati come esseri viventi e non come macchine senza cuore, non hanno nulla di realmente tecnologico se non quello che appare. Non a caso sono alieni e non prodotti dell'uomo.
La metafora di Transformers è tutta umana. I robot giganti che combattono tra di loro hanno movenze umane, reazioni umane e problemi umani. Quando prendono un colpo in volto la loro mascella si muove o si rompe come fosse umana e se sono a terra perdono olio come fosse sangue. In questo i Transformers sono più simili agli animali antropomorfi delle favole che a veri modelli fantastici di tecnologia. Non ci fanno sognare di un nostro possibile futuro.

Al contrario tutto l'impianto di Terminator è basato su ipotesi fantastiche ma tecnologiche. Le macchine del futuro di McG sono iperboliche e improbabili come qualsiasi prodotto di fantasia ma non cercano di essere uomini (anche se alcune li imitano per ingannarli) anzi! Tutto Terminator si basa sulla contrapposizione tra uomini e macchine, sul fatto che gli uomini lottino per mantenere viva la loro razza e per essere i padroni del proprio pianeta mentre le macchine impongono il loro dominio.
Come quasi tutto il cinema robotico ogni Terminator, anche il peggiore della saga (cioè il terzo), ci parla del rapporto che abbiamo con la tecnologia, di cosa la tecnologia possa significare nella nostra vita oggi e delle paure che abbiamo per il domani. Di questo non c'è traccia in Transformers.
Per dirla in altre parole se agli Autobot e ai Decepticons si sostituissero razze alieni viventi non cambierebbe nulla nella trama del film. Perchè loro sono i protagonisti assoluti del film e come tali sono antropomorfi (che è un must di ogni film hollywoodiano) mentre i robot di Terminator Salvation sono il nemico dei protagonisti, la loro controparte.

Michael Bay si sforza in ogni modo di dirci che i Transformers sono come noi e i loro nemici sono nostri nemici solo perchè siamo alleati, non perchè si contrappongano direttamente agli umani. Al contrario quando John Connor dice per radio "...sono John Connor e se ascoltate questo messaggio siete parte della resistenza" spiega che i robot non sono noi, sono un'altra cosa, noi siamo lo spirito e loro la materia e per questo combattiamo. Questa è fantascienza!

da WIRED.IT del 27/6/09

Trasformati dai Transformers

Il filmone americano di questa estate gira intorno a robottoni giganti che se le danno di santa ragione. Lo sanno tutti, dai bambini (già esaltatisi nel 2007 per il primo film della serie) ai ragazzi cresciuti con gli omonimi cartoni degli anni '80 che continuano a divertirsi con l'azione forsennata del regista Michael Bay (specialista in esplosioni, ralenti e belle donne), ma lo sanno bene soprattutto gli attori.
Infatti, nonostante la presenza di nomi di richiamo (ma all'epoca del primo film non lo erano affatto) come Shia LaBouef e Megan Fox, il cuore di Transformers 2 (nelle sale italiane dal 26 giugno) sono i robot: "Quando pensavamo di non aver dato il massimo in una scena ci dicevamo: <>". A parlare è Ramon Rodriguez (nel film interpreta il compagno di stanza del protagonista), esordiente nella saga dei robot Hasbro, mentre a ridere riconoscendosi in questa battuta ci sono Josh Duhamel e Tyrese Gibson, militari all'ombra dei giocattoloni giganti (e digitali) già dal primo film. Attori non molto noti per un film che di certo non ha velleità intellettuali eppure, come tipico di Hollywood, professionisti di alto livello.
Il giovanissimo Ramon Rodriguez ha già girato il suo secondo film, un thriller al fianco del veterano Denzel Washington ed è cresciuto nel rigoroso mondo delle serie tv americane (principalmente The Wire), mentre Josh Duhamel è un volto reso noto da 5 stagioni della serie Las Vegas e infine Tyrese Gibson è un vero intrattenitore a tutto tondo.
L'attore di colore già noto per 2 Fast 2 Furious non si pone limiti e racconta con fierezza il suo sogno americano dalle borgate al successo non solo cinematografico. In queste notti a Roma ha girato per discoteche facendo ascoltare il suo ultimo singolo hip hop (Take me away) per testare le reazioni del pubblico e girare un videoclip, forse interpreterà un eroe dei fumetti (Luke Cage) ma intanto il 5 Agosto lancia Mahyem, un fumetto scritto da lui che già nella sola prevendita ha fatto segnare proventi record: "I limiti esistono nella tua testa. Se li assecondi è solo un problema tuo".

da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 12/6/09