Un problema, tanti punti di vista non approfonditi ma messi in relazione
L'America non ha gli operai inglesi di Ken Loach, non ha i poveri disperati dei fratelli Dardenne o i criminali di periferia del cinema francese, ma più di tutti ha gli immigrati. Una realtà con la quale il paese si confronta da decenni e che costituisce la vera frontiera del cinema sociale negli Stati Uniti.
I derelitti che tentano viaggi impossibili per sconfinare e diventare fuorilegge (ma in America!) cercando di sfuggire ad una povertà asfissiante sono però solo una parte del cuore di Crossing over, film corale che, come tipico del cinema più recente, intende affrontare un problema non attraverso la proposizione di un punto di vista ma attraverso la presentazione della sua "profondità" cioè delle diverse forme che può assumere.
Kramer sceglie a tale scopo la forma del film di gruppo (solo Eastwood per raggiungere il medesimo scopo poteva osare un doppio film con due punti di vista diversi), un genere che contrariamente agli esempi passati sempre di più per Hollywood sembra adatto a descrivere l'attualità. Invece che affrontare sentimenti il film corale di oggi affronta problemi sociali, il senso così non scaturisce più dalle parole che si pronunciano ma dal diverso rapporto che le storie hanno tra loro.
Chi e perchè oggi sogna di diventare americano?
Non siamo di fronte ai complicati puzzle che Arriaga ha spesso messo in scena assieme a Inarritu ma più dalle parti delle molte storie collegate anche da un filo blando come abbiamo visto in Crash, in Traffic o per fare un altro esempio recente in Look both ways.
Crossing over ci mostra diversi personaggi di cui solo due americani per davvero (Harrison Ford e Ray Liotta) intenti a cercare di diventare americani. In questo senso è un film su un processo, su un mutamento di condizione, quella stessa condizione che per decenni i cittadini statunitensi hanno esaltato come massima aspirazione per chiunque ("Bisogna tener duro figliolo finchè non sarà passata questa mania della pace e bisogna lottare perchè dentro ogni muso giallo c'è un uomo che sogna di diventare americano" diceva un alto ufficiale di Full metal jacket). La terra delle opportunità forse è ancora tale (e la solennità della cerimonia di giuramento del finale sembra suggerirlo) ma entrare a far parte di chi quelle opportunità può averle è sempre più difficile.
C'è chi inganna, chi compra, chi uccide e chi rischia di essere ucciso per diventare americano e anche chi non si cura del vantaggio che gli piove in testa. Con quest'idea di paesaggio composito Wayne Kramer (anche sceneggiatore) intende parlare di integrazione, di globalizzazione sempre maggiore e soprattutto di post 9/11. Un tema ha molte applicazioni e problematiche diverse e sebbene non sia possibile affrontarle tutte in profondità il film corale si propone di mettere sotto gli occhi dello spettatore la varietà dello spettro di situazioni, di toni e di esiti. Una storia può fare da metafora, da paradigma, ma più storie cercano di avvicinarsi alla realtà dei fatti.
La coralità è la società americana
Per Crossing over il modello del film corale sembra più adatto che mai poichè la società americana stessa è corale, è cioè composta di realtà alle volte distanti anni luce non solo per reddito e stile di vita (cosa che capita anche negli altri paesi) ma per provenienza, etnia, valori e obiettivi di vita. Come sarebbe possibile raccontare i problemi di ingresso nel paese con una storia se le eventualità e gli elementi di crisi sono così tanti e così diversi?
Non sfugge a nessuno infatti come il giovane che si finge esponente religioso della chiesa ebraica riceva l'aiuto della sua comunità per cercare di aggirare il sistema e come la giovane musulmana colpevole di aver confessato di "comprendere" le motivazioni dei dirottatori dell'undici settembre in un tema scolastico invece venga dileggiata da tutti senza ricevere l'appoggio di nessuno. Non è un caso che ancora una volta dei messicani muoiano nel silenzio del deserto tentando viaggi impossibili mentre i più ricchi tentino di speculare sull'ingresso di belle ragazze e importanti famiglie mediorentali non sappiano lasciare a casa alcune tradizioni non gradite nei paesi occidentali.
Da questo crogiolo emerge lo specifico di Crossing over rispetto al resto del cinema corale: non la volontà di mostrare un gruppo unico e coerente di storie che corrono verso il medesimo punto (che è quello che accade nei film di Altman o di Anderson) ma trame che da un punto unico partono per andare in direzioni diverse e che non si incontreranno mai, come le comunità che compongono gli Stati Uniti, talmente lontane da non incontrarsi. Non hanno rapporti reciproci i ricchi coreani e i poveri messicani, non sono come i musicisti country di Nashville, eppure condividono il medesimo problema. Solo che chi ha avrà sempre di più e chi non ha avrà sempre di meno.
L'America non ha gli operai inglesi di Ken Loach, non ha i poveri disperati dei fratelli Dardenne o i criminali di periferia del cinema francese, ma più di tutti ha gli immigrati. Una realtà con la quale il paese si confronta da decenni e che costituisce la vera frontiera del cinema sociale negli Stati Uniti.
I derelitti che tentano viaggi impossibili per sconfinare e diventare fuorilegge (ma in America!) cercando di sfuggire ad una povertà asfissiante sono però solo una parte del cuore di Crossing over, film corale che, come tipico del cinema più recente, intende affrontare un problema non attraverso la proposizione di un punto di vista ma attraverso la presentazione della sua "profondità" cioè delle diverse forme che può assumere.
Kramer sceglie a tale scopo la forma del film di gruppo (solo Eastwood per raggiungere il medesimo scopo poteva osare un doppio film con due punti di vista diversi), un genere che contrariamente agli esempi passati sempre di più per Hollywood sembra adatto a descrivere l'attualità. Invece che affrontare sentimenti il film corale di oggi affronta problemi sociali, il senso così non scaturisce più dalle parole che si pronunciano ma dal diverso rapporto che le storie hanno tra loro.
Chi e perchè oggi sogna di diventare americano?
Non siamo di fronte ai complicati puzzle che Arriaga ha spesso messo in scena assieme a Inarritu ma più dalle parti delle molte storie collegate anche da un filo blando come abbiamo visto in Crash, in Traffic o per fare un altro esempio recente in Look both ways.
Crossing over ci mostra diversi personaggi di cui solo due americani per davvero (Harrison Ford e Ray Liotta) intenti a cercare di diventare americani. In questo senso è un film su un processo, su un mutamento di condizione, quella stessa condizione che per decenni i cittadini statunitensi hanno esaltato come massima aspirazione per chiunque ("Bisogna tener duro figliolo finchè non sarà passata questa mania della pace e bisogna lottare perchè dentro ogni muso giallo c'è un uomo che sogna di diventare americano" diceva un alto ufficiale di Full metal jacket). La terra delle opportunità forse è ancora tale (e la solennità della cerimonia di giuramento del finale sembra suggerirlo) ma entrare a far parte di chi quelle opportunità può averle è sempre più difficile.
C'è chi inganna, chi compra, chi uccide e chi rischia di essere ucciso per diventare americano e anche chi non si cura del vantaggio che gli piove in testa. Con quest'idea di paesaggio composito Wayne Kramer (anche sceneggiatore) intende parlare di integrazione, di globalizzazione sempre maggiore e soprattutto di post 9/11. Un tema ha molte applicazioni e problematiche diverse e sebbene non sia possibile affrontarle tutte in profondità il film corale si propone di mettere sotto gli occhi dello spettatore la varietà dello spettro di situazioni, di toni e di esiti. Una storia può fare da metafora, da paradigma, ma più storie cercano di avvicinarsi alla realtà dei fatti.
La coralità è la società americana
Per Crossing over il modello del film corale sembra più adatto che mai poichè la società americana stessa è corale, è cioè composta di realtà alle volte distanti anni luce non solo per reddito e stile di vita (cosa che capita anche negli altri paesi) ma per provenienza, etnia, valori e obiettivi di vita. Come sarebbe possibile raccontare i problemi di ingresso nel paese con una storia se le eventualità e gli elementi di crisi sono così tanti e così diversi?
Non sfugge a nessuno infatti come il giovane che si finge esponente religioso della chiesa ebraica riceva l'aiuto della sua comunità per cercare di aggirare il sistema e come la giovane musulmana colpevole di aver confessato di "comprendere" le motivazioni dei dirottatori dell'undici settembre in un tema scolastico invece venga dileggiata da tutti senza ricevere l'appoggio di nessuno. Non è un caso che ancora una volta dei messicani muoiano nel silenzio del deserto tentando viaggi impossibili mentre i più ricchi tentino di speculare sull'ingresso di belle ragazze e importanti famiglie mediorentali non sappiano lasciare a casa alcune tradizioni non gradite nei paesi occidentali.
Da questo crogiolo emerge lo specifico di Crossing over rispetto al resto del cinema corale: non la volontà di mostrare un gruppo unico e coerente di storie che corrono verso il medesimo punto (che è quello che accade nei film di Altman o di Anderson) ma trame che da un punto unico partono per andare in direzioni diverse e che non si incontreranno mai, come le comunità che compongono gli Stati Uniti, talmente lontane da non incontrarsi. Non hanno rapporti reciproci i ricchi coreani e i poveri messicani, non sono come i musicisti country di Nashville, eppure condividono il medesimo problema. Solo che chi ha avrà sempre di più e chi non ha avrà sempre di meno.
da MYMOVIES.IT del 26/6/09
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