29.12.06

Nella sfida tra cinepanettoni vince il telefonino

Della guerra tra cinepanettoni si è parlato in abbondanza, ma tutto questo clamore intorno ai divorzi artistici e alla concorrenza per il favore del copioso pubblico natalizio ha fatto passare in secondo piano una curiosa spartizione di mercato. Infatti i due cinepanettoni di quest'anno, Olè con Massimo Boldi e Natale a New York con Christian De Sica, più il meno natalizio (perchè uscito il 1° dicembre) ma sempre di grande richiamo Anplagghed di Aldo, Giovanni e Giacomo, sono sponsorizzati ognuno da un gestore telefonico diverso. Il medesimo gestore che poi può contare tutto l'anno sul volto dei protagonisti di questi film per i suoi spot.
Chi si è interessato alla questione ha avuto moltissime occasioni di sentire e risentire i motivi e le cause che hanno portato al divorzio della coppia comica più longeva e di successo del nostro cinema, il duo Boldi-De Sica. Motivazioni legate a problemi con la sceneggiatura e con le scelte artistiche del produttore storico dei film di Natale, Aurelio De Laurentiis, e che hanno spinto Massimo Boldi a cercare un'alternativa presso la Medusa.
Ma in un momento in cui il cinema italiano sperimenta il product placement, cioè il posizionamento assolutamente legale di marche e prodotti all'interno di un film con il fine di promuoverli (da noi è legale solo da un anno circa), una simile concorrenza si rispecchia anche sul piano commerciale. Non è infatti una novità che film di così grande successo come i cinepanettoni siano un veicolo perfetto di promozione e dunque che le grandi marche facciano a gara per sponsorizzarli mettendo i propri prodotti nelle mani di Elisabetta Canalis, Vincenzo Salemme o Claudio Bisio. Ancora meglio se poi il testimonial rimane tale per tutto l'anno negli spot televisivi, rafforzando continuamente il legame volto/marca.
Accade così che in Anplagghed, riduzione cinematografica dell'omonimo spettacolo teatrale di Aldo, Giovanni e Giacomo, nelle scene che fungono da raccordo tra uno sketch e l'altro (presenti unicamente nel film) si veda, e chiaramente in più di un'occasione, la caratteristica W arancione simbolo di Wind. Accade pure che in Natale A New York, film "brandizzato" Tim, non solo ci sia Christian De Sica (che per la Tim interpreta il vigile Urbano Persichetti) che ripete battute e tormentoni degli spot ma anche Elisabetta Canalis (altro volto simbolo della Tim non solo in televisione ma anche e soprattutto nella cartellonistica e su internet) e che una delle canzoni più sentite e utilizzate nella promozione del film sia la medesima che viene usata nello spot in causa. Infine accade che Olè, il cinepanettone vanziniano, metta in scena Massimo Boldi che furiosamente stacca la presa del telefono dal muro affermando che tanto non si usa più e poi guardando in camera lanci lo slogan "Life Is Now!", senza contare la preponderanza del marchio Vodafone su tutti i telefoni utilizzati nelle varie videochiamate sparse nel film, che tra le altre cose hanno una qualità ben lontana da quella reale, cosa già accaduta in Il Mio Miglior Nemico in virtù della presenza del testimonial Vodafone estivo Silvio Muccino (a questo proposito si può parlare di cinesponsorizzazione ingannevole?).
Si conferma così in maniera perfettamente legale e alla luce del giorno la vera vocazione di questo cinema che una volta l'anno invade le sale italiane cercando (a discapito delle produzioni straniere) di fare incetta di biglietti staccati per incamerare quegli incassi in grado di mantenere in piedi l'industria fino all'anno seguente.

da IL SECOLO XIX del 29/12/06

21.12.06

Giù Per Il Tubo: animazione in computer grafica in stile Aardman

È un curioso ibrido Giù per il tubo: un film d'animazione realizzato completamente al computer che cerca di imitare lo stile dell'animazione dal vero, quella in stop-motion. E non uno stile generico, ma in particolare quello della Aardman, lo studio che ha prodotto i lavori di Nick Park come Galline in fuga e Wallace & Gromit: la maledizione del coniglio mannaro e che, assieme alla Dreamworks, è responsabile di quest'ultima fatica in 3D. "Penso che siamo riusciti a conservare il look Aardman nel lavoro della cinepresa e della luce, nonché nell'animazione", ha dichiarato Frank Passingham, uno dei responsabili dei layout, spiegando poi come sia stato necessario per esempio "in termini di movimento della cinepresa mantenere la prospettiva bassa per la maggior parte del tempo". Sono stati infatti i piccoli accorgimenti come questo a creare la fusione tra i due stili di animazione.

Il risultato finale è un cartone che riesce a sfruttare il disegno e la computer grafica come un mezzo e non come un risultato. Nessuno degli espedienti tecnologici necessari per realizzare questo cartone animato infatti desta meraviglia nello spettatore, perché sono tutti abilmente nascosti, tutto è finalizzato a creare un effetto di realtà (l'imitazione dell'animazione stop-motion) e quindi di trasparenza. La tecnologia che tenta più che può di nascondere se stessa. E questo è il maggior pregio di una tecnica che riporta necessariamente al centro la narrazione e si sottomette a essa.
L'idea originale tuttavia era quella di realizzare un film in stop-motion tradizionale con magari qualche inserto in computer grafica. Col procedere dell'ideazione della trama però i creatori si sono presto resi conto di come gli "aiuti" da parte del computer sarebbero stati necessari in quasi tutte le sequenze. Uno degli elementi fondamentali del film, l'acqua e l'animazione dei liquidi, è il tallone d'Achille della tecnica stop-motion, tanto che viene evitata come la peste. E Giù per il tubo è tutta una variazione sui temi della vita nelle fogne, quindi decisamente a stretto contatto con l'acqua. Da qui la decisione di tentare di realizzare il film tutto quanto in computer grafica senza tuttavia abbandonare lo stile visivo e l'approccio grafico dei pupazzi in plastilina Aardman.

Lungi dal semplificare la vita agli animatori, questa decisione ha comportato uno slittamento nella pianificazione della lavorazione del film che a questo punto necessitava di passare attraverso i classici step di un cartone animato in 3D, ma con qualche ovvia differenza.
Per esempio i personaggi non avrebbero goduto di un'animazione tradizionale. Una delle caratteristiche più evidenti dello stile Aardman infatti è il cosiddetto "monobrow", ovvero il sopracciglione unico che serve a conferire gran parte dell'espressività ai personaggi, che doveva essere utilizzato anche in questo caso come grimaldello per far esprimere i caratteri, senza contare poi il particolare modo di rendere i movimenti della bocca.
Ma ancora di più, gli animatori dovevano sottostare alle ferree leggi della gravità, solitamente ininfluenti nel mondo dell'animazione ma fondamentali nella modellazione dei pupazzi in plastilina, andando in deroga solo in casi speciali. Un esempio è il personaggio del Rospo, una figura impossibile da modellare nella realtà, quelle gambe sottili infatti non sarebbe assolutamente in grado di reggere il peso di quel corpo e che poteva prendere vita quindi solo grazie al computer.

Le distanze dall'animazione stop-motion sono state prese anche per la realizzazione delle scene più dinamiche, sfruttando a pieno le possibilità di libertà di movimento della macchina da presa che la grafica computerizzata consente.
Sempre Frank Passingham per fare un esempio spiega come "volevamo che Roddy fosse risucchiato nel vortice del flusso d'acqua. Perciò abbiamo effettuato una ripresa a spirale. Inoltre abbiamo scosso e mosso un po' la cinepresa per rendere l'idea del topo che viene trasportato nel mondo sottostante", ma non solo. Anche la scena dell'inseguimento nelle fogne ha richiesto parecchi accorgimenti: "La prima cosa su cui abbiamo dovuto lavorare è stata la velocità della barca. All'inizio la barca ha una certa velocità, poi accelera quando inizia la corsa e quindi va al massimo nella scena finale". La scelta della velocità, lungi dall'essere un particolare trascurabile, è anche il metro con il quale si decide la profondità del fondale, in questo caso un tunnel, e determina anche il livello di messa a fuoco degli sfondi, cosa che serve a conferire il senso del movimento e per l'appunto della velocità. "Così per rendere la sequenza spettacolare" continua Passingham " la squadra ha realizzato una delle più celebri scene d'inseguimento della storia del cinema, ispirandosi alla scena dell'inseguimento delle automobili di Il braccio violento della legge. In quel film le cineprese erano state montate sui paraurti delle auto, noi invece abbiamo montato una cinepresa vicino all'acqua, dando il senso della velocità e rendendo la sequenza ancora più elettrizzante".

da MYMOVIES del 21/12/06

ShareMedia, web-tv made in Italy

Roma - Dal 26 ottobre è sul mercato ShareMedia, una collaborazione Unidata, Unicity, RAI e Microsoft, tesa a fornire servizi, software e infrastrutture per quanti volessero realizzare e distribuire contenuti video attraverso la rete. ShareMedia vuole presentare se stessa non come una IPTV ma come un service di web-tv che si appoggia ad un'infrastruttura libera e non ad una rete proprietaria.

Al progetto, Unidata collabora fornendo l'erogazione del servizio tramite infrastrutture, data center e server, Unicity occupandosi dello sviluppo del software e dei contenuti, RAI sperimentando i contenuti e Microsoft fornendo la tecnologia di base, dai DRM allo streaming. In questo modo Sharemedia può fornire un pacchetto completo (dall'infrastruttura ai contenuti) o parti di esso. Per capirne di più, Punto Informatico ha scambiato quattro chiacchiere con Renato Brunetti, presidente Unidata.

Punto Informatico: Sharemedia afferma di trasmettere filmati con la medesima qualità del segnale televisivo, è la verità?
Renato Brunetti: Sì, trasmettiamo con uno streaming da 1 Mbit, con il video compresso opportunamente otteniamo un broadcasting normale ricevibile correttamente da qualsiasi Adsl media. Se dunque la connessione del cliente consente 1 Mbit, avrà la medesima qualità di una trasmissione video in Mpeg2.

PI: Mi è sembrato di capire che il target a cui vi rivolgete è quello business, aziende che vogliono realizzare delle web-tv interne, giusto?
RB: Sì, uno dei mercati è quello che corporate tv. Sia verso l'esterno che verso l'interno, a scopo formazione o veicolazione di contenuti specifici, come eventi aziendali.

PI: E non ci sono altri mercati nei quali volete entrare?
RB: Beh c'è la vendita di contenuti. Attraverso un sistema molto robusto di DRM se qualche cliente lo vorrà fare potrà scaricare e comprare film o altri contenuti a pagamento. Siamo in grado di offrire sia uno streaming con fruizione immediata del contenuto che il download, cioè ci si scarica il film e lo si vede successivamente con tutto un meccanismo di protezione di contenuti.

PI: In questo senso entra in gioco anche Microsoft. Il vostro rapporto con il big di Redmond si limita al DRM?
RB: No, va anche più in profondo a livello di sviluppo combinato. Parte di quello che stiamo sperimentando sarà integrato in Sharepoint (il celebre portal server Microsoft, ndr.).

PI: Per i contenuti avete preso accordi specifici con le case di distribuzione?
RB: No no, questo sta al cliente, non è il nostro ambiente. Noi forniamo unicamente la tecnologia a chi vuole andare sul mercato della distribuzione dei contenuti.

PI: Punto Informatico ha più volte affrontato la questione web tv - iptv, la vostra scelta cade sulla web tv, perché?
RB: L'IPTV oggi è una soluzione di televisione in diretta o on demand, che è proprietaria dentro la rete, nel senso che ogni operatore ha la sua: Fastweb, Telecom, Tiscali e via dicendo. Si tratta di ambienti chiusi, perché con il set top box di Fastweb non si vede la tv di Telecom e viceversa, sono tv in concorrenza con la tv satellitare o il digitale terrestre.

PI: Invece voi?
RB: Il nostro è un concetto diverso, la tv deve essere trasportata direttamente su internet, disponibile a tutti senza concessioni proprietarie. Anche perché con la grande disponibilità di larga banda è assolutamente possibile anche utilizzando dei set top box di tipo standard come il Media Center di Microsoft. Noi possiamo quindi sia trasmettere verso PC che su set top box aperti (non proprietari) collegati alla tv. Secondo me poi aumentando sempre di più la banda è più logico fare la tv direttamente su internet, e questo è dimostrato anche dal successo di siti come YouTube.

PI: Ecco, voi come vi ponete rispetto alla produzione di contenuti dal basso?
RB: Non è escluso che qualora ci sia un cliente interessato lo possiamo fare, ma a brevissimo termine comunque non è un progetto. A metà dell'anno prossimo forse...

PI: Al momento i vostri clienti di punta sono RAI e Publicis, è prevista l'aggiunta di qualche altro cliente importante?
RB: Non ci sono ancora annunci ufficiali ma arriveranno a breve.

PI: Ma parliamo sempre di corporate tv?
RB: Beh anche una via di mezzo, sono contratti non ancora chiusi e quindi non posso anticipare, ma tra poche settimane saranno definitivi.


da PUNTO INFORMATICO del 21/12/07

3.12.06

Hollywood, le star si mettono in proprio
producono film per internet e cellulari

E' uscito oggi nelle sale e fra soli quindici giorni sarà scaricabile via internet. E' il film "10 items or less", diretto da Brad Siberling, protagonisti Morgan Freeman e Paz Vega che verrà distribuito sul web e potrà essere scaricato attraverso il sito di Clickstar. E' un ulteriore novità nel movimentato mondo del cinema che sta passando dalla vecchia era analogica a quella digitale.

Ma la notizia più interessante è che Clickstar non è gestito dalle major cinematografiche o da qualche imprenditore del web, ma da un gruppo di attori e registi che hanno deciso di muoversi in maniera indipendente sul fronte delle nuove tecnologie. Freeman ne è l'animatore e accanto a lui ci sono Danny De Vito, Peter Bogdanovich e Tom Shadyac.

Clickstar è una compagnia di produzione e distribuzione indipendente con la quale Freeman intende diffondere il cinema digitale attraverso internet. "10 items or less" potrà essere scaricato in noleggio (quindi da vedere entro 72 ore) dal sito della Clickstar già due settimane dopo l'uscita in sala e farà da traino per la compagnia di Freeman che vuole diventare una valida alternativa alla distribuzione tradizionale creando di un canale a banda larga dal quale diffondere prime visioni o uscite pre DVD.
Una distribuzione di questo tipo non andrà ad intaccare né il box office né il mercato dei DVD, secondo Freeman, ma si sommerà a questi: "Esercenti e produttori hanno etichettato troppo in fretta le nuove tecnologie come una minaccia. " ha detto l'attore "Nulla li ha mai tirati fuori dal business e credo proprio che nulla lo farà. L'esperienza di fruizione cinematografica continuerà".

Il sentimento di insofferenza verso il sistema di distribuzione canonico americano da parte di registi e autori è già abbastanza diffuso. Ma solo ora, grazie all'affidabilità e alla qualità dei nuovi mezzi digitali, si sta creando un curiosissimo partito trasversale di star hollywoodiane stanche della dittatura degli studios o semplicemente desiderosi di sperimentare con le tecnologie digitali. Grandi nomi che non sono quelli che ci si aspetta, cioè i soliti Lucas e Cameron o i più giovani Soderbergh e Clooney da tempo in campo per la promozione delle nuove tecnologie nel cinema.

Robert Redford, da tempo in prima linea nel mondo del cinema indipendente con il suo Sundance Film Festival, ha infatti commissionato a cinque cineasti indipendenti (tra i quali anche Jonathan Dayton e Valerie Faris registi del recente successo "Little Miss Sunshine") la realizzazione di brevi film (dai 3 ai 5 minuti) destinati alla fruizione su telefoni cellulari che saranno presentati al 3Gsm World Congress di Barcellona nel febbraio 2007. Già esistono contenuti cinematografici per telefonini ma per la prima volta dei registi realizzeranno dei minifilm con in mente quel tipo di destinazione.

L'obiettivo di Redford è dunque lo stesso dei suoi colleghi, nelle sue parole, creare una piattaforma che consenta "agli artisti di sviluppare, crescere ed avere l'opportunità che pubblico e consumatori possano vedere lavori che altimenti non potrebbero vedere. Il Sundance è stato creato per diventare un luogo dove dare vita a nuove voci nel cinema e nutrire questo sviluppo. Il telefono cellulare rappresenta una nuova direttrice per il futuro".

Ma anche David Lynch è sul piede di guerra: "I distributori tradizionali sono una pena nel cuore e io ho chiuso con tutto questo", Il regista ha deciso, da qualche settimana di prendere su di sè e sulla sua compagnia (la Absurda and 518 Media) l'onere di distribuire i suoi film, anche per avere più controllo sui risultati delle sue opere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le difficoltà legate alla diffusione nelle sale cinematografiche del suo ultimo film Inland Empire (tre ore di puro Lynch onirico), lungaggini e resistenze da parte dei distributori che hanno spinto il regista americano a fare tutto da solo, in un tour promozionale che per il momento toccherà 10 città americane e nel quale sarà accompagnato da una mucca: "Ho mangiato molto formaggio sul set del film" ha dichiarato "e mi ha reso felice".

da LA REPUBBLICA e REPUBBLICA.IT del 2/12/06

2.12.06

Sette anni per far ballare i pinguini

Sapevamo che non sarebbe stato facile addestrare un pinguino a ballare!", scherza George Miller (regista e ideatore di Happy Feet nonchè autore di due film della saga Mad Max e di Babe - maialino coraggioso), ma quello che vuole dire è che, a differenza del suo film precedente sugli animali (per l'appunto Babe), girato tutto quanto con bestie vere e qualche aiuto digitale, in questo caso ha dovuto affidarsi al 100% all'animazione in computer grafica. A giudicare dai tempi di realizzazione del film non sembra che questo gli abbia semplificato la vita.
Infatti, per la realizzazione di questo film, sono stati necessari sette anni. Sette anni nei quali George Miller ha avuto tempo per girare un altro film e nei quali è uscito La marcia dei pinguini, il documentario francese sempre incentrato sulla complicata vita dei pinguini imperatori a cui il cartone somiglia molto, ma dal quale Miller ci tiene a discostarsi: "Per fortuna è qualcosa di molto diverso. Se quei pinguini avessero ballato allora si che me la sarei presa!".

Sette anni in cui il lavoro è stato spalmato tra due case di produzione. L'australiana Animal Logic infatti non è uno studio di animazione e non potendosi trasformare interamente ha dovuto necessariamente interagire con un altro studio in America, la Giant Killer Robots di San Francisco. Tuttavia non potendo disporre dei fondi necessari per implementare una rete a fibra ottica che collegasse i due luoghi di lavoro, la produzione si è appoggiata a Sebastian, un progetto universitario per la realizzazione di film a distanza che fornisce connessioni ad alta velocità dedicate. Questo ha consentito l'invio di grosse moli di dati in tempi ragionevoli (ma non brevi!). In questo modo sia la parte australiana che quella americana della produzione potevano lavorare nel medesimo ambiente informatico (CineSync).
A questo punto dovrebbero essere più chiare le motivazioni che hanno prolungato per sette anni la lavorazione. Ma non basta. Molti altri fattori hanno influito, dalle difficoltà tecniche ai miglioramenti tecnologici.

Innanzitutto fin dall'inizio c'è stato il problema del motion capture: catturare i movimenti di Savion Glover, il ballerino di tip tap professionista che è stato scelto per prestare la sua abilità al protagonista Mambo, non è stata cosa facile. I passi di tip tap sono infatti incredibilmente veloci, specialmente nel caso di un professionista come Glover, e un normale sistema di motion capture non sarebbe stato in grado di percepire quello che gli stessi animatori non riuscivano a vedere a occhio nudo.
Una volta risolto questo problema è stato necessario spingere tutta la tecnica del motion capture decisamente in avanti, a un nuovo livello di complessità. Complessità necessaria, per esempio, a mettere a punto un sistema che consentisse di catturare i movimenti di un grande numero di ballerini che si esibivano contemporaneamente. In questo George Miller è stato aiutato dal lungo protrarsi della lavorazione.
Nei sette lunghi anni di lavoro infatti la tecnologia ha continuato a cambiare e a evolversi per cui capitava che, alcune cose scartate all'inizio della lavorazione per impossibilità tecnologica, divenissero invece possibili a un diverso stadio di produzione.

"Prima di iniziare la produzione di Happy Feet si potevano raccogliere informazioni in motion capture per appena cinque ballerini su uno stesso set" dice Brett Feeney, supervisore agli effetti speciali, "quando abbiamo finito quel numero era triplicato, potevamo arrivare fino a 17". A questo va poi aggiunto che in alcune scene del film i pinguini che ballano contemporaneamente sono diverse migliaia, e ognuno deve avere uno stile personale. È stato necessario quindi mettere a punto una tecnologia che gestisse indipendentemente ogni personaggio anche nelle scene di massa.
A un certo stadio della produzione poi è servito anche che la Animal Logic sviluppasse per l'occasione uno strumento, poi chiamato "lattice terrain adaptation", in grado di stabilire in tempo reale come i personaggi reagivano ai diversi tipi di terreno (neve, ghiaccio, terra...).
Il continuo miglioramento della tecnologia ha cambiato la natura stessa del film che all'inizio era abbastanza semplice. Lo stesso regista aveva previsto unicamente inquadrature da lontano poiché non credeva che i suoi personaggi, composti ognuno da 6 milioni di piume digitali, potessero essere realizzati con un'accuratezza tale da reggere un'inquadratura ravvicinata. Ma assieme alla tecnica, nelle parole di Miller, "anche le nostre ambizioni si sono evolute".

da MYMOVIES del 1/12/06

24.11.06

Il fantasy di Del Toro è sporco, fangoso e naturale

"Per realizzare il Fauno abbiamo adottato una tecnica speciale che credo non sia mai stata utilizzata prima. Per farlo sembrare il più realistico possibile non abbiamo usato praticamente nessun effetto speciale al computer ma abbiamo costruito tutto sul set con l'aiuto dei pupazzi". È una provocazione quella di Guillermo Del Toro, nulla più, ma è utile a spiegare la visione cinematografica dell'autore che, lungi dall'essere contro il digitale, arricchisce i suoi film con un'intelligente commistione di tecniche moderne e artigianali. Del Toro stesso cita tra le figure che più lo hanno ispirato Mario Bava e George A. Romero.
Il Fauno stesso, nonostante le parole di Del Toro, ha gli occhi (e forse anche le orecchie) realizzati al computer, probabilmente attraverso un processo di rotoscoping. Ma non è tanto questo l'importante quanto l'idea stessa di realismo che Del Toro vuole comunicare.

La produzione è messicana, spagnola e solo in parte americana, dunque non una megaproduzione com'era Hellboy. Proprio per questo Guillermo Del Toro è stato costretto ad andare alle radici del cinema e del suo linguaggio per cercare di dare il massimo effetto con il minimo dei trucchi. Si è rivolto dunque alle maschere, ai pupazzi e al sonoro.
Bisogna infatti tener conto che la mitologia messa in scena non è la solita che siamo stati abituati a vedere in film come Il signore degli Anelli o Le cronache di Narnia, ma un fantasy più grezzo, più sporco, fangoso e quindi reale. E questo senso di realtà, di empatia naturale è dato non solo dalle ambientazioni fangose e umide dei boschi spagnoli ma anche dal modo in cui si è scelto di realizzare le creature fantastiche e dai suoni del film, irrealisticamente intensi e permeanti.
Sempre di più infatti, a determinare il respiro del film è la forma degli effetti speciali e non tanto i personaggi o gli artifici che possono essere creati. Gli effetti speciali metà digitali e metà illusioni ottiche di Michel Gondry danno un certo senso straniante e sognante alle sue pellicole, mentre il dominio delle tecnologie digitali in film come Superman Returns cercano l'astratto e proiettano il film in un altro mondo, perfetto e pulito. Le interessanti idee di Del Toro invece battono una via diversa per parlare di cinema fantastico.

In Il labirinto del Fauno ci sono diverse creature fantastiche animate secondo principi diversi riconducibili a tre categorie di effetti speciali.
Ci sono le fate (ora insetti ora fatine) "molto più sudice e ingannevoli di quelle di Peter Pan!" nelle parole dello stesso Del Toro, sporche di fango ed erba che sono create per la quasi totalità al computer. Ci sono gli elementi della natura come il rospo gigante che sono grandi pupazzi animati dal vivo con qualche inserto importante di computer grafica (nel caso specifico la lingua). Infine ci sono le creature semiumane come il Fauno o l'uomo senz'occhi, frutto quasi unicamente di un lavoro di trucco.
Sono proprio queste ultime due creazioni gli elementi fondamentali che danno uno spirito alla pellicola, personaggi centrali non tanto nella narrazione quanto nella formazione dell'immaginario del film. Non a caso la loro genesi non è stata semplice.

Per il Fauno l'idea era fin dall'inizio quella di cercare di integrare quanto più possibile la sua figura con la natura, ricoprirlo quanto più possibile di elementi organici come foglie e rami e dare al suo viso e al suo corpo sembianze lignee di albero. Ma doveva anche essere un personaggio sostanzialmente empatico, a tratti dolce a tratti autoritario e, per questo, parte del suo viso (quella inferiore) era chiaramente umana. L'uomo senza occhi invece è un parto di Del Toro che si è basato su alcuni dipinti famosi di Goya e su alcune idee di David Marti, il supervisore degli effetti speciali per conto della DDT Efectos Especiales. L'idea originale era di qualcosa che non avesse lineamenti, in grado anch'esso di ricordare il mondo animale grazie ai suoi occhi inseriti nelle stimmate che si aprono come le piume di un pavone. Per il resto (i movimenti e l'andatura sbilenca) il regista si è affidato totalmente a Doug Jones, l'interprete con cui già aveva lavorato per dare vita al personaggio di Abe Sapien in Hellboy.

da MYMOVIES del 14/11/06

17.11.06

Quei Linux Angels ringiovaniscono pc obsoleti

Roma - Si chiamano Linux Angels e nelle parole di Silverio Carugo, rettore di Didasca (azienda che lavora nella formazione informatica nell'ottica del lifelong learning) "sono proprio come gli angeli: gente che va a dare consiglio supporto e assistenza. Chiaramente nel settore del software open source!". Si tratta di ragazzi, studenti di licei romani (quasi tutti provenienti da licei tecnici industriali o professionali) impegnati nella diffusione di una cultura dell'open source tramite dimostrazioni di come questi software siano più semplici da utilizzare rispetto ai tradizionali software proprietari.
È questo lo spirito con cui i Linux Angels danno vita all'Operazione Lilliput, pensata per ampliare la cultura del software libero e a dimostrare la sua usabilità, portata avanti "con la stessa intraprendenza e alacrità dei piccoli abitanti visitati da Gulliver in uno dei suoi viaggi". Tra queste attività, una delle più interessanti consiste nel prendere computer ritenuti obsoleti perché troppo vecchi e trasformarli in macchine perfettamente operative, grazie a sistemi open source e software gestiti da un server centrale. Al momento, la destinazione di questi computer di rinnovata utilità sono le scuole e la formazione degli anziani (altra attività patrocinata dal comune di Roma). Di tutto questo Punto Informatico ha parlato con lo stesso Carugo.

Punto Informatico: Cos'è l'Operazione Lilliput? A leggere quel che si dice è una sorta di progetto di formazione "virale" focalizzato sull'open source
Silverio Carugo: È tutta un'attività svolta dai nostri studenti-insegnanti ai quali noi spieghiamo come funziona la tecnologia e poi loro, su richiesta, vanno a fare dimostrazioni al sindaco, al presidente del consorzio tal dei tali, dei commercianti ecc. ecc. fino al singolo padre di famiglia e eventualmente ad altri studenti.

PI: Quali sono i vostri agenti-docenti?
SC: Questi studenti già insegnano e sono inquadrati in classi dove spiegano agli over 60 come usare internet. Per il momento l'Operazione Lilliput è attiva a Roma, dove consiste appunto in un corso di perfezionamento per Linux Angels. A loro insegniamo in modo specifico a usare la tecnologia LazzaroNX. Dopodichè loro la installeranno sui pc obsoleti che poi andranno nelle scuole per i corsi per gli anziani ma anche per i più giovani.

PI: Perché ricorrere proprio a LazzaroNX?
SC: La tecnologia LazzaroNX consiste nella creazione di un ecto-server ovvero un grande server remoto fornito di sistema Novell e di tecnologia NX che permette la creazione in parallelo, nella grande memoria dell'ecto-server, di migliaia di pc virtuali ai quali si accede via internet anche con un vecchio pc. Così chi usa questo vecchio pc avrà la sensazione di usare un pc nuovissimo, di grande potenza, perché in realtà le operazioni computazionali invece di essere fatte localmente sono fatte dalla memoria e dalla potenza dei processori dell'ecto-server.

PI: E invece l'iniziativa "Non buttarmi... al centro anziani c'è post@ per me"? In che modo si integra all'Operazione Lilliput?
SC: È un'idea del Consorzio Gioventù Digitale, e parte dell'Operazione Lilliput:: in sostanza si invitano le aziende e la pubblica amministrazione a non buttare i pc obsoleti ma consegnarli al Consorzio. Dopo averli sottoposti al nostro trattamento, i computer ritornano utili e vengono distribuiti per fare scuola agli anziani.

PI: Se non sbaglio è parte dell'iniziativa "Nonni su Internet", no?
SC: Sì, è stata lanciata dal comune di Roma già 3 anni fa. Oltre 3mila persone hanno partecipato a questi corsi con grande successo. Ma mentre anni fa usavano software molto artigianali e arcaici, da qui in avanti con l'ecto-pc sono nel futuro del computing, il web2computing. Un nuovo sistema di utilizzare le applicazioni che non girano sul pc ma sui server remoti, un po' quello che fa Google con i suoi servizi come Gmail o Google Spreadsheets.

PI: La vostra attività si traduce in un impulso locale al software libero. Come vede lo scenario di mercato: l'aumento degli utenti di sistemi aperti andrà ad intaccare la leadership dei software proprietari?
SC: Il 2 novembre Microsoft e Novell si sono accordate per rendere compatibili i due sistemi operativi. È evidente quindi che Microsoft riconosce in Linux un concorrente terribilmente pericoloso, per cui meglio accordarsi con lui e trarre vantaggio dai suoi punti di forza. A questo punto che OpenOffice debba sostituire Office nelle scuole è palese, non ci piove. Anche perchè è meglio di Office e non costa niente.

PI: Ma far abituare gli studenti ad OpenOffice quando poi nel mondo del lavoro troveranno Office non è fuorviante? C'è chi lo sostiene
SC: No, è il contrario! Perché OpenOffice è più intuitivo. Chiunque sa usare OpenOffice sa usare anche Office. E poi nel mondo del lavoro d'ora innanzi anche le aziende useranno OpenOffice, per una ragione semplice, perché Microsoft li spinge verso Office 2007 che richiede risorse hardware superiori a quelle attuali. E poi, spiegare ad un dipendente come usare Office 2007 è più costoso che usare OpenOffice che dà le stesse prestazioni.

PI: Dopo Roma, l'Operazione Lilliput proseguirà in altri comuni?
SC: Sicuramente. Abbiamo già degli accordi con comuni molto importanti dei quali non posso fare il nome, uno è al nord e uno poco sopra Roma per iniziative simili a quelle di Roma, cioè un polo educativo che faccia dimostrazioni.

da PUNTO INFORMATICO del 17/11/06

14.11.06

La fantascienza all'europea:
poca tecnologia ma solo apparentemente

C'è un'idea diffusa secondo la quale la fantascienza all'americana è un convoglio di tutte le novità tecnologiche nel campo cinematografico mentre quella all'europa insiste molto di più sullo scenario e sull'idea di futuro. Il film di Alfonso Cuaròn in qualche modo smentisce questa regola.
La storia descrive infatti un futuro molto prossimo non solo in termini temporali (si tratta del 2027) ma anche in termini scenici. Le automobili sono leggermente più evolute, gli schermi televisivi sono sempre di più e sempre più piatti e le pubblicità hanno assunto forme nuove e più invadenti (quest'ultima poi è una cosa molto presente nell'immaginario fantascientifico). Se trascuriamo insomma lo spunto della trama, cioè il fatto che l'infertilità diffusa delle donne ha causato un generale stato di decadenza e militarizzazione delle nazioni, per il resto il mondo non è troppo diverso da quello attuale.

Apparentemente I Figli Degli Uomini è il tipico esempio di quella fantascienza all'europea che, un po' per fondi un po' per snobismo, non abbina descrizione del futuro e utilizzo di tecnologie di messa in scena. In realtà il film, che è una coproduzione inglese e americana, utilizza le tecnologie del cinema molto più di quanto possa sembrare, solo che lo fa in maniera più sottile e più invisibile del solito, come dimostra l'incredibile piano sequenza di 15 minuti che accompagna il protagonista dentro un palazzo attaccato militarmente.
Oltre infatti a una lunga serie di accorgimenti di postproduzione, molte immagini sono ritoccate al digitale per creare il mondo disperato immaginato dal regista (ma non la luce grigiastra, quella è vera luce inglese ricercata con perizia e fatica dal direttore della fotografia Emmanuel Lubezki). Accorgimenti apparentemente invisibili come si diceva, ma che contribuiscono a dare quel senso claustrofobico degli spazi aperti che caratterizza tutta la pellicola.

Ma è nel modo di riprendere il film che la tecnologia ha dominato. Per inseguire il senso di realtà Cuaròn ha voluto realizzare tutto il film seguendo due direttrici principali: primo, utilizzare al massimo la profondità di campo, cioè posizionare la macchina da presa abbastanza lontana dai protagonisti in modo da poter tenere a fuoco anche gli elementi di sfondo di ogni inquadratura e, secondo, realizzare il film attraverso l'unione di lunghi piani sequenza.
Queste due tecniche finalizzate alla costruzione di un forte senso di verosimiglianza della storia narrata, richiedono tecnologie che qualche anno fa non sarebbero state disponibili. Obiettivi particolari, lenti particolari e soprattutto videocamere digitali in grado di memorizzare lunghe riprese (le vecchie bobine più di tanto non potevano durare). La più lunga delle riprese senza stacchi, quel piano sequenza di 15 minuti cui già si è accennato, è un perfetto esempio di tutto questo.

Frutto di 5 giorni di prove e di un'attenta pianificazione degli spostamenti di protagonisti e troupe (che cercava in ogni modo di non essere ripresa dai continui movimenti della macchina da presa), ha richiesto l'utilizzo di una videocamera digitale wireless in grado di funzionare senza fili e trasmettere in diretta le immagini riprese su un monitor a disposizione del regista il quale, non sempre (durante quei 15 minuti) poteva inseguire l'operatore per controllare l'andamento della ripresa. La complessità e la dovizia di particolari di messa in scena di quella ripresa sarebbero stati impensabili solo qualche anno fa.

da MYMOVIES.IT del 14/11/06

6.11.06

I "talenti" che nascono in rete

La rete è piena di talenti del video, i motivi sono molti e vanno dalla libertà creativa che è data dal non aver nessun produttore a cui fare riferimento, all'alta qualità che le tecnologie di uso quotidiano possono offrire fino alla distribuzione gratuita e altamente pervasiva che caratterizza Internet. Questo è un fatto e qualcuno se n'è accorto.
La United Talented Agency, una delle 5 più importanti agenzie di talenti di Hollywood che può vantare nella sua scuderia attori come Vince Vaughan e Jack Black o registi come M. Night Shyamalan, ha deciso di aprire una sezione che ha il preciso compito di scovare nuovi talenti in rete e metterli a disposizione di chi voglia creare contenuti specifici per Internet.
Ma l'approccio veramente rivoluzionario sta nel fatto che l'obiettivo non è trovare in rete la prossima generazione di filmmakers o autori televisivi, ma al contrario offrire una soluzione altamente professionale a chi è affamato di contenuti originali per i propri portali o siti allo stesso modo in cui in passato le case cinematografiche si rivolgevano alle talent agencies per trovare nuovi registi o attori. "Lo scoglio all'entrata è così irrisorio che ora chiunque potenzialmente può essere un'artista." sostiene Brent Weinstein, il capo di questa nuova sezione, "ci sono dunque moltissimi talenti là fuori anche se il 99,999% di questi non andrebbe bene per il cinema o per la televisione. Ma su Internet magari sì, perché contano doti diverse".
La divisione web della UTA conta al momento tre dipendenti la cui media è di 26 anni che in poche settimane (ma molto è la forza del nuovo mercato) hanno concluso 6 importanti accordi con grossi portali che producono e distribuiscono video. Jeremy Zimmer, uno dei fondatori dell'agenzia ritiene che "più riusciamo a guadagnare quote nel settore dei talenti per la rete, più saremo in grado di definire le regole di questo mercato così da aiutare i compratori a capire la maniera migliore di offrire servizi".
Con l'allargarsi progressivo della banda di trasmissione in questi ultimi anni, Internet ha dimostrato come possa funzionare da gigantesco canale di distribuzione a costo zero (o a costo di connessione), facendo emergere svariate figure di blogger, videoblogger, creatori di contenuti e filmmakers che hanno raggiunto la fama unicamente in virtù della loro abilità.
Esemplari in questo senso il caso di Andrew Baron, la mente dietro Rocketboom, il videoblog che ogni giorno mette in rete 45 minuti di news e curiosità sulla società tecnologica, un business da 300 mila download per ogni puntata ottenuti senza un briciolo di spesa in pubblicità. Rocketboom è visto dai maggiori leader d'opinione e CEO di Internet, un successo che ha permesso ad Andrew Baron di sostituire Amanda Congdon, il volto storico di Rocketboom, con Joan Colan, una delle conduttrici di punta di Mtv Uk. Simile è stata anche l'ascesa di lonelygirl15, pseudonimo dietro il quale si celano due giovani filmmakers che quest'estate hanno cominciato a distribuire su YouTube episodi di una serie televisiva fingendo si trattasse delle videoconfessioni di una ragazza di 16 anni. Ogni episodio era accuratamente sceneggiato e montato, si inseriva nel continuo di una storia narrata con abilità che lasciava indizi di volta in volta e che ha appassionato così tanti utenti da diventare il canale di YouTube più sottoscritto in assoluto.
Ora l'idea della UTA è un riconoscimento ufficiale da parte di uno dei colossi dei media tradizionali che non solo esiste una creatività da scovare nelle maglie della rete, ma soprattutto che esiste uno specifico della produzione Internet differente dalla produzione per i media tradizionali, e che quindi necessita di differenti professionalità.

da AFFARI & FINANZA del 6/11/06

31.10.06

Uno shop italiano per film sul pc

Roma - Ha aperto da poco quello che ufficialmente può essere considerato il primo player italiano di un mercato che, stando a quanto succede all'estero, è sempre più interessante. FilmIsNow.it è il primo sito italiano dedicato unicamente alla vendita di film in download: i file sul sito di proprietà di Eutelia, sviluppato in collaborazione con FilmUp, vengono resi disponibili il giorno in cui viene commercializzato il film come tradizionale Home Video. I prezzi? Dai 9,90 ai 13,90 euro, con sconti per chi vuole comprarne anche una copia fisica.

Tutti i file scaricabili sono coperti da un DRM certificato Microsoft, che consente la visione solo su PC (di qui a breve sarà possibile il download anche su Mac) e con Windows Media Player; inoltre con una modifica si impedisce la riproduzione su supporti che non siano il disco rigido su cui viene scaricato. Dunque niente copia e niente masterizzazione, almeno per il momento.

Limitazioni, certo, inevitabili se si vuole avere a che fare con i colossi del cinema, come ha confermato a Punto Informatico Roberto Nardini responsabile del progetto per conto di Eutelia.

Punto Informatico: Come stanno andando i download?
Roberto Nardini: Vanno molto bene e ne sono sorpreso. Sapevamo di essere un servizio innovativo in Italia: rispetto al p2p abbiamo un costo ed una qualità diversa, per cui non ci aspettavamo una risposta così grossa. Siamo decisamente vicini al breakeven che ci eravamo posti, intorno alla decina di download al giorno, numeri decisamente non banali per un negozio online.

PI: I DRM che applicate impediscono la masterizzazione che invece in alcuni altri cinemastore internazionali è consentita. Come mai?
RN: È una richiesta delle major. Il DRM certificato Microsoft che usiamo prevede la masterizzazione e noi vorremmo lasciarla, ma per ora gli studi legali delle major hanno previsto di non permetterla e ci siamo adeguati. Le major sono molto timide su questo mondo digitale e hanno molta paura del discorso della pirateria e di trovarsi sulle bancarelle, anche se di fatto ci sono già.

PI: E poi la visione è "bloccata" su un solo PC...
RN: È una cosa che in realtà si può cambiare. Se si cambia PC o disco fisso si può chiamare il nostro call center che elargisce un altro codice e riemette un nuovo certificato. Contiamo comunque di poter offrire a breve la possibilità di aumentare la flessibilità di utilizzo.

PI: Oltre all'attuale intesa con Warner, con quali altre case contate di stringere accordi?
RN: Entro Natale stringeremo accordi con altre quattro grandi majors per avere il parco più ampio possibile, loro intanto stanno valutando la prima risposta del mercato che dopo le prime settimane è molto positiva. Rispetto al negozio fisico è proprio il grande catalogo che farà la differenza, perché nei negozi normali il prodotto nuovo rincalza il prodotto vecchio. Difficilmente si trovano film storici nelle videoteche o anche edizioni particolari.

PI: Chi sono i vostri concorrenti in Italia?
RN: Non ci sono. Tutti fanno servizi di film streaming. I film si vedono una o due volte ma alla fine non posseggo nulla, sono una concorrenza al noleggio.

PI: E voi perché fate solo vendita e non anche noleggio?
RN: Per questioni di rete. Oggi lo streaming in Italia, ma anche in Europa, non funziona perfettamente e noi volevamo puntare sulla qualità.

PI: Ma lo streaming non è l'unica soluzione per il noleggio, avreste potuto applicare dei DRM che facciano scadere il file dopo un certo numero di giorni
RN: Si, però non ci convinceva. Volevamo una ragione d'acquisto diversa.

PI: I concorrenti internazionali sono moltissimi ma al momento nessuno è presente in Italia, anche se è questione di poco tempo ormai. Come pensate di affrontare una concorrenza che con ogni probabilità sarà agguerrita?
RN: Il nostro rischio più grosso sicuramente è quello di essere i soli a proporre questo tipo di servizio, perché l'utente non si abitua all'offerta. Se siamo un certo numero crediamo che ci sarà una presa di coscienza maggiore da parte degli utenti e noi comunque saremo nel mercato da più tempo. In questi mercati poi solitamente vince chi sbaglia di meno e noi speriamo di avere più esperienza degli altri.

da PUNTO INFORMATICO del 31/10/06

27.10.06

Gentiloni: DTT e IPTV due progetti diversi

Roma - La televisione del futuro sarà digitale, ma quale sarà il suo assetto ancora non è chiaro. Ospite degli studi di RaiUtile, la rete del digitale terrestre RAI dedicata all'accorciamento della distanza tra lo stato (nelle sue mille forme) e il cittadino, il ministro delle comunicazioni Paolo Gentiloni ha chiarito la visione dell'attuale governo e ha risposto ad alcune domande riguardo al rapporto della televisione digitale terrestre con quella ben più innovativa che passa attraverso il protocollo IP.

A quanto sembra, l'obiettivo del ministro al momento è principalmente e primariamente quello di ridurre le posizioni dominanti e dare modo a più editori di avere accesso alle frequenze (un modo anche per stimolare una maggiore qualità). Ma non solo le frequenze devono essere libere, anche e soprattutto la raccolta pubblicitaria non deve essere monopolio dei soliti noti: "Sono 20 anni che non riusciamo a fare una legge che regoli come si deve il sistema televisivo. Non c'è riuscita la legge Mammì, non c'è riuscita la legge Maccanico nè tantomeno la Gasparri", per questo Gentiloni ha come obiettivo principale, ora più che mai, il pluralismo e la liberalizzazione.

Ma è la televisione via internet, al momento, il nemico maggiore del digitale terrestre, una televisione a basso costo, fatta dal basso e dalle potenzialità infinite. Interrogato sulle possibilità di una concorrenza al digitale terrestre da parte di una tv che sfrutta un mezzo già nelle case di tantissimi, il ministro ha risposto che "la televisione via internet e quella digitale terrestre credo siano due cose ben diverse. La prima ha la straordinaria potenzialità di portare nelle case di chi la può utilizzare un grandissimo archivio di film e programmi da consultare di volta in volta, più una programmazione lineare come nelle altre televisioni. Può insomma garantire un'offerta maggiore sia del digitale terrestre che del satellite. È una modalità che tuttavia si svilupperà solo nei prossimi anni e che ha dei problemi di ammodernamento della rete. Ci sono miliardi di investimenti da fare sulla rete TLC per connettere milioni di persone, cosa che dipende molto da chi è il gestore principale di questa risorsa cioè Telecom Italia e dal fatto che possa effettivamente farli questi investimenti. Il digitale terrestre è diverso invece, si tratta di una televisione gratuita destinata alle grandi platee generaliste."

Dunque la visione del ministro della televisione digitale è:satellite e internet a pagamento e digitale terrestre come piattaforma gratuita disponibile a tutti. Queste anche le ragioni dello spostamento in avanti dello switch off dalla tv analogica al DTT.

Incalzato poi anche in studio su questo tema, il ministro ha ricondotto il suo discorso ai tre obiettivi fondamentali: "Ci sono tre cose che non si toccano" ha risposto "La ridistribuzione delle risorse in materia di raccolta pubblicitaria per evitare posizioni dominanti. I grandi broadcaster che devono andare verso lo switch off con una rete ciascuno, per liberare più frequenze possibile. E infine la strutturazione di regole ferme per quando il digitale terrestre sarà a regime (dopo il 2012), noi pensiamo ad un tetto di 12 reti a testa".

Secondo Gentiloni non si può pensare ad uno spegnimento della televisione analogica prima del 2012 (come sostiene Maurizio Costanzo) perché ci sono moltissime persone a cui il decoder non deve essere solo venduto ma gli deve essere anche spiegato come usarlo. Ci sono le persone sole, gli anziani e i meno informati, fino ad ora invece il governo ha aiutato solo gli early adopters e i più curiosi. Anche per questo il Ministero delle Comunicazioni ha stabilito che entro i 2009 una rete Rai e una Mediaset andranno sul digitale terrestre in avanscoperta.

da PUNTO INFORMATICO del 27/10/06

25.10.06

Renaissance spinge in avanti l'animazione digitale

Per realizzare Renaissance ci sono voluti dieci anni di ritardi, finanziamenti raccolti dovunque nel mondo (anche dalla Miramax), continua sperimentazione, continui errori e ripensamenti e continue innovazioni tecniche. Durante la realizzazione del film, il software necessario ad animare i personaggi e compiere il rendering in bianco e nero è stato sviluppato a seconda delle esigenze degli animatori dal team diretto dal regista/ideatore del progetto Christian Volckman. Questo perché nessuno si immaginava che, una volta compiuto il rendering in bianco e nero delle sequenze animate, una minima variazione nei movimenti facciali potesse cambiare totalmente l'espressione del personaggio poiché, nel bianco e nero di Renaissance ci sono molti meno tratti e dunque sono tutti fondamentali.

L'idea che ha mosso fin dall'inizio Volckman era quella di trovare una strada che fosse davvero a metà tra cinema tradizionale e cinema d'animazione tridimensionale e che, non a caso, potesse rappresentare un valido esempio di animazione per adulti (cosa che dieci anni fa non era assolutamente data per scontata). Per fare questo, Volckman ha iniziato assieme a Marc Miance (numero uno del reparto motion capture all'Attitude Studio) dai modelli in 3D, prima ancora di girare il film: "Questo è servito - sostiene Miance - a far capire a tutti il feeling che avrebbe dovuto avere il film". Successivamente è passato a girare il film in maniera più o meno tradizionale per nove settimane con ventiquattro macchine da presa HD. In seguito è stato il momento della cattura dei movimenti degli attori con il motion capture, poi li ha attribuiti ai personaggi di sintesi, ha montato le scene e infine ha eseguito il rendering in bianco e nero creando anche tutto lo scenario.

È stato chiaramente l'ultimo passo del processo quello che ha creato il maggior numero di problemi. Sempre Miance ha ricordato come: "Per creare una Parigi del 2054 che fosse credibile [rispetto ai personaggi animati in motion capture e alle riprese effettuate come un film normale] l'abbiamo dovuta creare come un vero set. Cioè abbiamo dovuto popolare le strade di centinaia di comparse come se l'avessimo davvero filmato a Parigi. La sequenza più grossa ha richiesto la creazione di 5000 comparse. Neanche a dirlo ci siamo serviti di un software sviluppato da noi".

Ma se questa componente era già stata sperimentata in altri film d'animazione, la vera sfida è stata comprendere come realizzare artifici quali le trasparenze dei vetri o la profondità di campo con il bianco e nero supercontrastato che è la cifra estetica di Renaissance. Per il primo problema la soluzione finale è stata utilizzare un set di ombre in toni di grigio per dare l'idea giusta mentre, dopo molto sperimentare, il team ha scoperto che sfocando e poi rimettendo a fuoco i fondali si otteneva quell'effetto di soffice smagliatura tipica della profondità di campo.

Il risultato finale è un'esperienza di notevole impatto visivo. Renaissance è un film d'animazione in 3D che, a causa del particolare tipo di bianco e nero che usa sembra in 2 dimensioni, ma che acquista profondità nelle inquadrature dove i soggetti sono virtualmente vicini alla macchina da presa e soprattutto che è dotato di piani sequenza e movimenti di macchina difficilmente riscontrabili in un film d'animazione tradizionale.

da MYMOVIES.IT 25/10/06

Un Oscuro... disegnare

I distributori di Un oscuro scrutare hanno dimostrato sicuramente lungimiranza, cavalcando abilmente tutte le ultime mode della rete. Poco prima della sua uscita, infatti, hanno bandito un concorso per il miglior remix del trailer del film, dopodiché - a film uscito nelle sale (americane) - ne hanno messo in rete (cioè a disposizione di tutto il mondo) i primi venti minuti. Decisamente una bella fiducia nel prodotto.
Ma non si tratta solo di abilità di marketing, tutte le tecnologie messe in campo dal film (sulle quali chiaramente regna l'uso fatto del rotoscoping) sono usate in maniera molto intelligente.
Un oscuro scrutare è forse il film che a oggi ha richiesto più lavoro di post produzione da quando questa esiste. Lo stesso Linklater non ce la faceva più e in mezzo è riuscito a girare altri due film ( Bad News Bears e Fast Food Nation), arrivando a dichiarare stremato: "So come si fa un film, ma davvero non so come trattare l'animazione", facendo riferimento alle mille difficoltà che il suo team ha incontrato nell'applicare la tecnica del disegno al computer ricalcando le scene girate con Keanu Reeves, Robert Downey Jr. e Woody Harrelson. Non è bastato infatti aver già girato un film con questa tecnica (Waking Life); ora che il budget è infinitamente più alto e il software sviluppato appositamente dal MIT di Boston (Rotoshop) infinitamente migliorato (tanto che solo poche persone sanno usarlo), tutto si era complicato.

Sono stati necessari licenziamenti, spostamenti dell'unità di post-produzione, nuove assunzioni, lezioni su come usare il software e più di due anni di lavoro per cominciare solo ad avere un'idea di quando il film sarebbe stato pronto. Parecchi gli ultimatum che i produttori hanno inviato a Linklater, il quale ogni volta rispondeva mostrando piccoli trailer o sequenze finite per convincerli ad andare avanti.
A un certo punto lo stesso Linklater si è dovuto allontanare dal processo di disegno sui fotogrammi: "Era così lento che non ce la facevo, di settimana in settimana mi mettevo dietro le spalle degli animatori e vedevo che così poco era stato fatto. Era troppo per me! Dovevo lavorare su altre cose per mantenermi sano di mente".
Ora che quest'inferno è finito il regista di School of Rock e Dazed and Confused giura che non farà più un film d'animazione, salvo poi ritrattare subito dopo, auspicando un modo per farlo senza tutto questo dolore. Ma ne è valsa la pena?
L'obiettivo dichiarato di Richard Linklater era avvicinare un pubblico più maturo all'animazione, mostrare loro, con un solo film, che esiste una dimensione adulta dell'animazione, nella speranza che altri seguano la sua strada. Ma decisamente è andato anche oltre i suoi propositi.
Con Waking Life, pur nella sua immaturità, Linklater aveva cominciato a sperimentare un nuovo linguaggio: quello della tecnologia al servizio della recitazione, quello che cerca una strada di mezzo tra il film tradizionale e il cartone animato. In quale cartone si possono avere delle scene frutto di improvvisazione sul set? In quale cartone i personaggi non hanno espressioni che sembrano reali ma espressioni facciali vere e proprie? Per quale cartone si fanno riunioni su riunioni con i protagonisti per discutere sui personaggi?

Il risultato di questa sperimentazione cine-linguistica è che Un oscuro scrutare è differente sia dai film tradizionali che dai cartoni animati. Perchè se un film tradizionale, quando incorpora effetti speciali lo fa cercando il più possibile il realismo (cioè la non discrepanza con il resto degli elementi dell'immagine) e il cartone animato non ne ha bisogno perchè tutto ciò che accade di impossibile sarà disegnato, al pari del resto del film (cioè avrà lo stesso grado di verosomiglianza), allora, Un Oscuro Scrutare, è necessariamente a metà perchè non può essere inserito in nessuna delle due categorie. In un film realizzato usando il rotoscoping - come ha fatto Linklater - la fusione tra film ed effetti speciali è totale; elementi veri e inventati hanno il medesimo grado di realismo. E se la storia è ben narrata questo può arrivare a essere molto elevato.
Quando Keanu Reeves vede gli amici con il corpo di insetto non c'è discrepanza rispetto alla scena precedente, non c'è stupore o incredulità davanti a qualcosa di non possibile realmente, non c'è stacco con il resto del film o con gli altri elementi dell'immagine, tutto è disegnato, tutto è falso. Quindi tutto è vero.
Questa proprietà, se ben sfruttata (come Linklater era già stato capace di fare in Waking Life) porta un diverso grado di emotività alla pellicola, non un grado maggiore e non minore, ma diverso.

da MYMOVIES.IT 21/10/06

19.10.06

Alla Festa Del Cinema in scena il Digital Party

E' con la giusta dose di orgoglio che Fabrizio Fultò dichiara che: "Non ci sono festival o feste del cinema con una sezione dedicata agli effetti speciali", nulla insomma come il Digital Party, la mostra/esibizione/workshop allestita interamente nello Spazio Espositivo Uno presso l'Auditorium di Roma, un'area di 2300 metri quadrati che gli ideatori non esitano a definire "underground" per la sua collocazione sotterranea e per l'illuminazione dai forti toni blu.
Un'intera area dedicata alle nuove tecnologie del cinema che in questa prima edizione darà particolare attenzione al tema cardine della Festa Del Cinema 2006: il lavoro dell'attore.
Il cuore del Digital Party infatti è costituito dalla messa in scena dell'intero processo di creazione di un attore digitale attraverso il motion capture (la tecnica che è servita ad animare Gollum di Il Signore Degli Anelli o il King Kong di Peter Jackson). Ci sono schermi piatti diffusi in tutta l'area sui quali sono visualizzati i diversi step che danno vita all'attore di sintesi: dalla "cattura" dei tratti facciali, alla loro tridimensionalizzazione, alla cattura dei movimenti del corpo, fino all'applicazione del viso sul corpo e l'interazione, sempre in un ambiente rigorosamente virtuale, con attori in carne ed ossa.
"Abbiamo voluto creare uno spazio che stupisca chi entra con la sua magia, che è poi quella dei trucchi cinematografici, senza parlare del funzionamento delle componenti elettroniche ma mostrando le radici storiche di queste evoluzioni", in questo modo Adriano Levantesi spiega l'obiettivo dichiarato dell'evento, cioè mostrare al pubblico come nel virtuale non scompaia l'artigianato del cinema, anzi. Ogni mestiere "analogico" ha un suo corrispettivo digitale. Le tecnologie al servizio del cinema anche nell'era digitale per funzionare richiedono pratica, apprendistato e creatività artigianale, non si tratta di una scappatoia tecnica che delega il lavoro alle macchine. Ed è per dimostrare questo che Fultò e Levantesi (le menti dietro il Digital Party) hanno voluto mettere a disposizione del pubblico l'esperienza e i mezzi tecnici che le aziende partner hanno portato. In questo modo ogni avventore può, spostandosi attraverso l'area espositiva, diventare il modello per la creazione di un clone digitale con il quale alla fine sarà anche possibile interagire in un ambiente rigorosamente virtuale, mettendosi di fronte al classico pannello blu.
Ma non ci sarà solo questo, il Digital Party durerà per l'intera durata della Festa e oltre ad esporre tecnologia consentirà anche di capirne di più sui sistemi produttivi. La più grande sorpresa è infatti scoprire che alcuni dei maggiori esperti che lavorano alla post produzione digitale ad Hollywood sono italiani o di origine italiana. Professionisti che interverranno per parlare o fare delle lezioni ad un pubblico di esperti, da Anthony Lamolinara a Filippo Costanzo fino ad Antonio Noti, il primo italiano a lavorare come supervisore agli effetti speciali per un'azienda americana, la Sony Images.

15.10.06

La Casa Dei Mostri Viventi

L'animazione 3D è sicuramente il campo che, al momento, consente la maggiore libertà creativa, il miglior riscontro di pubblico, offrendo allo spettatore un territorio tutto nuovo da esplorare, elementi che non possono non fare gola a un cineasta puro e devoto al blockbuster come Steven Spielberg, il quale già aveva tentato un'incursione nel mondo dell'animazione partecipando alla produzione nel 1998 de Il Principe d'Egitto.
Ma il vero precedente di Monster House è Polar Express, prima pellicola ad applicare la tecnica del motion capture a un film d'animazione (all'epoca fu addirittura scritturato Tom Hanks per il doppiaggio e la recitazione facciale) e ormai pezzo d'antiquariato.
Sono in molti a fare sperimentazione, tentando nuove forme cinematografiche e nuovi tipi di narrazione, ma specialmente dal punto di vista tecnologico ancora nessuno è all'altezza dei terribili giovanotti (ormai vecchietti) che a fine anni '70 rivoluzionarono Hollywood. Spielberg, Burton, Lucas e Cameron (tra i tanti) sono ancora i fari a cui guardare, gli unici capaci di far fare alle tecnologie del cinema balzi da gigante a ogni loro sperimentazione.

In Monster House non tutto è perfetto, il motion capture facciale è eseguito solo per i personaggi principali e questo fa sì che si noti una marcata differenza con l'animazione dei comprimari, i movimenti non sono fluidi come quelli dei campioni della Pixar e la costruzione della scena è ancora vincolata alla gestione di pochi elementi ma tanto basta per dare un impulso, uno stimolo al mondo della produzione animata. E non solo.
L'ultimo film prodotto da Spielberg e Zemeckis sarà infatti il più grande lancio nelle sale in tre dimensioni della storia del cinema. Sale che in America sono in continua ascesa specialmente dopo il clamoroso quanto inaspettato successo del non troppo esaltante Chicken Little 3D della Disney, su questo tipo di schermi.
Il segreto dei film d'animazione in 3D tuttavia non è interamente dovuto a ragioni tecnologiche, anzi! È tutto merito del ritorno alla narrazione di grandi storie. La Disney e i suoi pochi concorrenti, negli anni '90 avevano cominciato a mostrare segni di stanchezza da questo punto di vista, mentre la Pixar, da Toy Story in poi, aveva dimostrato che poteva esistere un tipo di narrazione diversa prima ancora che una tecnologia diversa.

La tecnologia d'animazione in 3D sta riportando il cinema a una dimensione di piccoli budget che consente la produzione di film più rischiosi, più modesti e non necessariamente buoni per tutti i pubblici.
Un film da 100 milioni di dollari dovrà piacere a tutti, dovrà contenere elementi che soddisfino ogni tipo di pubblico, dovrà essere un successo assicurato e per fare questo dovrà essere un film che batta il sentiero più sicuro che c'è. Al contrario un film da 8 o 9 milioni di dollari può anche permettersi di puntare a un target più specifico e prendersi il lusso di tentare di battere una nuova strada. Lo stesso Ralph Guggenheim, produttore di casa Pixar (responsabile all'epoca di Toy Story) ha dichiarato di essere: "molto interessato a produrre pellicole animate da 8 o 10 milioni di dollari, sappiamo che si possono fare". Il costo dei software e delle macchine per "disegnare" un cartone in 3D sta crollando di mese in mese, gli strumenti sono virtualmente nelle mani di tutti e si vede. Accanto ai soliti grossi film ne escono moltissimi altri fatti a basso costo (molti dei quali francamente inguardabili) che non hanno la tecnologia di Cars ma cercano nuove strade.
Lo stesso esordio fulminante di quelli che ormai sono dei classici come Shrek o L'Era Glaciale (il primo della Dreamworks il secondo dell'indipendente Blue Sky) va considerato in quest'ottica. Il loro successo era dovuto non alla tecnologia (che pure era diversa dalle altre di quel momento) ma all'approccio che avevano deciso di avere nei confronti del cinema (non solo d'animazione). Sono stati questi film, per dire, a mettere in evidenza come anche il cinema d'animazione si nutra del cinema passato attraverso il citazionismo, spinto però alle massime conseguenze. Da Shrek in poi i film d'animazione in 3D sono colmi di citazioni cinefile, molto più di quanto non lo siano i film normali, e anche la Pixar si è lentamente adeguata. Il risultato è allora che anche il più infantile e mediocre dei film d'animazione contiene elementi che possono soddisfare e sollazzare solo un pubblico maturo.
Questa è la dimostrazione più evidente dello stato di salute di questo tipo di cinema, il fatto che comincino a uscire anche molte pellicole prodotte con pochi soldi e di scarso valore. La massificazione e il conseguente abbassamento della qualità media sono segni inequivocabili della raggiunta maturità produttiva di questo genere, l'unico per il momento a consentire un exploit formidabile a un costo contenuto.

da MYMOVIES.IT del 13/10/06

11.10.06

Snakes On A Plane, fenomeno internet

Il fenomeno "Snakes On A Plane" è cominciato ben un anno fa, nell'estate del 2005, quando Josh Friedman, uno sceneggiatore hollywoodiano di poco conto, dal suo blog ha lanciato la notizia di essere stato contattato per contribuire al lavoro sullo script di un film il cui titolo semplice e sincero lo aveva da subito galvanizzato e insieme ispirato: "Snakes On A Plane".
La semplice pubblicazione del titolo provvisorio (o come si dice in gergo "titolo di lavorazione") ha attivato un meccanismo di feroce passaparola e fomento generale attraverso internet. Un movimento talmente ampio e pervasivo che è arrivato all'attenzione della New Line Cinema, lo studio che produce il film, che nel frattempo aveva deciso di passare dal titolo di lavorazione al definitivo "Pacific Airflight 121" e che si è vista costretta a tornare sui suoi passi, forzata a sorpresa anche dallo stesso protagonista Samuel L. Jackson, il quale ha raccontato di aver commentato la notizia del cambio di titolo con un secco: "Come sarebbe a dire avete cambiato il titolo? Io avevo accettato solo per quello!".
Ma la furba New Line non si è fermata qui. Compreso il valore e l'importanza che la grossa comunità della rete aveva ormai assunto ha deciso di utilizzare quest'aspettativa prematura a suo vantaggio. Le community, i forum e i blog più attivi sul piano della speculazione sulla possibile riuscita di un film dal titolo così promettente sono stati contattati e ascoltati dalla produzione, è stata messa in piedi una campagna promozionale ad hoc che puntasse sul gusto retrò del cinema di serie B e sulla figura di Samuel L. Jackson (che dopo le dichiarazioni di amore per il genere e per un film con quel titolo aveva assunto lo status di idolo). Gli spettatori sono stati utilizzati come grande test di mercato per la riuscita del film e addirittura il regista David Ellis si è dovuto piegare al volere dei consumatori e girare delle scene in più, nonostante il film fosse già considerato concluso, solo per aggiungere, stando alle dichiarazioni ufficiali: "Più serpenti, più gore, più nudità e più Samuel L. Jackson". Portando tra le altre cose il film da "Pg-13" (sigla che indica il divieto di visione per i minori di 13 anni) a "R" (divieto per i minori di 17 anni non accompagnati). Una mobilitazione di massa insomma che ha portato forse per la prima volta gli spettatori a contribuire a dare una forma ai film che vorrebbero vedere al cinema.
Tuttavia pensare che sia tutto merito di un titolo accattivante sarebbe estremamente riduttivo, "Snakes On A Plane" non è semplicemente un buon titolo, è un simbolo. Tutti coloro i quali sono cresciuti e hanno amato quel cinema d'azione di serie B un po' splatter e gore, dalla trama semplice e scontata che sollazza più la pancia che la mente, hanno immediatamente riconosciuto in quel titolo un'ammissione di sincerità e una promessa di felicità. Titoli più complessi o più raffinati rimandano ad un gruppo di esperti attorno ad un tavolo che studiano la maniera migliore per promuovere un film, mentre un titolo così schietto e semplice rimanda ad uno scrittore ubriaco che non ha voglia di pensare anche ad un titolo per l'ultimo copione da 4 soldi che ha scritto e butta giù l'unica cosa che abbia senso.
In questo senso "Snakes On A Plane" più che un titolo è stato subito il simbolo di un modo di concepire il cinema che ha fomentato gli animi degli appassionati di quei film di serie B che non hanno paura di proporre un intreccio banale dalla risoluzione scontata e più azione che parole ma anzi cercano di farlo meglio che possono.

10.10.06

Caccia Al Tesoro Wi-Fi, Com'E' Andata

Roma - Si è da poco svolta a Roma nell'area di Villa Borghese la prima iniziativa Play Your City, un modo per creare una cultura delle tecnologie al servizio della didattica. Alcuni studenti di tre scuole romane (il Liceo classico Dante, l'Itis Einstein e l'Ipsia Europa) hanno partecipato ad una caccia al tesoro all'interno del parco, armati di una Playstation Portable e sfruttando gli hotspot WiFi ad accesso gratuito installati nell'area ormai da tempo da RomaWireless.

Punto Informatico ha scambiato quattro chiacchiere con due dei protagonisti dell'organizzazione: Gianni Celata, direttore di RomaWireless, e Mirta Michilli direttrice del Consorzio Gioventù Digitale.

Punto Informatico: Come funziona una caccia al tesoro WiFi?
Celata: I ragazzi, attraverso la PSP, si collegavano al sito e una volta indovinata la risposta era il portale a dare l'autorizzazione a passare alla tappa seguente.
Michilli: La caccia la tesoro WiFi coniuga il tradizionale ed il digitale, da un lato la struttura classica del ben noto gioco di squadra, dall'altro una playstation al posto dei tradizionali bigliettini di carta, per leggere le domande, collegarsi ad Internet tramite Hotspot per fare ricerche, digitare e inviare le risposte.

PI: Docenti e alunni si sono divertiti?
Celata: Il software che noi abbiamo preparato appositamente permetteva da un laptop di monitorare come le singole squadre progredissero. Si era creato attorno allo schermo un certo tifo dei professori che vedevano le squadre avvicendarsi nella classifica.
Michilli: Tutti i ragazzi sono estremamente ricettivi a questo tipo di proposte, e l'evento ha mostrato come le tecnologie catturano anche quegli studenti che sui libri tradizionali fanno più fatica.

PI: Pensate ad altre edizioni di questa particolare.. caccia scolastica?
Celata: Sicuramente. Vorremmo ripetere questa cosa con percorsi nella città, la Roma del Tiziano, la Roma del Bernini, del Caravaggio o la Roma medievale o anche la Roma delle Fontane o quella di Dan Brown addirittura. Vorremmo allargarci anche a programmi di edutainment per ragazzi e per adulti, magari da legare a iniziative anche per turisti.

PI: Quindi pensate di allargare i "confini" di questo edugame?
Michilli: Noi vorremmo ripetere l'iniziativa magari a livello cittadino. Oggi i contenuti sono su Villa Borghese perché il software è stato programmato con 11 o 13 domande su questo, ma abbiamo visto anche come tutto ciò abbia un valore particolare per le scuole di periferia e per questo lo vogliamo ripetere. Immaginiamo anche una caccia al tesoro cittadina che esplori i luoghi storici della città a cui far magari partecipare le scuole di vari municipi della città.

PI: Quali sono gli obiettivi di una iniziativa di questo tipo?
Michilli: La nostra attività principale è portare il digitale nelle scuole e promuovere un utilizzo delle tecnologie multimediali al servizio della didattica, dimostrando che le nuove tecnologie sono in grado di veicolare educazione, cultura e facilitare una didattica innovativa più idonea alla scuola del 21esimo secolo.
Per questa iniziativa la nostra parte è consistita nel coinvolgere e preparare le scuole, mentre Sony ha fornito le PSP e Roma Wireless ha messo a punto l'infrastruttura.

PI: Perché collaborare con Sony, una multinazionale giapponese?
Celata: Perché quello che stiamo facendo a Roma è un caso internazionale che non può non interessare le grandi aziende. Per ora c'è solo Sony, ma altre collaborazioni sono dietro l'angolo, come quella con Google, che coinvolgerà le scuole per lo sviluppo di progetti tridimensionali di Roma con un software che ci forniranno gratuitamente da Mountain View e che lanceremo con il Consorzio Gioventù Digitale.
Anche con IBM attiveremo una collaborazione, assieme a piccole e medie imprese romane, per sviluppare progetti di ricerca sulle piattaforme di gestione delle reti wireless e dei contenuti per questi nuovi network.

da PUNTO INFORMATICO del 10/09/06

3.10.06

Cars

Saetta McQueen è la matricola più promettente di tutta la storia della Piston Cup, il principale torneo automobilistico non europeo. È bello, forte, veloce e arrogante, dalla vita ha tutto quello che vuole ma, durante il trasferimento verso il circuito dove disputerà la grande finale, si trova accidentalmente bloccato a Radiator Springs, un piccolo paesino di provincia. Costretto ai lavori forzati e a stare a contatto con persone (o macchine) dai valori semplici ma radicati, riuscirà a trovare la vera felicità, l'amore e forse anche qualche motivazione in più per vincere il campionato.
Dopo sette anni di assenza alla regia (anni nei quali si è comunque dedicato alla produzione delle altre opere Pixar) torna John Lasseter. Era il 1999 quando aveva diretto il suo ultimo lungometraggio, Toy Story 2, e molte cose sono cambiate in questi 7 anni nel mondo dei cartoni animati, proprio per merito della Pixar. Sono usciti capolavori come Monsters & Co., Alla Ricerca Di Nemo e Gli Incredibili, film che hanno segnato una decisiva svolta nel modo di scrivere (ma anche di disegnare e progettare) cartoni animati, storie diverse che non hanno perso le loro radici classiche ma che sanno essere molto moderne ed emozionanti nel senso più cinematografico possibile.
Cars invece punta tutto sulla divertente (e lo è per davvero) traduzione del nostro mondo in un universo di macchine (nel film ci sono vetture che fanno il verso a Jay Leno, Arnold Schwarzenegger e Michael Schumacher) poggiando su una trama che più prevedibile non si può. Rimane comunque innegabilmente molto bello il modo in cui la Pixar ha antropomorfizzato le automobili (giganteschi occhi "giapponesi" sul parabrezza, radiatori come baffi, paraurti come mento e perfetta armonia tra tipo di vettura e carattere del personaggio), un raro esempio di utilizzo "emozionale" della computer graphic.

da MYMOVIES.IT

Superman Returns

Quando Superman ritorna in grande stile dopo 5 anni di assenza, giustificata (ma non agli occhi del mondo) da un viaggio verso gli ultimi resti del suo pianeta natale Krypton, non tutti sono pronti ad accettarlo. Specialmente la sua amata Lois Lane che intanto ha vinto un premio pulitzer con l'editoriale "Perchè il mondo non ha bisogno di Superman" e vive con un compagno e un figlio. Ci sono molte cose da mettere a posto, disastri da sventare, criminali da inseguire, donne amate da riconquistare e soprattutto Lex Luthor da fermare. La nemesi storica dell'uomo d'acciaio infatti ha pronto un piano per erigere un nuovo continente e diventare il padrone del mondo vendendo tecnologia aliena.
A 19 anni dall'ultimo episodio cinematografico di Superman, l'uomo d'acciaio torna sugli schermi per la quinta volta, ma Bryan Singer si è rifiutato di considerare la trama dei capitoli III e IV della saga e riprende il filo narrativo da Superman II.
La struttura del film è praticamente la medesima del primo episodio di Richard Donner datato 1978, ma lo stesso non si può dire della resa. Nelle mani di Singer il film diventa il classico permeato d'ironia che è sempre dovuto essere, il trionfo del superomismo più puro, dove, come è giusto che sia, all'impalpabile figura angelica dell'eroe di Krypton è affiancato uno splendido cattivo, il Lex Luthor di Kevin Spacey, assieme a una serie di sequenze altamente spettacolari.
Ma al di là di ogni interpretazione, a colpire più di tutto è il talento visivo di Singer che si impone come vero elemento di propulsione del film. Colmo di sequenze già viste ma girate in maniera mai vista, Superman Returns conferma come il regista emerso con I Soliti Sospetti sia uno dei migliori entertainer del cinema americano, capace di andare alle radici dello spirito hollywoodiano e girare dei blockbuster dall'anima classica che sappiano intrattenere con gusto e intelligenza un pubblico che non ha vergogna di emozionarsi davanti alle avventure e ai problemi di un alieno dotato di superpoteri che agisce per il bene dell'umanità.

da MYMOVIES.IT

30.9.06

Cambia La Tua vita Con Un Click

Quando la tua vita è divisa tra una moglie e due figli con cui stare, i genitori da accontentare e un lavoro pressante a cui stare dietro per garantire benessere e sopravvivenza alla famiglia di cui sopra, quello di cui avresti bisogno è proprio un telecomando con il quale manipolare la realtà mettendo in pausa, andando avanti veloce e rivedendo le scene fondamentali della tua vita. Peccato che non è tutto oro quello che luccica e Michael lo imparerà a sue spese, capendo che la soluzione ai suoi problemi, non è il magico telecomando, ma stare di più con la famiglia e sacrificare il lavoro.
Poche cose sono più rassicuranti di una commedia rassicurante, girata senza personalità e con discreta invisibilità da un anonimo regista e interpretata con verve dal comico di turno. In questo caso Adam Sandler, in cerca di un lancio definitivo come del resto lo era Jim Carrey all'epoca dell'equivalente Bugiardo Bugiardo, ce la mette tutta e dà fondo a tutto il suo repertorio di gag scatologiche e slapstick (calci, pugni, oggetti rotti e trovate demenziali) per emergere in una commedia per tutte le stagioni e tutte le età, fondata principalmente sulla trovata, divertente già in sè, della realtà manipolabile con un telecomando.
Il film ha un buon ritmo, come si conviene a questo genere, almeno fino alla parte finale dove sopraggiunge un po' di stanchezza e di esaurimento delle idee.
Da notare il divertente ruolo di Christopher Walken, unico vero attore di tutto il film, che stona in un cast di attori improvvisati e ne evidenzia la pochezza.
Una curiosità, Cambia La Tua Vita Con Un Click è stato girato con un nuovo modello di telecamera digitale, la stessa utilizzata per Superman Returns, che consente di girare in maniera molto diversa dal solito, a un costo infinitamente più basso (tanto che le scene non vengono più interrotte dalla chiamata del regista ma si continua a girare senza fermare la pellicola per non interrompere la concentrazione degli attori) e con una resa qualitativa infinitamente più alta.

da MYMOVIES.IT

22.9.06

Ant Bully - Una Vita Da Formica

Non è facile essere un bambino piccolo, occhialuto e mingherlino, specialmente quando quelli che dovrebbero essere i tuoi amici vanno tutti appresso al bullo del quartiere, ma così è la vita di Lucas, almeno fino a quando lo sciamano di una colonia di formiche tormentate dagli sfoghi di quello che loro chiamano "il distruttore", non decide di mettere a punto una pozione che trasformi Lucas da gigantesco distruttore a bambino alla loro portata. La vita con le formiche insegnerà a Lucas che il gruppo è più importante e più forte del singolo, sia che si tratti di una rana, di un disifenstatore o di un bullo.
John Davis, già autore di Jimmy Neutron, continua sulla linea del cartone animato classico (anche se disegnato in 3D) dove lo spettacolo e l'intrattenimento non ammiccano allo spettatore, dove non ci sono riferimenti che vanno più in profondità del primo livello di lettura e dove l'intento didascalico sembra l'unica preoccupazione. La facile e stucchevole morale della forza del gruppo rispetto all'individualismo viene presentata come un dogma, una regola da accettare in toto.
Davis non cerca in alcun modo una dimensione "adulta" del cartone animato e usa la tecnologia del disegno in tre dimensioni per narrare una storia come si faceva e si fa con il disegno a due dimensioni. Ma là dove il disegno bidimensionale operava una ricerca estetica scovando, nei casi migliori, la poesia nella semplicità, qui c'è solo una storia narrata in fretta e seguendo i binari classici. L'unica concessione a una dimensione cinematografica di più ampio respiro è la sequenza del volo con i petali di rosa, esempio di quello che questo film poteva cercare di essere.
da MYMOVIES.IT

Videogiochi,a Roma insegnano a farli

Sono ormai 4 anni che è attiva a Roma l'Accademia Italiana Dei Videogiochi, un caso unico in Italia di scuola di produzione e sviluppo videogiochi, una realtà che ha pochi paragoni anche in Europa e che si propone non solo di trasmettere gli strumenti e i trucchi per imparare a realizzare videogame ma anche di produrne di propri gettando direttamente nel mercato gli studenti.
I corsi sono di 4 tipi: Programmazione, Art Direction e Computer Grafica più un seminario sul Game Design e hanno una durata biennale anche se si articolano in più fasi.
Gli insegnanti hanno tutti una qualificazione di mercato ricevuta dallo sviluppo o realizzazione di prodotti attinenti alla loro materia e puntano a fornire agli studenti la medesima preparazione "pratica" oltre che teorica affiancandoli nelle varie fasi di realizzazioni di una Demo che nel caso si dovesse rivelare alla fine dei due anni valevole di investimento sarà sviluppata con il contributo degli studenti ideatori e messa sul mercato. Fanno parte del corpo docenti infatti anche membri di Blacksheep la società indipendente che ha creato il videogioco Il Rosso E Il Nero, sparatutto in soggettiva sulla guerra civile italiana subito dopo la seconda guerra mondiale.

Ci ha spiegato tutto lo stesso Luca De Domincis con il contributo di Raoul Carbone direttore artistico dell'accademia.


PUNTO INFORMATICO: Ci sono altri istituti comparabili a questo in Italia? E in Europa?
LUCA DE DOMINCIS: No direi proprio di no. Noi siamo una softwarehouse che fa videogiochi e poi insegnamo anche a farli, insegnamo qualcosa che facciamo e in Italia non c'è nulla di simile. Esistono altri corsi tipo "Corso di grafica in 3D applicata ai videogiochi", ma non sono il massimo, non sono ben finalizzati e soprattutto non ti mettono come noi a fare videogiochi veri.
Noi diamo tutte le competenze necessarie per poter sostenere un colloquio con un'azienda estera senza sfigurare, anzi presentandoti con credenziali molto molto buone.
Parlando d'Europa c'è in Inghilterra una scuola molto buona associata alla Lionhead che è vicino Londra e in America poi ce ne sono una dozzina. Lì proprio c'è l'insegnamento istituzionalizzato, ci sono intere facoltà che sorgono sul videogamemaking.

PI: Cosa si studia nella pratica?
LDD: Ti faccio un esempio stupido: mi serve un modello 3D di un guerriero per metterlo in un gioco. Allora per farlo devi confrontarti con il problema che bisogna stare dentro un certo numero di poligoni, devi ottimizzare le texture affinchè venga un pasta unica con lo sfondo che già c'è... Bisogna sapere che fare una texture è un conto e fare una texture che si fonde con quello che già esiste è molto differente.
RAOUL CARBONE: Ma non bisogna pensare solo ai videogiochi, anche se è quello che insegnamo. In questi 4 anni di attività i ragazzi che hanno studiato da noi hanno praticamente tutti trovato impiego non solo nel settore della videoludica, perchè quello che noi spieghiamo alla fine è riciclabile in altri ambiti. Per esempio la computer grafica, che sia che si parli di videogiochi o creatività in genere può essere applicata in tanti ambiti.

PI: Quali tool adoperate?
LDD: Soprattutto Maya, ZBrush, Photoshop e tutti i tool di programmazione come Nebula. L'unico tool non nostro che ci viene dato in licenza perchè sviluppatori è il Nebula Device 2 che è un motore fisico per elementi 3D.
RC: Ogni iscritto ha la sua postazione pc, ognuno ha a disposzione il suo computer dove facciamo girare i programmi che servono per la grafica , come detto usiamo programmi più conosciuti assieme a programmi nuovi come ZBrush, un software che consente di modellare direttamente con penna ottica e tavola grafica, una sorta di videoscultura, molto più intuitivo e artistico degli altri.

PI: Come è al momento la produzione videoludica internazionale? Parliamo dello scenario europeo.
LDD: Lo scenario Europeo è buono perchè per dire in Francia c'è la Ubisoft che fa cose fantastiche. Tuttavia parlare di Francia, Germania e Inghilterra è un conto, parlare di Italia è un altro, anzi anche l'Est Europa ora ci sta surclassando per non dire della Scandinavia con la Rockstar Games. Noi siamo l'unico grosso pezzo d'Europa fuori da questo settore, come se non sapessimo fare cinema o musica leggera.

PI: E questo perchè servono grossi budget?
LDD: Gli investitori italiani non hanno la cultura per capire che un videogioco non è un giochetto da ragazzi. Per produrre un videogioco servono milioni di euro e il business plan della produzione di un videogioco richiede lo stesso rispetto la stessa dedizione e gli stessi strumenti di quello per la produzione di un film o per la costruzione di un palazzo. Quando parli di videogiochi gli investitori e i venture capital italiani pensano ad un giochetto per ragazzi, si immaginano 20mila euro di investimento... E quando spieghi che è come un film, cioè che ci vogliono 20, 30 persone che lo sviluppino per due anni non hanno parametri per giudicare e quindi non ci può essere un dialogo. Negli altri paesi questo non accade.

PI:Ci sono cose come la creatività che non si possono insegnare ma sono fondamentali nell'ideazione e nello sviluppo di un gioco, come vi mettete riguardo questo problema?
LDD:Il senso è molto semplice, le persone come Enrico Santini, Raoul Carbone e quelli che si occupano del lato artistico, hanno degli strumenti per tentare di far sorgere, culturalmente parlando, la curiosità nei ragazzi, l'arte non si insegna ma la curiosità si può stimolare. I nostri insegnanti sono curiosi e appassionati d'arte, cercano di insegnare facendo domande e mostrando lavori già fatti. Non si può spiegare l'arte ma se ti faccio diventare curioso hai più chances di trovare l'artista che è in te.

PI:Contate di poter realizzare qualcosa come Il Rosso e Il Nero?
RC: Stiamo già realizzando con la classe dello scorso anno un seguito concettuale di Il Rosso e Il Nero che non a caso di chiama REN Tactics. Praticamente è un gioco che si ispira alla tematica di Il Rosso e Il Nero (Italia seconda guerra mondiale scontro fascisti partigiani durante la guerra civile), però, mentre Il Rosso E Il Nero era un gioco in soggettiva, REN Tactics è un gioco strategico isometrico dove si scontrano due contendenti con le loro truppe.

da PUNTO INFORMATICO del 22/09/06

14.9.06

Pirati dei carabi: L'animazione di Davy Jones spinge in avanti la tecnica del motion capture

La tecnica del motion capture sta disegnando una storia parallela dell'animazione digitale, la storia di una tecnologia in continua evoluzione che non è al servizio unicamente dell'animazione o degli effetti speciali, ma cerca di fondere questi due mondi per superare le frontiere della messa in scena realista.
Per chi ancora non lo sapesse, la tecnica del motion capture sale alla ribalta con il personaggio di Jar Jar Binks nel primo episodio della nuova trilogia di Guerre Stellari e consiste nell'animare un personaggio totalmente generato al computer basandosi sui movimenti e le espressioni facciali di un attore vero. Il più famoso "performer" di motion capture è Andy Serkis che ha dato vita al Gollum del Signore degli anelli e al King Kong di Peter Jackson (anche Hulk fu animato con il motion capture e in quel caso i movimenti e le espressioni erano di Ang Lee in persona). Ora Bill Nighy e il suo Davy Jones, pirata-polipo terrore dei sette mari, spingono in avanti la frontiera di questa tecnologia.
Come racconta John Knoll, supervisore agli effetti speciali di entrambi i capitoli della saga di Pirati dei Caraibi finora usciti, lo scopo era raggiungere un livello d'integrazione maggiore tra il personaggio di sintesi e l'ambiente reale così, di concerto con Verbinski, hanno deciso che non avrebbero seguito la procedura standard per il motion capture (cioè far recitare l'attore le cui movenze vanno catturate in uno studio a parte, attrezzato per l'occasione) e hanno chiesto agli esperti dell'Industrial Light And Magic di elaborare un sistema di motion capture che gli consentisse di far recitare Bill Nighy sul set assieme agli altri attori. Questa di certo non semplice procedura ha consentito di trarre il massimo dall'interpretazione di Nighy, sfruttando anche le piccole improvvisazioni che gli attori si concedono su un set e che invece difficilmente sono tollerate quando si deve recitare in uno studio a parte senza gli altri attori.
Così, chi si fosse trovato sulle spiaggia di Exuma Island alle Bahamas al momento delle riprese, avrebbe visto recitare accanto a Johnny Depp e Orlando Bloom, entrambi perfetti in costume, un signore inguainato in una tutina aderente con una specie di elmo a forma di teschio in testa, tutto dipinto a tinte forti, bianche e nere. Un insieme decisamente grottesco che tuttavia ha permesso al regista di effettuare riprese con telecamera a mano con il personaggio da animare in campo, e soprattutto gli ha permesso di utilizzare luci e ombre reali del set per integrare la figura in 3D nello scenario. Cosa che altrimenti non sarebbe stata possibile.
Il risultato è che la differenza che c'è tra il personaggio di Davy Jones e gli altri suoi marinai (anch'essi di sintesi ma non così elaborata) è abissale ed è la misura del passo in avanti che questa tecnologia ha fatto con questo film.
Un ultimo particolare interessante dell'animazione di Davy Jones sono gli occhi, una fissazione di John Knoll. Già nel precedente episodio, nella transizione di Geoffrey Rush da uomo a scheletro quando è illuminato dalla luna, Knoll aveva volutamente mantenuto anche dopo la trasformazione gli occhi di Geoffrey Rush sul viso scheletrico fittizio, almeno fino al primo strizzamento di palpebre, questo a suo dire faceva da collante e dava realismo. Così l'ordine dato all'Industrial Light And Magic è stato di concentrarsi sugli occhi di Bill Nighy cercando di replicarli nella maniera più affidabile possibile per rendere "vivo" Davy Jones e questo tipo di lavoro si nota decisamente.

da MYMOVIES.IT del 12/09/2006

4.9.06

Singer, un Superman digitale
ispirato alla tecnologia di Lucas

Si era sempre ritenuto un tradizionalista Bryan Singer, neanche la realizzazione di due film ad alto contenuto di effetti speciali come X-Men e X-Men 2 aveva scalfito le sue convinzioni, ora invece il suo Superman Returns si prospetta come uno dei film tecnologicamente più innovativi mai realizzati, basti pensare che ben il 25% del budget è stato investito in tecnologia.
Tutto è cominciato quando nel 2002 Singer è stato invitato al "digital summit" di George Lucas, un evento tenuto nel suo ranch Skywalker dove con la collaborazione di alcune aziende il regista e produttore della saga di Guerre Stellari illustrava ad amici e colleghi (gente come Coppola, Spielberg, Scorsese, Stone...) tutte le novità del cinema digitale.

La pulce messagli nell'orecchio da George Lucas è diventata una convinzione quando, facendo dei test per le riprese di Superman, Singer ha capito che per avere sullo schermo la resa che desiderava avrebbe dovuto girare tutto con pellicola da 70mm, un mezzo dall'elevatissima qualità (fu usata raramente nel cinema e in occasione di colossal come 2001:Odissea Nello Spazio o Lawrence D'Arabia) ma dagli altrettanto elevatissimi costi rispetto al tradizionale 35mm. La soluzione ideale allora è stata utilizzare un nuovo tipo di telecamera digitale mai adottata in un film fino a quel momento: la Genesis prodotta dalla Panavision, in grado di girare immagini con una risoluzione paragonabile ad una pellicola da 70mm ma pronte per essere portate su normali pellicole da 35mm.
E' stato duro abituarsi a questo nuovo standard, specialmente al fatto che la Genesis registra su nastri magnetici da 85$, cosa che ha inquietato non poco lo stesso regista: "l mio film da 200 milioni di dollari registrato su un mucchio di cassettine da 85$. E' terrificante! A vederle mi sembrava di essere tornato a quando facevo il regista di matrimoni". Ma il risultato è tutt'altro che amatoriale e si vede specialmente nelle scene di ampio respiro.

Ci sono poi molti inserti digitali come le immagini di Marlon Brando, che aveva interpretato il padre di Superman nel film del 1978 o i movimenti del mantello e dei capelli di Superman animati in computer grafica durante i voli ad alta velocità.
Infine, ennesimo elemento innovativo, Superman Returns esce anche in una versione con inserti in 3D, un'altra cosa da cui Singer si è lasciato conquistare: "[Quelli dell'Imax] hanno preso il nostro trailer e l'hanno trasformato in 3D. Ci sono rimasto di sasso, veramente impressionante. Dopo aver visto questa dimostrazione ho pensato che dovevo inserire questa tecnologia nel film". La versione con inserti tridimensionali è distribuita solo nei cinema del circuito Imax (in Italia ce ne sono due) e in America, dove il film è già uscito, sta riscuotendo incassi altissimi, senza precedenti nella breve storia di questo tipo di sale, anche perchè si tratta della prima pellicola hollywoodiana non animata ad uscire in questo tipo di sale. Nel complesso le parti tridimesionali durano 20 minuti, e capire quando è il momento di inforcare gli occhialetti speciali non sarà difficile dice Singer: "Funziona più o meno in modo che quando Clark Kent si leva gli occhiali il pubblico li indossa".

da LA REPUBBLICA del 19/07/06

Quando Clark Kent si leva gli occhiali il pubblico li indossa

Ci si immagina sempre che ad Hollywood, il luogo della professionalità cinematografica per antonomasia, ogni decisione sia accuratamente bilanciata, pianificata e infine applicata, specialmente quelle che prevedono grosse spese. Invece come capita in tutti gli altri ambiti spesso le decisioni più importanti e che in seguito si rivelano fondamentali sono dovute a colpi di testa e fortunate coincidenze.

Così è capitato che uno dei film più tecnologicamente innovativi degli ultimi anni lo sia diventato senza una particolare pianificazione, ma andiamo con ordine.

Nel 2002 Bryan Singer viene invitato al "digital summit" un evento che si tiene al ranch Skywalker, la residenza di George Lucas, dove l'ideatore della saga cinematografica di Guerre Stellari, presenta assieme ad aziende del settore le ultime novità in fatto di cinema digitale ad amici e colleghi. Lo stesso Singer (regista giovane che è nel grande giro da relativamente poco tempo) ha descritto con toni sorpresi e sognanti questi "colleghi ed amici", si era trovato infatti seduto accanto ai suoi idoli: Spielberg, Coppola, Stone, Cameron e Martin Scorsese, per dirne alcuni, con George Lucas che gli spiegava i pregi delle macchine da presa digitali; una scena abbastanza imprevedibile.

Quell'evento aveva suscitato la curiosità di Bryan Singer, che tuttavia si è sempre professato un tradizionalista. A fargli fare il passo decisivo sono stati alcuni test fatti con vari tipi di telecamere analogiche, quando si rese conto che per Superman Returns avrebbe avuto bisogno di una telecamera a 70mm per ottenere la qualità e l'impatto visivo che desiderava. Ad Hollywood tutti sanno che la pellicola 70mm e l'apparecchiatura per utilizzarla costano uno sproposito (è stata infatti utilizzata raramente e per colossal come Lawrence D'arabia e 2001:Odissea Nello Spazio), così gli fu proposto di utilizzare un nuovo tipo di telecamera digitale, la Genesis della Panavision, ancora mai usata da nessuno, ma che era in grado di girare immagini di risoluzione paragonabile al 70mm che erano delle dimensioni giuste per essere riversate sulla più tradizionale pellicola da 35mm. Rimasto piacevolmente impressionato dal risultato (che effettiamente è impressionante specialmente nelle inquadrature in campo lungo) Singer non ci ha pensato troppo su prima di adottarla, si è trovato così a fare da tester per questo nuovo prodotto mai utilizzato da nessuno, cosa che ha anche creato qualche problema, come per esempio lo storage del girato. La Genesis infatti registra su nastri magnetici, cassettine da 85$, un film da 200 milioni di dollari registrato su un mucchio di cassettine da 85$.... Avrebbe spaventato chiunque.

Ma il lavoro di sperimentazione digitale di Singer non si è fermato alla sole riprese. Per ottenere un volo credibile di Superman infatti era necessario fare alcune modifiche a Brandon Routh (l'attore che interpreta il superuomo) ed al suo mantello. Per dare il senso di estrema velocità infatti mantello e capelli sono stati modificati in computer grafica facendogli avere reazioni altrimenti irricreabili in maniera naturale. In alcune brevi sequenze addirittura Superman è interamente digitale e purtroppo un occhio attento se ne accorge.

Infine mentre il film era ancora in fase di produzione e di pronto c'era solo un teaser trailer, Singer ricevette la visita di alcuni inviati dell'Imax, i quali si presentarono con il suo trailer modificato per essere visto in 3 dmensioni nelle loro sale. Il risultato impressionò talmente tanto il regista che dopo un breve dialogo con la produzione fu deciso che del film ne sarebbe uscita anche una versione parzialmente in 3 dimensioni per il circuito Imax. A Singer sono stati concessi 20 minuti di tridimensinalità e lui ha scelto le scene di maggior effetto in cui Clark Kent è Superman. Quand Clark si leva gli occhiali il pubblico li indossa. Mai era capitato che un film non d'animazione hollywoodiano uscisse nelle sale Imax, un po' per il costo del processo di tridmensionalizzazione e un po' per la reticenza tecnologica del mondo cinematografico. Ma tutto ciò sembra aver pagato perchè in America Superman Returns in Imax ha registrato ottimi incassi. In Italia ci sono solo due sale Imax ma sarà proiettato in entrambe.

Quello che in sostanza ha fatto Bryan Singer è stato partire con un'idea forte: un Superman che fosse veramente classico (che corresse incontro alla telecamera aprendo la camicia sotto la quale si vede la S) da mostrare nella maniera più esteticamente convincente e piano piano ha accumulato le tecnologie che gli servivano di volta in volta senza preoccuparsi di sperimentare o fare un film eccessivamente tecnologico. Non ha avuto nemmeno timore del 3D che avrebbe potuto rivelarsi un grande flop. E il risultato paga.

da MYMOVIES.IT del 22/07/06