8.5.09

E Wolverine batte anche i pirati

"Bellissimo! Lo andrò a vedere sicuramente anche al cinema!" così commenta uno dei tanti utenti che hanno scaricato abusivamente Wolverine prima della sua uscita al cinema avvenuta questo weekend, e non deve essere l'unico ad averla pensata così. Il film infatti ha subito incassato bene: circa 87 milioni di dollari nel primo weekend, poco meno di quei 98 milioni che un anno fa fece registrare Iron Man, e in Italia ha toccato i 2 milioni di euro come nel 2003 fece l'omologo X-Men 2.
Eppure Wolverine doveva essere un caso esemplare: era disponibile online in barba al diritto d'autore già un mese fa, mai un film hollywoodiano così importante era stato messo in rete così tanto tempo prima dell'uscita! 30 giorni nei quali i download sono stati tantissimi, ben un milione solo nella prima settimana. Eppure il film incassa bene. Lo fa nonostante il fatto che non sia un granchè e nonostante la paura da febbre suina per la quale tutti sconsigliano di aggregarsi in luoghi chiusi.
Tutto questo ci conferma come, nonostante tutto quello che si dice, la pirateria in realtà non danneggi le sale. Chi sceglie la sala sceglie di uscire di casa, di andare in giro e di fare qualcosa nei luoghi sociali della città, mentre un film piratato semmai è in concorrenza con altri tipi di intrattenimento casalinghi come l'home video.
Ci si chiede allora quanto il danno della pirateria sia imputabile ad essa e quanto al fatto che non esiste un'offerta identica ma legale ad un costo ragionevole. Se quei milioni di download illegali fossero stati invece legali e a pagamento (da sommare ai milioni di biglietti staccati) si potrebbe ancora parlare di perdite per l'industria?

da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 06/05/09

J.J. Abrams porta al cinema il suo Star Trek

J.J. Abrams si è fatto il suo Star Trek privato. Non solo ha realizzato l'ultimo film della saga (infinita?) che spinge avanti "l'ultima frontiera" alla scoperta di zone inesplorate dello spazio, ma l'ha resettata a suo piacimento.
È questa la cosa più evidente dopo la visione del nuovo Star Trek che invaderà le sale italiane (in contemporanea mondiale) dall'8 maggio, l'azione è ambientata prima della serie classica e racconta della vita giovanile di Kirk, Spock, McCoy e tutto l'equipaggio storico. L'accademia, i primi incarichi, le rivalità ecc. ecc. Ma non pensiate che Abrams si sia adeguato alla lunga storia e alle esigenze di "coerenza" con tutto quello che è stato già raccontato. Il genio dietro Lost si è fatto il suo Star Trek con le sue regole, i suoi caratteri, i suoi eventi traumatici e i suoi personaggi.

Il film si apre subito con un viaggio nel tempo che modifica la storia, dunque tutto quello che vediamo è una realtà alternativa nella quale accadono cose diverse da quelle già raccontate proprio a causa di quell'evento iniziale. È la realtà alternativa di J.J. Abrams. Benvenuti.
Non deve stupire allora come più che somigliare ad un classico film di Star Trek quest'ultimo abbia più le caratteristiche che hanno reso famoso Lost: suspence, azione forsennata (si comincia a correra all'inizio e non ci si ferma più!) e un contesto misterioso e fascinoso che avvince. Il film di J. J. Abrams è andato oltre ogni più rosea aspettativa, anche più in là di quanto si sperasse quando, a novembre, l'autore era venuto a Roma per presentare 20 minuti in esclusiva del film ed era stato possibile avvicinarlo per qualche battuta.

In quell'occasione la cosa più strana (e che poi dopo la visione del film si è rivelata effettiva!) fu il modo in cui il regista rimarcava che non intendeva accontentare i fan della serie con il suo film: "Quando abbiamo messo in rete la prima foto dell'Enterprise tratta dal film qualcuno ha detto che faceva schifo perchè i motori erano troppo grossi. Ora, io lo so che esistono i puristi ma a me la cosa che mi interessa più di tutte è fare un film d'intrattenimento e non una cosa per fan che tanto avranno SEMPRE qualcosa da ridire".
Da come parla già lo si capisce ma poi è lui stesso a precisarlo: non è per niente un cultore della serie e ha accettato questo ruolo solo perchè la trama del film lo intrigava davvero. Ecco dunque il perchè della sbandierata poca attenzione ai fan (ma in realtà non è vero, alla sceneggiatura ha partecipato Roberto Orci, uno dei più grandi esperti di continuity trekkiana e il film è pieno di riferimenti e chicche che colgono solo i cultori).

Mettere nell'angolo J. J. Abrams decisamente non è facile. Cosa crede che Star Trek sia riuscito ad anticipare e che poi si è realizzato nel nostro presente? "E se ora mi teletrasportassi che ne direbbe?" Direi che se scompare da qui sono sicuro che ricompare sull'isola: "Ahahahahah! Scherzi a parte i communicator all'epoca erano fantascienza ma ora device simili sono all'ordine del giorno mentre cose come i viaggi nel tempo o la velocità curvatura sono ridicoli oggi come allora".

All'epoca dell'intervista non lo si poteva immaginare ma il film completo ha molte somiglianze con tante cose già viste. Ci sono ambienti bianchissimi illuminati come 2001: Odissea Nello Spazio, ci sono stazioni sotterranee che ricordano il progetto Dharma e c'è un pianeta nevoso che ricorda quello di Guerre Stellari eppure già in quella discussione Abrams seppe mettere le mani avanti: "Sono sicuro di essere stato influenzato in qualche modo. Ad esempio le mie scene del bar sono come quelle di Star Wars ma in fondo diverse, lì era un posto alieno mentre il mio bar è più un bar dove andresti anche tu. Alla fine però di Guerre Stellari sono stati fatti 6 film e non riesco a pensare a qualcosa che non abbiano rappresentato: pianeti delle nevi, dei cieli, del fuoco, dell'amore ecc. ecc. Tre di quei film poi sono così pieni di immagini personaggi, alieni, occhi, persone blu... E' impossibile fare fantascienza senza avvicinarsi".

E alla domanda finale su quale possa essere l'appeal di una cosa futurista come Star Trek in un paese passatista e tecnologicamente arrancante come il nostro Abrams ha risposto sicuro: "Credo che la scienza di Star Trek abbia poco a che vedere con la storia o la sua emozionalità. C'è chi lo ama e si appassiona agli effetti o all'idea cliché dell'ultima frontiera, ma poi ciò che io personalmente amo di Star Trek e che penso lo renda diverso da Star Wars è come sia una visione sincera del nostro futuro. Allora un paese più arretrato può avere forse anche più interesse perchè è ancora più fantascienza".

da WIRED.IT del 08/05/09

4.5.09

YouTube cambia

Dopo 4 anni di vita, un numero incalcolabile di video caricati e uno ancora superiore di video visti dagli utenti, dopo cause milionarie per violazione del diritto d'autore, un'acquisizione miliardaria da parte di Google e polemiche a non finire YouTube cambia design e filosofia. A costringerlo, come sempre, gli incassi.
Perchè nonostante sia uno dei luoghi più visitati di tutta la rete e nonostante sia una banca dati video unica, lo stesso YouTube non riesce a fare soldi come dovrebbe. In gergo si dice che non "monetizza utenti", cioè che non trasforma correttamente ogni visita in denaro, cosa decisiva per un servizio totalmente gratuito.
Per monetizzare dunque si cambia design e soprattutto organizzazione interna. Oggi le categorie che fanno bella mostra di sè in home page (e che rispecchiano la filosofia del sito) sono Video, Canali e Community. Tre categorie improntate ai contributi degli utenti. Dal 16 Aprile il sito invece si dividerà in Movies, Music, Show e Video che sarà l'unica delle 4 nuove categorie a racchiudere i video inviati dagli utenti, per il resto si tratterà di materiale considerato "professionale" e autorizzato dai proprietari del copyright. Non cambiano le regole, solo la visibilità che sarà data ai contenuti.
Il motivo del cambiamento è che i video caricati dagli utenti sono croce e delizia del sito. YouTube è grande grazie a loro ma è anche vero che per colpa loro non ottiene la pubblicità che dovrebbe. Eppure ci ha provato: ha messo pubblicità testuale sulla pagina, banner animati, addirittura sovrimpressioni sui video e recentemente anche il "Click To Buy", cioè per ogni video musicale (il contenuto più presente in assoluto) compare la possibilità di andare a comprare la canzone in questione su iTunes.
Tuttavia quale pubblicitario rischierebbe di vedere la propria pubblicità accanto ad un video potenzialmente offensivo, volgare, stupido o anche solo noioso? Niente garanzie, niente contratti. Così ora arrivano in massa contenuti affidabili, autorizzati e sicuri (video musicali, serie tv e film) per permettere un nuovo flusso di denaro e una nuova fase (più adulta) per il video in rete.

da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 22/04/09

I blog sono il futuro del giornalismo in State Of Play

Sai, per certe cose servono delle prove!" è il continuo rimprovero di Russel Crowe a Rachel McAdams in State of Play. Il primo è un vecchio leone della carta stampata mentre la seconda è una giovane blogger del medesimo gruppo editoriale (quello del Washington Post) e il rimbrotto citato non è diverso dal mantra che si sente (e si legge) levarsi spesso dal vecchio mondo dell'informazione infastidito dall'audacia e dal successo dei migliori blog. La novità è che nel film di Kevin Macdonald (da venerdì nelle nostre sale) la carta stampata dovrà ricredersi.

Per chi ha dimestichezza con le cose di internet infatti in State Of Play c'è molto di più di una storia di intrigo sentimentale e politico ai piani alti del governo statunitense, c'è tutto il mondo dell'informazione che cambia e lo scontro tra chi è attaccato ai quotidiani e chi predica la religione dell'informazione libera dei blog: "I blog non sono la stessa cosa del giornalismo, mi piacciono, ma sono diversi. E' un po' triste da vedere ma mi sembra che il futuro si trovi tra i giovani giornalisti di internet", così si esprime a parole Kevin Macdonald, ma un necessario corollario a queste dichiarazioni viene da quello che il regista ha messo sullo schermo. Si perchè sarà anche triste vedere un mondo che muore ma è solo il tramonto a deprimere e non certo ciò che gli segue.

State Of Play è infatti il primo film a mettere in scena con grande intelligenza e senza velleità passatiste il divario sociale e culturale che separa le due classi del mondo dell'informazione: carta stampata e blog. Nel film il redattore d'assalto del Washington Post e la compita blogger del gruppo editoriale lavorano a due storie apparentemente separate (un affare di droga il primo e una bega sentimentale del politico Ben Affleck la seconda) che invece si riveleranno intimamente connesse e costringendoli così ad un'inedita alleanza.
Non vi anticipiamo nient'altro di un film teso e ricalcato sul più classico stile del thriller politico all'americana. Ma ciò che sembra davvero innovativo è come si tenti finalmente di portare a tutti quanti la rivoluzione del blogging. Per la prima volta infatti un film di alto profilo e destinato ad un pubblico generalista mette in scena pro e contro dei cambiamenti che internet ha portato e sta portando in uno dei tanti ambiti della produzione dei contenuti.

I giornali sono in crisi e in America l'interrogativo sul loro futuro è all'ordine del giorno, da noi la situazione non è diversa solo che se ne discute meno: "In America leggiamo i blog molto più dei giornali cartacei" dice il regista "Per questo presto moriranno". Macdonald, intervistato sulla questione, rivela quanto fosse importante per il suo film il rapporto tra i due protagonisti, emblemi del vecchio giornalismo e della nuova dimensione in rete più informale, più diretta e più agile.
Siamo sicuri di non anticipare nulla di imprevedibile dicendo che i due nel corso del film impareranno a collaborare come non si svela nulla dell'intricata trama di spionaggio e intrigo politico sottolineando come alla fine ci sarà una nobilitazione del giornalismo in rete. Anche il vecchio leone della carta stampata, inizialmente reticente anche solo a parlare con la ragazzina arrogante che simboleggia la fine del suo mondo capirà come il blogging abbia lo stesso valore del giornalismo cartaceo. Una lezione che è all'ordine del giorno per chi è pratico delle cose di internet ma che forse suona rivoluzionaria alle orecchie dello spettatore comune.

Dunque cos'è per Kevin Macdonald il futuro del giornalismo? "Credo ci sia una precisa differenza tra futuro dei giornali e futuro del giornalismo: il giornalismo può andare su qualsiasi supporto mentre i quotidiani a me non interessano particolarmente". Pensa che il passaggio dalla carta all'online sarà indolore? "No. Sebbene ci siano testate online splendide come l'Huffington Post, che fa vero giornalismo e non a caso ora vuole assumere 50 reporter investigativi, lo stesso credo che i prossimi 10 anni saranno l'era dell'oro per i politici corrotti perchè potranno fare quello che vogliono dato che non ci saranno più giornalisti a svelarne i segreti".
Ad oggi comunque i migliori scoop sulla vita politica, sull'atteggiamento arrogante delle aziende e sulle mille piccole incongruenze nell'agire di chi dovrebbe guidare il paese sono arrivano quotidianamente dalla rete.

da WIRED.IT del 30/04/09

RECENSIONE La Vita Segreta Delle Api

Non ha certo tutte le sicurezze del mondo la piccola Lily che a 4 anni spara alla madre per errore ed è costretta a passare i seguenti 10 anni con un padre che non le vuole bene e non manca mai di farlo notare. Così quando la misura è colma scappa per intraprendere un viaggio alla scoperta delle proprie radici (sulle orme di uno simile fatto dalla madre) assieme alla sua badante di colore proprio nell'anno della firma della dichiarazione dei diritti civili per gli afroamericani. Ad accoglierla in un nuovo alveo familiare saranno tre sorelle di colore che producono miele, ma nonostante il benessere Lily imparerà che una cosa è firmare un pezzo di carta e una cosa è farlo diventare realtà.
Curioso come la prima scena di La vita segreta delle api sia palesemente identica a quella d'apertura di Mean streets. È l'unico punto di contatto tra un film indipendente e dirompente come quello di Scorsese e quest'opera acquietante e rassicurante che si impone di insegnare allo spettatore il suo punto di vista attraverso le piccole pillole di saggezza poetica messe in bocca ai protagonisti (per lo più contadini) e i tanti ricatti emotivi. In questo senso si rivela molto onesta la scelta di un titolo (mutuato dal libro cui si ispira) da documentario scolastico.
È il modus operandi tipico attraverso il quale l'America riflette e tramanda la propria storia al cinema. Non dal punto di vista del suo svolgimento (o da quello di una sua rilettura come siamo soliti fare noi) ma dal punto di vista sentimentale. L'oggetto del film non sono i fatti che portarono alla firma della dichiarazione dei diritti civili nè le battaglie degli afroamericani (al massimo c'è qualche riferimento pop per inquadrare la questione) ma cosa significò emotivamente tutto ciò.
Per arrivare a questo la regista Gina Prince-Bythewood sceglie un cast di star di colore (per lo più cantanti) e fa affidamento solo su di esso. Tutto ciò che il film si propone di comunicare passa attraverso gli attori, non esistono altre possibli soluzioni per una regia totalmente anestetizzata e incantata sui loro volti. Fortuna che a dare uno scampolo di credibilità al tutto c'è Dakota Fanning, che già a 14 anni è uno dei più straordinari volti drammatici che si possano considerare oggi.
Tutto nel film va incontro allo spettatore per confermare ciò che egli già pensa e rafforzarne le idee. Il casting (la matrona in carne, la giovane attivista bella e la sorella debole un po' bruttina ma dal gran sorriso), i personaggi (tutti a senso unico e privi di evoluzione), l'intreccio (che arriva fino all'implausibilità pur di non sorprendere) e i sentimenti in gioco ("Desidero solo essere amata da qualcuno!").
La rilettura hollywoodiana della storia emotiva del paese è anch'essa una forma di racconto archetipico che ha le sue maschere fisse e La vita segreta delle api non se ne fa sfuggire una per raggiungere il suo obiettivo (un sorriso per ogni lacrima) nella maniera più facile e sicura. Annacqua ogni conflitto imprevisto e ammorbidisce anche i momenti più aspri e drammatici annunciandoli per tempo prima di mostrarli, così da coccolare lo spettatore mentre lo rassicura ancora a suon di semplici sorrisi e tenere lacrime.

da MYMOVIES.IT

RECENSIONE Le avventure del topino Despereaux

Tanto tempo fa nel reame di Doremi nasce un topo diverso. Tutti gli altri topi, pavidi e costantemente impauriti, lo chiamano "coraggioso" in realtà Despereaux è solo curioso, talmente tanto da superare la naturale paura che identifica la sua razza. Non è il rischiare di far scattare le trappole per prendere il formaggio o l'avventurarsi nelle stanze degli umani a caratterizzarlo ma il fatto che invece che rosicchiare le pagine dei libri lui le legga, attratto al fascino del racconto.
Tramite questo salto intellettuale capisce cose nuove e si distingue dalla comunità che inevitabilmente lo condanna spedendolo nel regno sotterraneo dei ratti, parenti più infidi, maligni e sporchi dei topi. Lì incontrerà Roscuro, un ratto di nave finito per errore tra i suoi simili di città anche lui per certi versi diverso dagli altri perchè amante della luce.
Le loro avventure si incroceranno cavallerescamente con la storia del regno di Doremi, oscurato dalla morte della sua regina e privato della linfa vitale.
Le avventure del topino Despereaux è una vera favola moderna. Della favola mantiene tutto l'impianto mitologico (i reami dominati da regnanti buoni ma intristiti, le principesse, i cavalieri, i nemici da battere, i tradimenti, le agnizioni e le imprese) ma la contamina con tutto il modo moderno di intendere un racconto. Despereaux sogna di essere come i cavalieri di cui legge le avventure e la sua vita ne ricalca lo stile in una mimesi tra racconto e forma-racconto tipica del postmoderno, allo stesso modo anche il ruolo della principessa è inteso solo a partire da ciò che già sappiamo essere le sue caratteristiche topiche per arrivare ad altro e più di tutto infine si tratta di un racconto di affermazione intellettuale e non fisica.
Per tutto questo alla fine il primo lungometraggio in computer grafica della Universal parla dritto al cuore degli adulti o quantomeno dei giovani adulti anche se si propone palesemente come un prodotto per bambini. Siamo lontani dai doppi livelli di lettura dei cartoni Dreamworks e Pixar, Le avventure del topino Despereaux comunica quale sia il suo target in ogni immagine eppure ha un sottotesto molto alto e una morale di fondo lontanissima da quella di stampo cristiano cui siamo abituati (male e bene non si contrappongono dialetticamente ma si contaminano continuamente).
Si tratta di un prodotto particolare e sofisticato che anche nella scelta estetica di uno stile pittorico ricorda per certi versi le illustrazioni favolistiche tradizionali e in alcuni inserti immaginari i classici Disney afferma la sua diversità intellettuale.
Volutamente privo dell'umorismo devastante della Dreamworks e dell'azione furiosa di molti prodotti per bambini potrebbe mancare l'obiettivo commerciale ma di certo l'opera di Sam Fell (che adatta il racconto omonimo di Kate DiCamillo) rimarrà come uno degli esperimento più peculiari ed intriganti del suo genere.

da MYMOVIES.IT

Cinema: l'identikit del pirata italico

PIRATI E NON PIRATI
I dati raccolti dalla FAPAV in collaborazione con IPSOS riguardo la pirateria dell'audiovisivo in Italia sono molto interessanti: una cosa simile da noi non è mai stata fatta. Ma vanno letti con attenzione e soprattutto tenendo a mente la metodologia utilizzata. Il criterio applicato, cioè quello delle interviste domiciliari (fatte di casa in casa e non al telefono), è infatti più affidabile di altri. Ma la confessione di quello che è un atteggiamento percepito come erroneo (oltre che un reato non sanzionato) può rivelare dei problemi che infatti sembra di intravedere.

Di certo però ci sono i numeri. Il 32% del campione di 2000 individui intervistati si è dichiarato in qualche modo pirata, sia per i file scaricati dalla rete (21% del totale), che per i DVD comprati sulle bancarelle (17%) o per la cosiddetta pirateria indiretta (24%), vale a dire i film pirata visti o prestati da amici. In più ognuno ha dichiarato di aver esercitato almeno una volta tutte e tre le forme di pirateria.

Il pirata online inoltre è generalmente giovane (tra i 15 e i 24 anni), ha un diploma di scuola media superiore e sta studiando, vive nel nord-ovest ed è un forte utilizzatore di tecnologia. Diversamente invece il pirata fisico ha almeno 33 anni, generalmente vive al sud, ha un diploma di scuola media inferiore, è sposato ed ha un lavoro impiegatizio.

Certo, a dominare sempre di più è Internet: la pirateria fisica è in calo e quella digitale in aumento. Nonostante rimangano la forma più praticata di reperimento di contenuti online, anche il peer to peer e il download sono in calo a favore dello streaming. Ad oggi il 20% vede film illegalmente scaricandoli mentre il 3,8% solo li guarda in streaming, ma tutti concordano sulla possibilità che in futuro i numeri si invertano.

I film in questione sono soprattutto di prima visione, almeno nel 60% dei casi (e il 20% di questi non è ancora al cinema), mentre un sorprendente 30% è costituito da titoli più vecchi. Tutti comunque (96%) sono in lingua italiana. Il pirata sarebbe più raffinato nelle sue esigenze di quanto non lo si dipinga, tanto che solo nel 10% dei casi è insoddisfatto del livello qualitativo di ciò che trova, mentre nel caso di pirateria fisica lo è nel 30% dei casi. Forse è anche questa ricerca e questa "professionalità" nell'offerta ad indurre il pirata a non percepire l'illegalità di ciò che fa. Il 60% infatti sa bene che è reato ma poi non lo percepisce come tale: anche i non pirati non lo percepiscono come tale e non condannano chi, diversamente da loro, vede film illegalmente.

Il discorso però si fa purtroppo più ostico nel momento in cui vengono illustrati i dati qualitativi, quelli cioè derivati da interviste in profondità e finalizzati a comprendere le abitudini del pirata e il suo modo di vedere il cinema. Più ostico perché il ritratto finale non collima molto con quanto siamo abituati a vedere, con i pirati che conosciamo e con la logica dell'atto. La metodologia seguita in questo caso è stata quella dei focus group (cioè delle interviste collettive di diverse tipologie che vadano più a fondo) con teenager, bambini e adulti. Cosa che ha lasciato fuori la fascia 20-30 anni, una delle più coinvolte, a detta dei dati stessi.

Il risultato è che per il pirata il PC è "il fulcro attorno al quale gravita gran parte del proprio tempo libero, una chiave di accesso al mondo, molto investita emotivamente con cui sta spessissimo in stretta connessione" e il film è "un contenuto da consumare subito e in quantità, la visione perde la cornice di riferimento e qualsiasi argine andando in deroga sulla qualità audiovideo senza problemi. La visione avviene soprattutto a casa e sul PC come riempitivo di tempi morti".

Il non pirata (non c'è un nome che lo identifichi se non in relazione ai pirati) vede il PC come "un'opportunità tra le altre, un canale di comunicazione e di divertimento ma non totalizzante del proprio tempo libero e dei propri interessi" e il film è "intrattenimento ma anche un oggetto dal valore culturale distintivo e la visione è caratterizzata da una precisa ritualità peculiare dunque la qualità è un prerequisito. La visione avviene soprattutto al cinema e quando è domestica se ne salvaguarda la specificità".

Ciò che non sembra tornare è innazitutto il discorso sulla qualità. Il pirata sarebbe noncurante della qualità perché consuma e non vede film, ma poi nella parte quantitativa della ricerca si spiega come in realtà giudichino soddisfacente la qualità delle copie pirata (che in effetti spesso è alta). Oltre a questo poi è strano come il pirata sembri meno interessato al cinema sebbene veda più film del non pirata (perché oltre alle copie illegali va anche al cinema) e poco acculturato, quando i dati lo identificano come dotato di diploma di maturità e studente universitario.

Inoltre durante la presentazione dei dati sono stati mostrati anche delle inquietanti illustrazioni, che per motivi di privacy non sono stati diffusi alla stampa ma che avevano un ruolo che è apparso, forse, in fondo non troppo diverso da quello del plastico nelle ricostruzioni televisive dell'omicidio di Cogne. Era stato infatti chiesto a dei bambini probabilmente di età inferiore ai 13 anni di disegnare "la visione di un film".

I disegni dei bambini che piratano o che hanno confidenza con la pirateria erano piccolissimi in fogli grandi e senza colori! Li ritraevano piccoli rispetto al resto ed erano sostanzialmente privi di qualsiasi stimolo. In due parole: tristi e raggelanti. Al contrario i disegni dei bambini estranei alla pirateria erano grandi, giocosi, fantasiosi, colorati e pieni di idee. Lecito interrogarsi su quanto si sia cercato di comunicare con questo tipo di rilevazione. Sembrerebbe che i bambini che seguono tutte le regole siano più fantasiosi e creativi di quelli che invece agiscono al di fuori dagli schemi imposti dalle autorità. Che dunque chi pirata poi sia grigio dentro. Il messaggio accluso a questa esposizione è apparso esplicito: un augurio che i nostri bambini non siano come quelli che piratano.

ALIMENTARE IL MERCATO
È stato anche detto che la pirateria ha sottratto al cinema un volume d'affari per quasi 600 milioni di euro. Una cifra calcolata chiedendo ad ogni intervistato cosa avrebbe fatto se non avesse trovato l'ultimo film che ha piratato. A seconda del tipo di risposta ("Sarei andato al cinema", "l'avrei noleggiato", "l'avrei cercato in tv" oppure "niente") sono stati valutati i soldi persi del noleggio o dei biglietti e poi si sono moltiplicati questi dati per tutti i film piratati. Un dato presentato come ufficiale, ma che poi il presidente della FAPAV Filippo Roviglioni, interpellato sulla questione, ha commentato come "Non è preciso ma grosso modo i soldi sono quelli".

Non è stata poi fatta menzione del fatto che secondo i dati Cinetel (che è l'organo ufficiale di rilevazione) dal 2003 ad oggi i biglietti staccati sono aumentati e non diminuiti. Mai, nemmeno un anno (l'unica eccezione è stato il passaggio 2007/2008, ma in quel caso, lo dicono gli addetti ai lavori, il calo è stato dovuto al fatto che il 2007 sia stato un anno eccezionale per numero di blockbuster usciti) e allo stesso modo dal 2003 ad oggi le vendite di DVD sono aumentate sempre di anno in anno (dati Univideo). L'unica cosa che è calata (vertiginosamente) è stato il noleggio. Il pirata dunque va anche al cinema e compra i DVD, pure di più che in passato. Cioè, come è normale che sia, più vede film più si appassiona al cinema. Interpellato sulla questione, sempre Filippo Roviglioni ha sostenuto che non sia vero che i biglietti sono aumentati. Informato sulle fonti dei dati ha dichiarato che "Qui si fa un discorso più in generale, in Italia c'è una legge che va fatta rispettare".

C'è stato infine anche spazio per ipotizzare dei possibili rimedi. La FAPAV ha spiegato come la ricerca sia stata fatta per essere uno strumento utile nelle mani del governo, sperando che anche grazie alla commissione da poco attiva si possa giungere ad un rimedio. FAPAV suggerisce una strada decisa sul modello francese. A tal proposito Roviglioni ha raccontato anche dei primi timidi tentativi mossi dalla Federazione: "Un mese fa con un software trovammo un certo numero di persone che scaricavano film e musica. Andammo dal magistrato molto contenti, con nome e cognome, il magistrato ci chiese come li avevamo ottenuti e visto che ovviamente i pirati in questione non erano consenzienti ci disse che rischiavamo di essere inquisiti per violazione della privacy. Siamo andati allora a parlare con il numero due in materia di privacy che ci ha detto solamente come condivida il nostro senso di impotenza e frustrazione".

Nella stessa direzione si è pronunciato il sottosegretario alle comunicazioni Paolo Romani: "Noi in Europa siamo vicini alla posizione francese e al momento l'unico dubbio che abbiamo è solamente se agire prima o dopo l'intervento della magistratura". Si è insomma parlato di "mettere un filtro a questi siti" (sic!) fino a che non sono entrati nella discussione alcuni registi e produttori cinematografici intervenuti alla presentazione, i quali si sono dimostrati di opinione diversa, proponendo in alcuni casi di impugnare soluzioni che sembrano accordarsi meglio all'andamento del mercato.

È stato Paolo Virzì il primo a prendere la parola con una certa verve, difendendo la propria categoria (poi, a presentazione finita ha anche candidamente ammesso di aver calcato la mano perché poi lui è in prima persona è un regista e proprio per questo gli spetta decidere di queste cose). Ha lanciato una forte accusa agli ISP, che ritiene i veri colpevoli: "Un ragazzino paga 50 euro al mese per una connessione a banda larga e quelli sono soldi rubati al cinema!". Il regista di Tutta La Vita Davanti propone di combattere la pirateria senza perseguire chi scarica ma con un'alternativa legale migliore: "Dobbiamo essere noi a mettere online i film di un anno fa, in ottima qualità, pieni di extra e di cose ganze! E devono costare poco, 50 centesimi o un euro".

Ripresa la parola, Roviglioni ha tenuto a prendere le distanze dall'attacco agli ISP e anche dal rimedio giudicato forse appropriato ma comunque in questo momento poco efficace: lo scopo principale sarebbe quello di lottare contro la pirateria.

Anche l'intervento seguente però è andato nella direzione di quello di Virzì, anzi anche più in là, con una proposta ancora più interessante, quella di Enrico Vanzina. Si è espresso a favore dell'azzeramento della finestra distributiva: "Andiamo al cinema, in dvd, in tv e in rete con un film nello stesso momento poi ognuno sceglie come vederlo". Un'idea che ronza da tempo e che in sostanza dà ai pirati esattamente ciò che già hanno ma meglio e ad un prezzo contenuto.

Anche i produttori, rappresentati da Riccardo Tozzi di Cattleya (Mio Fratello È Figlio Unico, Solo Un Padre), si sono detti più che favorevoli a mettere in piedi un'alternativa legale a prezzi modici: "Con i volumi di Internet che volete che ci voglia a farli costare poco?".

Viene da chiedersi dove sia il problema se tutti i produttori di contenuti sono d'accordo. Viene allora in aiuto Warner che fa sapere come si stia già muovendo e molto per la vendita e il noleggio online. Tuttavia i negozi oggi presenti nella rete italiana non accettano sempre di mettere i loro film e di metterli a prezzi contenuti perché mancano le altre case di produzione. L'utente, dicono i venditori, non ha cognizione di quale film appartiene a quale casa e se viene e non trova ciò che cerca pensa semplicemente che il sito non abbia una buona offerta. E magari non torna più.

da PUNTO INFORMATICO del 17/04/09

RECENSIONE Louise Michel

Prima vessate con orari e turni infami e successivamente lasciate senza un lavoro dall'improvvisa chiusura fallimentare dello stabilimento tessile dove lavorano, un pugno di operaie riunitesi per decidere che fare con i soldi della liquidazione optano per la scelta più sensata: usarli per assoldare un killer che uccida il padrone. Ma in una multinazionale non è sempre semplice capire chi sia il vero padrone. Scalcinati, incompetenti, spietati ma incredibilmente determinati a portare a termine il lavoro, un killer della domenica (che in realtà prima era una donna) e una delle impiegate (che in realtà prima era un uomo) saranno disposti anche a viaggiare fuori dalla Francia su una barca di clandestini pur di trovare il vero padrone e farlo fuori.
Questa storia semi-seria (ma esilarante!) di come un pugno di impiegate siano diventate committenti di una strage di funzionari è uno dei film più autenticamente anarchici e surreali dell'anno, una vera commedia di resistenza al vivere civile e sociale che già si fece notare al Festival del Film di Roma. Tutto in essa diventa atto di ribellione ad un ordine anche e specialmente quello che i due poveri protagonisti (per l'appunto Louise e Michel) non intendono certo come tale.
Il ribaltamento sessuale è infatti al tempo stesso dimostrazione della follia delle regole sociali (entrambi cambiano sesso per trovare un lavoro) e tassello di un caos più generale a cui appartengono anche cose il non saper nè leggere nè scrivere, un particolare che nel mondo contemporaneo può anche causare la morte!
Nulla può arrestare le piccole operaie nella loro furia omicida e soverchiatrice delle rigide strutture gerarchiche aziendali. Dovessero anche sterminare tutta la dirigenza arriveranno al responsabile, messaggio reso ancora più chiaro dalla didascalia finali che spiega come Louise Michel sia anche il nome di una nota anarchica francese d'inizio novecento.
I registi Benoît Delépine e Gustave de Kervern sostengono (da anarchici) di non conoscere la tecnica del cinema e di limitarsi a inquadrare ciò che vogliono mostrare, ma non è assolutamente vero. La conoscono e come! Non c'è immagine dietro la cui composizione non stia una profonda riflessione su quale elemento della scena vada sottolineato o dietro alla quale non si nasconda una valutazione morale. Non c'è carrello che non sia indispensabile (per finalità comiche, impressionanti o narrative) e non c'è forzatura del normale racconto che non sia una raffinata deviazione utile a raccontare un mondo (come ad esempio lo sono i brevissimi flashback dei protagonisti). Si divertono con una comicità semplice ma efficace, spesso innescata dal contrasto tra ciò che è in scena e ciò si può solo sentire fuoriscena. E anche quando inseriscono brevissimi momenti sentimentali si tratta di attimi tutti da cogliere, realizzati con grande conoscenza del cinema.

da MYMOVIES.IT

Joanne Colan lascia Rocketboom

Non sentiremo più Joanne Colan dire con il suo splendido accento inglese: "Hi I'm Joanne and this is Rocketboom", da venerdì infatti non è più la presentatrice dello show di Andrew Baron. E se la notizia non vi sconvolge sappiate che è un problema solo vostro.

Che Rocketboom sia lo show in rete più importante in assoluto lo dice il fatto che quando circa 3 anni fa Amanda Congdon, il suo primo storico volto, l'ha abbandonato per dissapori interni, ABC News l'ha subito presa per immetterla nella televisione tradizionale. Un passaggio da nuovo a vecchio medium che all'epoca non aveva precedenti, come del resto ogni cosa che circonda lo show di Andrew Baron.

A quell'epoca a sostituirla arrivò appunto Joanne Colan, volto già noto grazie ad una militanza di anni in MTV UK ("Scandalo! Una della tv che passa alla rete!!"), una ragazza splendida quanto la precedente ma molto più abile, professionale e competente. Eppure, nonostante tutto questo, a molti in Italia la parola Rocketboom non suscita quel sorriso sardonico che si materializzerebbe sul volto di qualiasiasi altro heavy user della rete americano, quel sorriso compiaciuto dato dal condividere la conoscenza di un prodotto intelligente, divertente, apprezzato e seguito da chiunque si intenda di rete o di nuovi format audiovisivi.

Se ancora non avete capito di che si stia parlando potete farvi un'idea di come Rocketboom distrugga e ricostruisca il concetto vetusto di TG immergendolo in rete guardando la puntata di addio di Joanne, messa online venerdì scorso. E' un collage di tanti momenti-Rocketboom. Ne esce un quadro giustamente scanzonato ma sappiate che a margine di tutto questo lo show regala interviste interessantissime ai protagonisti del mondo di internet (perchè davvero ne esiste un altro?), copertura di eventi internazionali e storie che nessuno racconta.

Oggi Rocketboom è una macchina da soldi, ma già nel 2005, ad un solo anno dal suo lancio, era presente nella schermata di prova della nuova funzione videopodcast del iMac G5 durante uno dei seguitissimi keynote di Steve Jobs e nel 2006 contava su 400.000 spettatori quotidiani. Oggi Rocketboom conta diversi spinoff (il più interessante e originale dei quali è Know Your Meme, ha da pochissimo un contratto di sponsorizzazione con Intel e dall'estate scorsa uno di distribuzione con Sony (di cui si sa solo che il gigante tecnologico paga una cifra a 7 numeri).

E ora? Da lunedì a condurre Rocketboom c'è Caitilin Hill, scelta non a caso per come si è fatta notare negli ultimi anni su YouTube. Partendo da una videorisposta ad uno dei primi episodi della serie online lonelygirl15, Caitilin ha lanciato il suo canale TheHill88 dove ha tenuto un vlog arrivato ad essere il secondo canale più sottoscritto d'Australia e il 49esimo in tutto il mondo (una posizione in meno di DiscoveryNetworks e qualcuna in più rispetto alla BBC). Il suo esordio nello show non è stato dei più facili ma è evidente come anni di vlogging in proprio le abbiano dato una sicurezza e una confidenza con il pubblico e lo stile del video in rete, che nessuno presentatore canonico avrebbe (e che ai suoi inizi tempo Joanne Colan non aveva).

Anche questo dà il senso di che cosa sia Rocketboom e soprattutto chi sia Andrew Baron, vera unica mente dietro tutto il progetto. Baron ha messo in piedi da solo il punto di riferimento su come si facciano e soprattutto come si distribuiscano video in rete, tanto da poter contare su amicizie, collaborazioni e assunzioni di prim'ordine. Quando tentò di aprire una divisione sulla West Coast dello show a presentare c'era LisaNova, altra star indiscussa del video blogging (14esimo canale più sottoscritto in assoluto di YouTube nella categoria Director).

Ecco perchè quando ci si stupisce di come da noi manchi qualcosa di simile per mentalità, freschezza, intraprendenza e intelligenza forse sarebbe opportuno stupirsi prima di tutto di come non ci sia conoscenza di quanto accade nel resto del mondo e prodotti come Rocketboom non siano noti quanto dovrebbero.

da WIRED.IT del 22/04/09