20.7.07

Se i film usano internet per farsi pubblicità gratis

Meno di due settimane fa sono iniziate le riprese di Indiana Jones IV e già dal giorno dopo erano diffuse in rete una foto di Harrison Ford vestito nuovamente da Indiana Jones e un breve filmato di Spielberg e Lucas al lavoro sul set. In America è da poco uscito Ratatouille, attesissimo nuovo film d'animazione della Pixar, ma già da molti mesi in rete circolavano foto, disegni, trailer brevi e lunghi e addirittura dieci minuti sani del film. Niente pirateria, si tratta di tutto materiale originale, diventato in rete materiale promozionale senza bisogno di trattamenti o campagne specifiche ma solo grazie alla fama di cui i due film godono già da mesi prima della loro uscita.
Sono solo due esempi, i più recenti, di come internet stia cambiando la promozione cinematografica, specialmente per quanto riguarda le pellicole più attese, i grandi blockbuster e i film che coinvolgono autori o attori di culto, tutte quelle opere insomma che per un motivo o per un altro godono di un certo seguito e di un'aspettativa, almeno da una parte del pubblico, già dal momento del loro annuncio.
Grazie ad internet i fan e gli appassionati possono essere raggiunti a costo zero, sottoponendogli materiale di lavorazione grezzo (foto scattate sul set, brevissimi trailer, piccoli estratti dalle parti già completate del film) per ricordare loro continuamente che la lavorazione procede e l'uscita è sempre più imminente.
Così facendo i grandi studios puntano ad allargare questo tipo di pubblico creando una forte aspettativa nei confronti di una pellicola anche nei soggetti meno informati sul cinema che altrimenti non l'avrebbero assolutamente avuta.
E' quello che è successo intorno alle prime notizie su The Dark Night Returns, seguito di Batman Begins (il fortunatissimo quinto film della saga dell'uomo pipistrello scritto e diretto da Christopher Nolan ed interpretato da Christian Bale), sulla cui trama già si avevano indizi alla fine del film precedente e sul cui cast si è subito cominciato a vociferare. Nulla di tutto questo però è stato paragonabile all'effetto che si è avuto dalla diffusione in rete di una foto di Heath Ledger col trucco di scena da Joker. La particolarità del trucco (per niente glamour ma anzi molto crudo e realista) ha gettato una diversa luce sulle possibilità del film alimentando dibattiti, discussioni, speranze e aspettative non solo da parte dei fan ma anche dei semplici appassionati. Del film se n'è cominciato a parlare e molto, in molte maniere diverse e su luoghi diversi della rete: dai siti ufficiali dei giornali a quelli cinematografici, dai forum specializzati ai blog tematici, fino anche a quelli più generali. Un tipo di pubblicità non ottenibile in nessun'altra maniera e che è il sogno di qualunque produttore.
Tra tutti i modi attraverso i quali si promuove un film in rete questo, che è il più recente, sembra finalmente in grado di coniugare con intelligenza le specifiche potenzialità e caratteristiche della comunicazione su internet con la soddisfazione (sempre parziale) del bisogno di informazione degli appassionati. Cosa che non era assolutamente riuscita a tutte le strategie precedenti (che comunque continuano ad esistere) come i blog tenuti dagli autori durante la lavorazione, i siti messi in piedi per ogni film dove si possono trovare immagini, filmati, suoni e piccole chicche o anche i più tradizionali accordi di sponsorizzazione sui grossi portali e motori di ricerca.
Al momento dunque sembra che nulla come la diffusione di materiale ufficiale sia in grado di far parlare di un film, anche a grande distanza dalla sua uscita. A dimostrarlo è il fatto che in Italia ancora si attende l'uscita in sala di Ratatouille (prevista per ottobre) ma già su internet già si parla di Wall-E, il prossimo film Pixar, grazie alla diffusione di una primissima foto in cui si vede solo un piccolo robot da lavoro con occhi antropomorfi e di un brevissimo trailer che mostra poche immagini del robot intento al suo lavoro alienante con in sottofondo la musica di Brazil, il film di Terry Gilliam del 1984. Pochissime immagini e poche informazioni che tuttavia sono sufficienti, ad un anno di distanza dall'uscita, a scatenare voci di corridoio, teorie e supposizioni sulla trama e il possibile svolgimento del film, sempre in attesa della prossima piccola indiscrezione.

da IL SECOLO XIX del 19/07/07

Vacancy: la serie B di qualità si vede dal racconto

E' tutto nella narrazione
Vacancy si presenta come il più consueto degli horror estivi. Lo dicono tutte le componenti "paratestuali": lo dice la locandina, lo dicono gli attori (noti ma non di primo piano), lo dice il trailer e lo dice la forma della trama.
Una coppia in crisi si ferma in un motel di notte e scopre che in realtà è una trappola mortale gestita da un sadico regista di snuff movies che tortura e uccide davanti alle telecamere i suoi ospiti. Nulla di più classico. Anche i personaggi rispondono in pieno alle figure archetipe: l'uomo troppo sicuro di sè e la donna scossa da un trauma, entrambi pronti a lasciare l'altro.
Eppure Vacancy si discosta moltissimo da qualsiasi altro filmetto estivo per l'approccio che ha al racconto. E' il tipico film di serie B (e in questo caso è un complimento) in grado di raccontare moltissimo delle idee, dei sogni e delle paure dei protagonisti (e per esteso di tutti) attraverso una forma che mette in assoluto primo piano il racconto degli eventi senza concedere mai spazio all'introspezione esplicita ma arrivandoci sempre "di rimbalzo", per induzione dalle azioni dei personaggi.
I segreti di un simile film, i motivi percui pur sembrando in tutto e per tutto come molti altri riesce invece ad andare oltre, sono molti e affondano le radici nel modo in cui il regista Nimròd Antal affronta la narrazione.

Innanzitutto la location
Il Pinewood Motel, il luogo in cui i protagonisti sono bloccati per quasi tutto il film, braccati dai macellai che lo gestiscono, è un vero e proprio personaggio a sè. Ha un carattere, un'architettura particolare (a ferro di cavallo per aumentare il senso di claustrofobia) e una serie di vie di fuga e trappole da scoprire piano piano nel corso del film che lo rendono uno snodo fondamentale per tutto il racconto. Solo con una simile location è possibile portare avanti un'ora e mezza di film in cui succedono sempre cose diverse.
Non a caso non è stato possibile utilizzare una struttura già esistente: “Abbiamo deciso che la cosa migliore da fare fosse costruire il motel secondo le nostre aspettative”, afferma il produttore Lieberman. “Alla Sony sono stati così gentili da concederci il teatro di posa numero 15, che è uno dei più grandi al mondo, consentendoci di ricostruire l’intero motel e la stazione di rifornimento”.
Oltre alle pareti in legno c'è molto vetro nel film, le stanze e specialmente l'appartamento dove la coppia protagonista è prigioniera è stata costruita con molti specchi e pareti di vetro, per dare l'idea di animali in gabbia, visti da fuori ma incapaci di uscire.

Una questione d'illuminazione
A dirigere la fotografia c'è Andrzej Sekula, fotografo di fiducia di Quentin Tarantino, abilissimo con la gestione delle luci e dei colori. E proprio le luci e le ombre sono un elemento portante di tutta la forma del film che non potrebbe avere lo stesso impatto senza le scelte precise che sono state fatte di concerto tra Sekula e il regista Antal.
Non c'è zona grigia in Vacancy, non c'è spazio aperto possibile. Tutte le immagini che si presuppongono svolgersi all'esterno sono avvolte in un buio pesto, in un'oscurità tagliata da netti fasci di luce (la macchina, i neon, le torce), creando una coerenza claustrofobica anche all'esterno.
“Abbiamo potuto girare senza dover fare i conti con la luce del sole e con le condizioni atmosferiche. Avevamo il controllo completo di ogni angolo del set" ha dichiarato il regista. Ed è proprio la parola "controllo" il punto focale. Girare tutto in un set ha il principale vantaggio di poter controllare anche la luce come sarebbe impossibile in veri esterni, e Vacancy si avvale in toto di questa potenzialità, portandola alle estreme conseguenze come lo stesso Sekula spiega: “Non volevamo né riflettere né diffondere la luce. Ho creato come delle chiazze di luce da cui improvvisamente saltano fuori gli assassini. Molto spesso, i personaggi si spostano dalla luce all’ombra e poi di nuovo alla luce”.
Sekula inoltre è anche il creatore delle sequenze snuff che i protagonisti vedono nel videoregistratore della camera d'hotel, sequenze fondamentali. Quello è il momento in cui è chiaro cosa succederà, il punto dal quale nulla sarà più come prima e nel quale è chiaro a tutti (protagonisti e spettatori) che la guerra per la loro sopravvivenza è già cominciata. Le sequenze dovevano non solo essere realistiche e documentaristicamente spaventose ma anche apparire come un prodotto di bassa qualità ripreso da videocamere a circuito chiuso. Per fare questo le macchine da presa sono state piazzate come se fossero vere videocamere a circuito chiuso cioè in modo da riprendere tutta la stanza, senza lasciare buchi possibili. Poi il girato in alta qualità è stato montato e rimontato per farlo sembrare frutto di un vecchio VHS.

Infine il racconto
Ma a tirare le fila di tutto, a differenziare il film dai suoi omologhi di qualità inferiore c'è la narrazione. E' la capacità e la volontà di costruire un racconto che sia totalmente incentrato sull'azione e sul racconto dei fatti, considerando sempre i personaggi come funzionali. E' questo ciò che meraviglia di più in Vacancy.
Il film incornicia in maniera stretta e precisa la terribile disavventura della coppia protagonista, comincia al cominciare dei loro problemi (prima sbagliano strada, poi la macchina dà problemi) e finisce con la fine (per un verso o per l'altro) della caccia all'uomo nel motel. Non c'è prologo e non c'è epilogo, la vicenda narrata non è inquadrata in un contesto storico o sociale particolare, potrebbe essere un qualsiasi luogo di provincia americano in un qualsiasi momento della storia recente. E' il vero incubo, quello che non ha spiegazioni e non ha introduzioni ma comincia con l'angoscia crescente e si interrompe di botto quando non ci sono più motivazioni di angoscia.
Anche il racconto dell'amore tra i protagonisti, cosa solitamente scontata e un po' banale in questo genere di film, è particolarmente convincente e finalmente non è solo un dovere istituzionale ma un piacere che si riserva il regista.
Per finire le figure archetipe, le persone comuni coinvolte in un'esperienza fuori dal comune, tipi da città costretti per la prima volta a lottare per la propria sopravvivenza senza un motivo, sono finalmente solo un punto di partenza e non di arrivo. L'uso di caratteri tipici non è una facile soluzione ma una scelta stilistica. La coppia inizia come tutte le coppie scoppiate del cinema e nel corso del film si riconcilia in una maniera intima e particolare denunciando l'unicità della loro storia.

da MYMOVIES.IT del 19/07/07

16.7.07

Il quinto Harry Potter, una maratona di effetti speciali

Una gara di resistenza
Se i film fossero discipline sportive ogni film della saga di Harry Potter, per l'utilizzo continuo, massiccio e accurato degli effetti speciali, sarebbe una maratona a sè.
Più in evidenza dei film della saga di Il Signore Degli Anelli (dove ad un certo punto molto soluzioni vengono date per scontate) e con più inserti di qualsiasi film di fantascienza (dove come nella vita reale la tecnologia tende a sostituire la magia) i film di Harry Potter ogni volta sono un vero tour de force degli effetti visivi.
Nel cinema molto spesso gli effetti speciali sono utilizzati per realizzare ambientazioni e dare un certo respiro alle situazioni, in un modo quindi che risulta invisibile allo spettatore medio, e solo in qualche caso sono il centro dell'azione e dell'attenzione dello spettatore. In Harry Potter invece gli effetti speciali sono quasi sempre il fuoco della scena, quasi sempre dunque gli occhi del pubblico sono puntati su di loro.
Per questo ogni Harry Potter è una lunga maratona, una gara lunga nella quale non ci si può mai distrarre e nella quale in ogni momento occorre impegnarsi al massimo

Questioni di scenografie e di colori
Per il quinto episodio della saga, Harry Potter e l'ordine della fenice, la regia passa da Mike Newell a David Yates ma rimane immutata l'atmosfera cupa e dark, segno della direzione che ha preso l'evoluzione della saga. Oltre a questo i due episodi sono collegati anche a livello tecnico, molti personaggi e situazioni infatti si ripetono e quindi necessitano del medesimo team tecnico e della medesima realizzazione.
Data l'atmosfera più cupa e seriosa questa volta manca il tripudio di piccoli effetti, piccole magie ed esseri soprannaturali che dominava ogni scena nei precedenti episodi, molto del film è affidato alle scenografie (costruite dal vero e in digitale) e ai colori e meno alle componenti aggiuntive. Le inquadrature sono decisamente meno dense del solito, si opta per un deciso minimalismo, anche nello strutturare quegli ambienti fino ad ora inediti.
Uno dei pochi effetti "episodici" in questo senso è quello della faccia di Sirius Black (Gary Oldman) che appare nel fuoco. La realizzato inizialmente doveva prevedere la fusione di fuoco reale e di una ripresa fatta davanti ad un bluescreen del viso di Gary Oldman, ma dato che era necessario un movimento di macchina si è optato per l'uso del motion capture.
Gary Oldman ha quindi recitato la sua parte davanti a cinque macchine da presa disposte intorno a lui a 180°, le quali hanno catturato i suoi movimenti per applicarli all'animazione del fuoco. Poi per aggiungere credibilità al tutto la superficie del viso è stata mischiata con ceneri e particolari del viso che cadono sul fuoco.

I Dissennatori animati sott'acqua
Una delle realizzazioni migliori del film però possono essere considerati i Dissennatori, le creature dalle fattezze semiumane che agiscono per volere del ministero della magia. La loro realizzazione è stata affidata all'Industrial Light And Magic (sono stati molti e diversi gli studi impiegati nella lavorazione del film), che ha adottato un sistema ibrido. Per dare idea del movimento lento e spettrale dei Dissennatori infatti hanno utilizzato le immagini di un pupazzo ripreso sott'acqua. Queste poi sono state modificate aggiungendo le vesti spettrali animate con un consueto software di animazione per vestiti avendo però l'accortezza di rallentare tutti i movimenti per accordarli a quelli rallentati del pupazzo sott'acqua.
Oltre all'Industrial Light And Magic però il merito va anche ad Alfonso Cuaròn, regista del terzo episodio della saga, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, nel quale questi personaggi fanno la loro comparsa per la prima volta, che per primo ha preso la decisione di rappresentarli come esseri che si muovono molto lentamente e non in maniera frenetica come era previsto da principio. Cuaròn disse: "Questi sanno che ti prenderanno e non hanno la minima fretta. Si muovono lentamente, come fossero dei reali. Una forza inarrestabile".

L'irriconoscibile Ralph Fiennes
Ma il cuore di tutto è chiaramente Voldemort, il signore del male, colui che non può essere nominato, che fa la sua comparsa nell'episodio precedente ma che ha il suo ruolo decisivo anche in questo film.
Voldemort è la classica figura maligna carismatica, la cui comparsa è centellinata perchè meno si vede più è spaventoso. Dunque quando è in scena deve essere all'altezza delle aspettative.
Come spesso è accaduto nella storia del cinema, il male viene reso attraverso una forma umana deforme, una sorta di deviazione dalla normalità che rifletta la deviazione interiore. La base è chiaramente Ralph Fiennes, a cui oltre al trucco vengono applicate delle modifiche in post produzione, come per esempio l'impossibile naso inesistente.
In questi casi lo sforzo è tutto nel creare continuità tra la parte del viso modificata (il naso) e il resto della faccia, continuità nella forma e nel colore. C'erano dunque nasi sudati, nasi raggrinziti, nasi rilassati, illuminati, all'oscuro ecc. ecc. da applicare in tutte le possibili situazioni...

Il castello di Cagliostro, momento fondamentale per Lupin e Miyazaki

Un incrocio di talenti in erba
Il personaggio di Lupin III nasce come eroe di una serie a fumetti scritta nel 1967 da Monkey Punch (il cui vero nome è Kazuhito Kato) ma quello che conosciamo meglio in realtà gli somiglia poco. Il look e il lavoro sono quelli ma è il carattere, gli obiettivi e il modo di perseguirli a differenziarlo dall'originale, questo perchè Lupin ad inizio anni '70 è passato attraverso le maglie dell'immaginazione e delle ossessioni di Hayao Miyazaki, autore oggi di culto ma allora alle prime armi. Gestione della quale Il castello di Cagliostro rappresenta il punto più alto.
Il primo lungometraggio d'animazione di Hayao Miyazaki è infatti una vera perla nel panorama del cinema d'animazione giapponese alla quale hanno partecipato alcuni personaggi che sarebbero poi diventati autori di culto. Si tratta dello sceneggiatore Haruya Yamazaki (Rocky Joe, L'Isola Del Tesoro, Cobra e Capitan Harlock), del grandissimo compositore Yuji Ohno (lo stesso della serie televisiva e assiduo collaboratore anche del maestro Osamu Tezuka), e del direttore artistico Shichiro Kobayashi (che già aveva lavorato per Berserk, Rocky Joe, Kimagure Orange Road, Lamù Beautiful Dreamer e Venus Wars). Un incrocio di competenze artistiche assolutamente fecondo coronato dalla direzione di Miyazaki a quasi 10 anni dall'inizio della prima serie animata alla quale aveva dato vita assieme a Isaho Takahata (Una Tomba Per Le Lucciole).

La trasformazione di Lupin da Monkey Punch a Miyazaki
Lupin III nasce dalle passioni esterofile di Monkey Punch che, molto poco legato al tipo di narratività e di fumetto che si faceva nel proprio paese, cercava ispirazione nei miti europei, in particolare l'Arsenio Lupin di Maurice Leblanc e il James Bond di Ian Fleming.
E dall'incrocio di queste due figure nasce infatti il personaggio di Lupin, vestito all'occidentale con la caratteristica giacca (il cui colore scandisce le diverse serie televisive) e la cravatta con fermacravatta, dotato di carisma, sicurezza in se stesso, abilità manuale e geniale intuito ladresco.
A queste caratteristiche primarie se ne aggiungono altre al momento della strutturazione della prima serie animata ad opera di Hayao Miyazaki e Isaho Takahata (come per esempio la 500 giallo canarino) e una diverso mood, più scanzonato e fiabesco. Aria che si respira a pieni polmoni in Il castello di Cagliostro e che lo rende una vera mosca bianca nel panorama della produzione dedicata al personaggio.
Nonostante infatti siano passati 10 anni dalla serie che aveva diretto, Miyazaki riprende la sua idea di Lupin e la applica nuovamente in un lungometraggio (il secondo per l'eroe giapponese) che si distacca totalmente dai consueti percorsi di Lupin III. La trama più incentrata sulle aspirazioni e i sentimenti di Lupin e meno sul colpo in sè o su tematiche e svolgimenti adulti che lascia in secondo piano tutti gli altri soliti comprimari (Jigen, Goemon, Fujiko e Zenigata), ne sono l'esempio più lampante.

La fortuna di Il castello di Cagliostro
Nel tempo il successo del film è cresciuto a dismisura, ben oltre le aspettative e le intenzioni iniziali degli autori e dei produttori.
Il castello di Cagliostro è stato nominato consecutivamente per 5 anni miglior film dai lettori della rivista Animage e la protagonista femminile, Clarissa, come miglior eroina (questo fino a che non è arrivato il secondo lungometraggio di Miyazaki Nausicaa della valle del vento a spodestare i due record), Steven Spielberg si è dichiarato più volte grandissimo fan del film, immagini di Lupin III tratte da questo film compaiono come citazioni in diversi film e serie televisive, ne sono stati tratti alcuni videogiochi e il successo ha causato il ritorno del regista alla direzione della serie animata per due episodi speciali.
Si tratta di tutti dati che rendono sempre di più l'idea di come Il castello di Cagliostro non sia solo un buon film su Lupin ma qualcosa di più e quasi di altro. Un simile trionfo va oltre il personaggio, specialmente considerando la maniera poco convenzionale con cui questo viene trattato e approfondito nel film. La personalità del regista infatti invade il terreno del ladro internazionale rendendolo più romantico, sognatore e meno cinico e adulto. Il Lupin di Miyazaki è decisamente molto più fiabesco di quello a cui siamo abituati, molto meno materialista, più romantico e sognatore. Non a caso intreccia una storia con la bella ed eterea Clarissa (il tipico personaggio miyazakiano) e non la più classica e provocante Fujiko.

da MYMOVIES.IT

Cemento armato, "Un western metropolitano"

"So cosa significa essere cresciuta nella periferia romana per questo ho subito capito cosa ci voleva per interpretare Asia, una ragazza qualunque che vive in un contesto di teppistelli che fanno bravate in continuazione mentre lei vorrebbe una vita semplice", è una Carolina Crescentini molto lontana dai toni leggeri e briosi di Notte Prima Degli Esami Oggi e della sit-com Boris quella che parla del suo personaggio in Cemento Armato, il film in uscita il prossimo autunno (il 5 ottobre), che riunisce autori e attori della serie Notte Prima Degli Esami.
Oltre a lei infatti i protagonisti del film sono Nicolas Vaporidis e Giorgio Faletti mentre Marco Martani e Fausto Brizzi si sono scambiati i ruoli, la sceneggiatura è sempre scritta a quattro mani (con l'aiuto stavolta di Luca Poldelmengo) ma alla regia è passato Martani.
Ma le similitudini si fermano qui, Cemento Armato è un western metropolitano (come lo ha definito il regista) dalle atmosfere molto lontane dalle commedie sentimentali girate in precedenza dalla premiata ditta messa insieme dai produttori Federica e Fulvio Lucisano e la prima avvisaglia del cambio di registro la dà proprio Carolina Crescentini che si presenta con capelli nero corvino: "Lo voleva il regista, serve per differenziarmi dai miei altri ruoli e poi mi ha anche aiutato a sentirmi diversa".
Nel film Carolina è la fidanzata di Diego (Vaporidis) un ragazzo semplice cresciuto in un ambiente difficile, la borgata, che una bravata fa scontrare con il male puro, un boss della delinquenza locale, un palazzinaro senza scrupoli noto con il soprannome di "il Primario", interpretato da Giorgio Faletti. Non viene svelato molto altro della trama ma è chiaro che tutto ruota intorno all'ossessione che il boss sviluppa verso questi due ragazzi.
Martani sostiene di aver cercato il noir nella Roma delle borgate sia in quelle più belle (Pigneto e Garbatella), simbolo della vita semplice, che nelle più brutte, quelle infestate dagli abusi edilizi e dal cemento armato del titolo, simbolo dell'universo criminale del Primario dove è facile morire e difficile amare e dove verranno inevitabilmente trascinati i protagonisti.
"Asia e Diego sono la tipica coppia di borgata che litigano un giorno sì e l'altro pure, una coppia de core, quelli che vedi in motorino accapigliarsi al semaforo" continua a spiegare Carolina Crescentini, che per interpretare questo ruolo si è soffermata più che altro sui dettagli "Già il film è carico di emozioni, non volevo sovraccaricarlo ulteriormente, per questo mi sono guardata in giro, ho guardato molto i coatti cercando i dettagli e ne ho trovati mille!".
Non si è potuto invece ispirare direttamente a nessuno Giorgio Faletti per il suo personaggio freddo e spietato, uno che si è fatto da solo, che è arrivato ai vertici della cupola e ormai demanda tutto, un personaggio a cui il romanziere/attore ha contribuito a dare forma: "Nelle prime sceneggiature c'erano dei momenti in cui apostrofava una donna riferendosi a lei con delle classiche parolacce da strada ma col regista abbiamo sentito l'esigenza di levarle, perché usarle per lui significa declassarsi. E' il male assoluto e un diamante nero che non si abbasserebbe mai ad usare un frasario da uomo della strada".
Eppure nonostante la fatica di calarsi in un ruolo così lontane dalle sue più classiche performance comiche Faletti ha lo stesso realizzato quello che era un suo sogno: "Ho sempre desiderato fare il pistolero in un western, in questo momento quindi mi sento abbastanza appagato. Non c'è stato il classico duello ma lo stesso il film sembra davvero un western metropolitano".
Di tutt'altro tipo invece il personaggio di Nicolas Vaporidis, finalmente lontano dallo stereotipo giovanilistico del ragazzo impacciato in cui sembrava intrappolato. Nelle sue stesse parole il suo Diego "è uno che vive di estremi, non è un cinico o un calcolatore, non è un eroe nè un killer. E' un ragazzo normale che viene travolto da un destino più grande di lui".

da LA REPUBBLICA del 6/7/07