9.3.07

Per vincere la sfida del tempo Soderbergh bara con il pubblico

L'idea originale alla base di Intrigo a Berlino era dare una prospettiva attuale sui classici di Hollywood, rispondere alla domanda (posta dallo stesso Soderbergh): "Cosa sarebbe successo se i realizzatori che lavoravano ad Hollywood nel 1945 avessero avuto la stessa libertà creativa che abbiamo oggi? Se non ci fosse stato il codice Hayes e avessero potuto come noi girare scene di sesso e violenza?".
La domanda in sé già contiene un anacronismo, perché non era solo il codice Hayes (un codice di autoregolamentazione e autocensura in vigore ad Hollywood dagli anni '30 agli anni '70) a limitare il sesso e la violenza nei film ma, com'è normale, anche la morale dell'epoca (quella cioè del pubblico). Prima del codice Hayes la violenza veniva rappresentata ma non come oggi, lo si faceva in una maniera giudicata inaccettabile solo in quell'epoca ma che adesso faremmo fatica a distinguere dalla violenza edulcorata dal codice Hayes. E lo stesso vale per il sesso.
Dunque in realtà quello che Soderbergh vuole mostrare in Intrigo a Berlino è come in effetti si sarebbero svolte nella realtà quelle storie anni '40, dotate cioè di una violenza e una sessualità non diverse da oggi.

L'ispirazione per l'estetica del film viene principalmente dal cinema noir (su tutti Casablanca, più volte citato durante il film e specialmente nel finale) e da alcuni film ambientati nelle città distrutte dalla guerra come Intrigo internazionale e Il terzo uomo, ma c'è anche molto Hitchcock nel modo in cui è cercata la suspense (e forse è la parte migliore).
Tecnicamente sono state molte le autolimitazioni che Soderbergh si è imposto: l'uso di obiettivi e macchine da presa disponibili anche negli anni '40, riprese fatte in set poveri e integrate con alcune immagini di repertorio girate da registi come Billy Wilder e William Wyler all'indomani della liberazione, un bianco e nero contrastato e a tratti sovraesposto, una recitazione vecchio stile ("Reciti verso la macchina da presa e non lasciando che sia la macchina a cogliere la performance come si fa oggi" ha commentato Geroge Clooney), una colonna sonora vecchio stile e inquadrature d'altri tempi (punti di vista simili a quelli usati da Orson Welles e una composizione delle scene più distante dai corpi).
È tutto "in stile" insomma, ma moderno. Come una statua greca fatta in plastica, anche se il regista preferisce metterla in un altro modo: "tutto ci riporta agli anni '40, ma l'argomento e il linguaggio sono quelli di oggi e la storia stessa è ricca di idee troppo provocatorie per essere affrontate in quegli anni".

Eppure vedendo il film l'impressione che se ne ha è un'altra. Sembra che siano stati presi contenuti moderni e li si sia invecchiati anziché aggiornare un vecchio modo di fare cinema, che è quello che fa (nei suoi migliori exploit) Tarantino. In Pulp fiction (stato dell'arte di questo tipo di cinema) la citazione raggiunge un tale livello di pervasività anche formale che alla fine il film stesso diventa una grossa citazione di un cinema d'altri tempi; un'opera moderna fatta secondo logiche passate.
Intrigo a Berlino invece bara continuamente. Il bianco e nero non è originale (è una pellicola colorata portata in bianco e nero) e le illuminazioni, benché orchestrate secondo tagli di luce come era tipico di quegli anni, sono moderne. Lo stesso dicasi per l'effetto di sovraesposizione e tutto il resto.
Nessuno mai potrebbe scambiare una qualsiasi sequenza del film per una di un vero noir d'epoca. Le inquadrature partono in stile anni '40 ma subito la macchina da presa si muove in maniera vorticosa e assolutamente moderna. Tuttavia più di ogni cosa è la narrazione della storia a non avere niente a che vedere con un film anni '40. Per questo le parti migliori sono quelle più smaccatamente moderne come la discesa di Cate Blanchett nel rifugio del "good german" del titolo originale.

Se infatti il soggetto poteva in effetti calzare, lo stesso non si può dire per l'intreccio e lo svolgimento, troppo complesso e intricato. Soprattutto non si tiene conto del fatto che nei decenni le figure archetipe della narrazione sono cambiate. George Clooney incarna in una storia anni '40 un eroe moderno, non un eroe dell'epoca. Non c'è la spirale di perdizione, non c'è l'universo di sconfitte e nemmeno l'inettitudine, al loro posto ci sono caratteristiche più moderne come l'investigazione (in un modo che nemmeno Chandler si arrischiava a raccontare), il superomismo bondistico e l'assenza di macchie e di paure. E non basta che George Clooney scimmiotti Cary Grant e Cate Blanchett guardi a Marlene Dietrich, anzi, proprio questo costituisce l'essenza della slealtà di Soderbergh verso lo spettatore, che tenta di convincerlo che ci sia un'imitazione di vecchi modelli quando in realtà non è vero.
E se queste caratteristiche prese singolarmente, sfuggono allo spettatore medio, di certo non gli può sfuggire il senso globale. Alla fine la sensazione non è di aver visto un film d'epoca aggiornato ai giorni nostri ma di aver visto un film moderno girato in bianco e nero, in una maniera non troppo dissimile da Schindler's list che tuttavia aveva il pregio di non voler barare, di ammettere da subito e con orgoglio la sua modernità.
A questo punto sembra avere molto più senso un'operazione come quella fatta qualche anno fa da Gus Van Sant che ha preso la sceneggiatura di Psycho di Alfred Hitchcock e l'ha rimessa in scena allo stesso modo, utilizzando le medesime riprese ma variando unicamente su ciò che non è replicabile cioè su elementi come il colore, la recitazione, l'illuminazione, la fotografia ecc. ecc. Come si fa a teatro dove si rimettono in scena opere passate tenendosi in bilico tra fedeltà all'originale e innovazione personale.

da MYMOVIES.IT del 01/03/07

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