22.3.07

Come ho cambiato pelle per girare la morte di Bush

Solitamente è il lavoro dell'attore mettersi nei panni di qualcun'altro, chiedersi come agirebbe, cosa farebbe e quali reazioni avrebbe il suo personaggio di fronte agli eventi che un film mette in scena, ma per Death Of A President è andata diversamente. Questa volta è stato il regista, Gabriel Range, che, per girare quello che deve apparire come un possibile documentario del 2008 incentrato sull'assassinio del presidente George Bush avvenuto a fine 2007, si è dovuto mettere nei panni di volta in volta di un reporter televisivo, di un manifestante che riprende con il cellulare, di una telecamera di sicurezza e via dicendo: "Ad ogni singola scena pensavo 'Chi sono io che tengo la cinepresa?" spiega il regista "Sono un manifestante? Sono un giornalista? Sono un membro della polizia di Chicago?', dovevamo sempre pensare a come questa persona avrebbe usato la telecamera", sta tutto qua il segreto per la riuscita della perfetta illusione di Death Of A President.
In questo modo è stato possibile integrare le reali immagini di repertorio del presidente Bush, accuratamente selezionate per essere coerenti tra loro (immagini in cui il presidente è vestito nella stessa maniera ed alla stessa ora del giorno se è in esterno), con quelle fittizie girate per il film. Il risultato è la ricostruzione in stile giornalistico di un evento che non è mai accaduto, una visita del presidente degli Stati Uniti a Chicago corredata di forti proteste e tumulti che sfociano nell'omicidio.
Il regista si è preparato un anno visionando immagini di notizie televisive per selezionare quelle che potevano essere messe insieme per raccontare la sua storia. Scelte le immagini è stato poi necessario girare tutto ciò che non era riuscito a trovare (le manifestazioni, gli scontri, le azioni della folla e le riprese delle telecamere a circuito chiuso), più alcune interviste ad attori che impersonano uomini e donne vicini al presidente, capi di polizia, manifestanti, agenti dell'FBI, uomini della scorta, nonchè i parenti dell'omicida.
E' stata necessaria una perizia tecnica non comune per invecchiare e rovinare ad arte certe immagini in modo da farle sembrare frutto di riprese scadenti o di registrazioni su VHS di immagini satellitari. Sempre il regista spiega come secondo la sua lunga esperienza nel giornalismo televisivo "nelle conferenze stampa le cineprese sono posizionate così tanto una vicino all'altra che inevitabilmente qualcuno ti dà una gomitata o sbatte sul treppiedi. Così ho scelto deliberatamente di dare qualche scossone alla cinepresa quando ricostruivo in studio le conferenze stampa".
Ma la parte del film (o del reportage che dir si voglia) più politicamente interessante è la seconda, quella che segue il funerale del presidente (inscenato selezionando e tagliuzzando immagini e discorsi dal funerale di Reagan) e che spiega cosa è successo dopo. Il giuramento del vicepresidente Dick Cheney, l'inasprirsi delle misure di sicurezza con l'approvazione del Patriot Act III e le relative maggiori libertà concesse agli organi di controllo e soprattutto la caccia spietata al possibile assassino. Manifestanti ribelli, cittadini di provenienza araba con passati militari e semplici passanti sono sequestrati incarcerati, interrogati, processati e sommariamente imputati dell'omicidio fino a che non si trova il vero colpevole.
Ed è proprio questa parte quella che più ha incuriosito il regista e che lo ha spinto a fare questo film in questo modo: "I documentari retrospettivi seguono uno stile molto particolare, possiedono un genere di gravità tutto loro" in più "siamo una generazione televisiva. Se avviene un incidente catastrofico ne facciamo esperienza per mezzo dei media. E fino a quando non vediamo qualcosa sulla CNN per noi non è del tutto reale".

da IL SECOLO XIX dell'11/03/07

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