Il mai nato e Venerdì 13, horror cittadino e vacanza con carneficina
Ci sono due tipi di film horror: quelli che mirano a portare gli elementi dell'orrore nella quotidianità della vita reale e quelli che invece localizzano l'orrore in un determinato luogo in cui i protagonisti, loro malgrado, lo incontrano.
Il mai nato appartiene alla prima categoria, quella i cui film mirano a creare un mood spaventoso che scardini alcune certezze degli spettatori riguardo la loro vita ma che spesso, proprio per la minuziosa descrizione della quotidianità, sfociano nel ridicolo non riuscendo nel loro intento di mettere in immagini un vivere minacciato dal male.
Non almeno quanto il secondo tipo di film horror, quelli come Venerdì 13 che, mostrando persone normali in contesti straordinari, spesso possono più facilmente spaventare andando a turbare le sicurezze del pubblico senza bisogno di addurre vere ragioni alla persecuzione.
Non c'è nessun mistero negli horror extraurbani ma una disarmante chiarezza d'intenti da parte di un carnefice riguardo il destino delle sue vittime alle quali, nonostante i molti sforzi, rimane la sola possibilità di cercare di procastinare l'inevitabile morte fino alla fine del film.
Vita quotidiana vs. situazione straordinaria
L'horror metropolitano o cittadino solitamente mette in campo forze palesemente soprannaturali e si prende la briga di orchestrare una trama sufficientemente complessa da necessitare un intero film più un intreccio complesso per essere spiegarne origini, intenti e funzionamento.Il mai nato ad esempio tira in ballo religione, nazismo, retaggi passati e molti personaggi accessori che fanno da “traghetto” nel viaggio della protagonista (e quindi del pubblico) verso la comprensione delle motivazioni di quanto stia accadendo, motivazioni che immancabilmente arriveranno entro la fine del film.
Tutte cose assolutamente superflue per l'horror d'ambientazione extracittadina, che non ha bisogno di una trama eccessivamente complessa e al contrario si fonda su alcune dinamiche molto semplici e ripetitive (che sono al centro delle ironie metafilmiche di Scream) più simili ad un gioco ad eliminazione che ad un thriller. Anche in questi film, come Venerdì 13 dimostra perfettamente, una spiegazione anche se esile esiste, ma non è mai un vero mistero, anzi spesso è illustrata all'inizio poiché il cuore di tutto non è la scoperta di ciò che accade ma l'azione in sè: la carneficina.
Se dunque l'horror cittadino si affatica in tutti i modi a spiegare le proprie ragioni, prendendosi la briga di svelare lentamente e progressivamente il male, l'horror extraurbano va dritto al punto e con una motivazione pretestuosa mette in scena un massacro che in fondo non ha vere motivazioni che non siano la messa in scena dell'impossibilità di salvarsi. A dimostrazione di ciò è spesso presente l'università nei film di città (e in questo senso Il mai nato non fa eccezione) come luogo deputato a legittimare scientificamente ciò che accade, come se davvero il film volesse convincere lo spettatore che ciò che accade in scena ha anche un minimo punto di contatto con la vita reale.
Nel film di Goyer anche la religione coinvolta come sistema di contrapposizione tra bene e male in questo senso fornisce un elemento di “realismo”, con i suoi testi sacri, le sue figure mitologiche e le sue basi storiche.
Solo contro tutti
Altro elemento distintivo è il fatto che in città si è soli e fuori da essa in compagnia.
Nonostante la città sia il luogo della società di massa, quello nel quale la gente confluisce in numeri maggiori, essa è anche il luogo della spersonalizzazione e dell'atomizzazione, quello nel quale gli uomini sono soli nella folla, dunque sono soli anche davanti all'orrore. Mostri, fantasmi e demoni li inseguono singolarmente, possono uccidere i loro cari e qualche amico ma stringono con i protagonisti un rapporto esclusivo che non esiste nell'horror campagnolo dove si uccide tutto e tutti in un ordine che non è dettato da un intreccio ma dalle esigenze di suspence della pellicola.
Non ha un nemico particolare Jason ma massacra tutte le allegre compagnie di giovani che si avvicinano al suo territorio, punendoli per il solo fatto di esistere ed essere entrati in contatto con lui. Eì lui quello che è solo e che lo è sempre stato, tanto da fomentare l'odio verso gli altri, specialmente quella categoria a cui un tempo avrebbe aspirato. Ad un livello più alto si potrebbe dire che in tali film a salvarsi sono solo le figure più morali secondo l'etica bigotta, quelle che non fanno sesso promiscuamente, quelli che non si ubriacano e quelli che non fumano marijuana. Quelli in sostanza che non sono giovani nel senso comune del termine. Jason è democratico: massacra tutti. Sono però i registi ad essere bigotti salvando solo quelli che ritengono avere dei valori.
Tutto questo ovviamente non esiste in città perchè i protagonisti sono sempre afflitti da un'esistenza in un modo o nell'altro problematica e quindi nel loro piccolo già eroici e meritevoli la salvezza finale.
Inserire l'orrore in contesti ordinari e straordinari
Con un contesto ordinario l'horror cittadino in ogni momento stempera l'atmosfera di tensione attraverso gesti quotidiani: frequentare palestre, lavarsi i denti, telefonare ad un'amica o andare in cerca di alleati sono tutte pratiche e scene che agganciano la trama alla realtà ogni qualvolta l'apparizione demoniaca sembri sganciarla.
Questa doppia dimensione è molto complessa da gestire perchè dalla sintesi delle due componenti dovrebbe nascere un'atmosfera in grado di mutare la percezione che abbiamo dell'ordinarietà finendo per rendere i gesti quotidiani qualcosa di cui avere timore. E proprio qui Il mai nato fallisce, perchè la realtà con la sua estetica tranquillizzante ha la meglio sui momenti di spavento rendendoli poco plausibili.
Venerdì 13 invece, come tutti gli attacchi immotivati, violenti e ben concentrati in un lasso temporale breve (come abbiamo visto recentemente in The Strangers, horror casalingo ma decisamente extraurbano), non ha nessun punto di contatto con le rassicuranti dinamiche del quotidiano e in questo non teme i ridicolo nonostante metta in scena cose altrettanto poco plausibili (specialmente per quanto concerne l'inarrestabilità del carnefice).
Ecco perchè procedendo per metafora e per allegoria della realtà gli horror che sono ambientati in contesti molto lontani dalla quotidianità riescono a parlarci meglio di essa. Non riuscire a fermare un massacro che avviene in campeggio diventa molto più destabilizzante della meditata lotta contro le forze del male che avviene nel cortile dietro casa.
da MYMOVIES.IT del 24/02/09
23.2.09
L'Oscar? Lo hanno vinto i pirati del web
Quando nella notte di domani a Los Angeles i vincitori degli Academy Awards alzeranno al cielo la statuetta, milioni di persone avranno già scaricato i loro film illegalmente e in ottima qualità.
Dei 26 film in gara per almeno un premio ben 23 sono già reperibili in rete. E anche se molti sono appena usciti nelle sale, la visione pirata non è quella un po' distorta e traballante di chi ha ripreso il film con una telecamera la sera della prima (o dell'anteprima…) ma la migliore qualità possibile, quella del dvd, anche se di dvd in commercio non ce n'è ancora traccia.
La cosa non è normale, ogni buon pirata sa che solitamente i film arrivano in rete prima in cattiva qualità e solo in seguito all'uscita in dvd in versioni migliori: “Occorre fare attenzione perchè oltre alla ripresa in sala un film può arrivare nei circuiti illegali anche grazie a copie di lavorazione messe online da conniventi interni all'industria cinematografica” spiega Marco Spagnoli, giornalista e critico del Giornale Dello Spettacolo, direttore artistico dei Dvd Awards e autore di pubblicazioni sugli Oscar come il libro Big Night.
Come si spiega allora quest'impennata qualitativa? “Non si può dire con certezza, ma esiste l'ipotesi di una fuga di materiale causata dai giurati dell'Academy che per valutare i film ricevono i DVD a casa anche prima che escano in sala”.
Un problema grosso, tanto che in America le associazioni dei produttori stanno prendendo serie precauzioni con controlli da aeroporto all'entrata dei cinema e indagini all'interno delle proprie strutture. Da noi invece non sembra muoversi molto: “Siamo il paese con la maggior quota di download illegali al mondo (20%), eppure non si è mai fatto abbastanza per sensibilizzare i giovani e i professionisti del cinema in questa direzione. L'industria deve guardarsi in faccia e capire chi e perché favorisce un business che in tempi di crisi depriva l'industria di fondi vitali e che favorisce l'illegalità”.
Dei 26 film in gara per almeno un premio ben 23 sono già reperibili in rete. E anche se molti sono appena usciti nelle sale, la visione pirata non è quella un po' distorta e traballante di chi ha ripreso il film con una telecamera la sera della prima (o dell'anteprima…) ma la migliore qualità possibile, quella del dvd, anche se di dvd in commercio non ce n'è ancora traccia.
La cosa non è normale, ogni buon pirata sa che solitamente i film arrivano in rete prima in cattiva qualità e solo in seguito all'uscita in dvd in versioni migliori: “Occorre fare attenzione perchè oltre alla ripresa in sala un film può arrivare nei circuiti illegali anche grazie a copie di lavorazione messe online da conniventi interni all'industria cinematografica” spiega Marco Spagnoli, giornalista e critico del Giornale Dello Spettacolo, direttore artistico dei Dvd Awards e autore di pubblicazioni sugli Oscar come il libro Big Night.
Come si spiega allora quest'impennata qualitativa? “Non si può dire con certezza, ma esiste l'ipotesi di una fuga di materiale causata dai giurati dell'Academy che per valutare i film ricevono i DVD a casa anche prima che escano in sala”.
Un problema grosso, tanto che in America le associazioni dei produttori stanno prendendo serie precauzioni con controlli da aeroporto all'entrata dei cinema e indagini all'interno delle proprie strutture. Da noi invece non sembra muoversi molto: “Siamo il paese con la maggior quota di download illegali al mondo (20%), eppure non si è mai fatto abbastanza per sensibilizzare i giovani e i professionisti del cinema in questa direzione. L'industria deve guardarsi in faccia e capire chi e perché favorisce un business che in tempi di crisi depriva l'industria di fondi vitali e che favorisce l'illegalità”.
da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 23/02/09
16.2.09
Il ritorno del robottino spaziale "Pixar, passione fantascienza"
SUONA come "Wall-e" ma si chiama "Burn-e" e in comune con il robot protagonista dell'ultimo film Pixar ha anche il fatto di essere al centro di un cortometraggio inedito di quelli per i quali lo studio d'animazione è famoso, contenuto nel DVD di Wall-e uscito oggi. Parlando con Alan Barillaro, supervisore all'animazione di Wall-e (e di un'infinità di altre opere dello studio diretto da John Lasseter) si scopre come tutti quanti alla Pixar vadano matti per i robot e che raccontare la storia del piccolo Wall-e che insegue il suo amore attraverso la galassia è stato solo un pretesto per mettere sullo schermo quanti più robot era possibile: "Tutti alla Pixar siamo cresciuti con i film di fantascienza e ora siamo appassionati di questi temi", spiega Barillaro. "Già in Wall-e, nonostante una grande parte del film fosse costituita dalla storia d'amore, c'era anche tutto un lato più geek che aveva a che vedere con il nostro amore per i robot. Evidentemente non ne avevamo ancora abbastanza".
E davvero in Burn-e si percepisce questo amore per le piccole creature tecnologiche. Il corto ideato e diretto da Angus MacLane si svolge contemporaneamente ai fatti raccontati in Wall-e, mostrando la storia parallela di un robot addetto alla saldatura alle prese con incredibili e comiche difficoltà che incrociano le avventure di Wall-e e Eve. Dotato di uno humor e di una cattiveria tipici della grande tradizione dei cortometraggi animati americani, Burn-e è ancora un'altra piccola gemma proveniente dalla Pixar.
"Il segreto è che amiamo fare film e raccontare storie, così facciamo solo i film che vorremmo vedere al cinema", una linea di pensiero che però si potrebbe applicare anche agli studi rivali come la Dreamworks (responsabile per i grandi successi di Shrek, Madagascar e il prossimo Mostri contro Alieni). Che siano allora proprio i corti uno dei segreti della straordinarietà della Pixar? "Facciamo i corti per molte ragioni. Una delle principali è dare ai giovani creativi la possibilità di raccontare una storia, e poi anche John Lasseter ha iniziato con i corti, per questo si tratta di un tipo di processo creativo di cui siamo innamorati".
Un amore ricambiato dal pubblico e dalla critica che quest'anno verrà sancito alla Mostra del cinema di Venezia con la consegna del Leone D'Oro alla Carriera proprio a John Lasseter e a tutti gli altri membri fondatori dello studio, un riconoscimento collettivo come mai era capitato. Il premio non ha mancato di suscitare grande entusiasmo nella compagnia anche se mitigato dalla forte etica lavorativa statunitense: "Siamo veramente eccitati per questo premio e per John, è una cosa molto grande e quando ci sarà la premiazione per un momento ci fermeremo tutti per festeggiare".
La cerimonia dunque interromperà temporaneamente la lavorazione di Up, il prossimo lungometraggio firmato da Pete Docter (già regista di Monsters & Co.), la cui uscita americana è prevista per il 29 maggio e che da noi arriverà con il consueto ritardo in autunno. Ovviamente in tre dimensioni. E' la storia di un uomo anziano che, legata la propria abitazione ad una massa di palloncini tale da farla alzare in volo, viaggia verso il sud degli Stati Uniti per vedere le montagne come avrebbe voluto la sua ormai defunta compagna. Con lui c'è anche un bambino, inavvertitamente salito sulla veranda dell'abitazione al momento del decollo.
Una trama in linea con le grandi imprese da sempre al centro dei film Pixar, ma più di così non si può sapere: "Da quel poco che ho visionato ho capito che si tratta di una delle cose più visionarie ed eccitanti che abbia mai visto. Non posso anticipare molto ma ci siamo dati davvero da fare e ci siamo superati per offrire al pubblico qualcosa di veramente coinvolgente".
da REPUBBLICA.IT dell'11/02/09
E davvero in Burn-e si percepisce questo amore per le piccole creature tecnologiche. Il corto ideato e diretto da Angus MacLane si svolge contemporaneamente ai fatti raccontati in Wall-e, mostrando la storia parallela di un robot addetto alla saldatura alle prese con incredibili e comiche difficoltà che incrociano le avventure di Wall-e e Eve. Dotato di uno humor e di una cattiveria tipici della grande tradizione dei cortometraggi animati americani, Burn-e è ancora un'altra piccola gemma proveniente dalla Pixar.
"Il segreto è che amiamo fare film e raccontare storie, così facciamo solo i film che vorremmo vedere al cinema", una linea di pensiero che però si potrebbe applicare anche agli studi rivali come la Dreamworks (responsabile per i grandi successi di Shrek, Madagascar e il prossimo Mostri contro Alieni). Che siano allora proprio i corti uno dei segreti della straordinarietà della Pixar? "Facciamo i corti per molte ragioni. Una delle principali è dare ai giovani creativi la possibilità di raccontare una storia, e poi anche John Lasseter ha iniziato con i corti, per questo si tratta di un tipo di processo creativo di cui siamo innamorati".
Un amore ricambiato dal pubblico e dalla critica che quest'anno verrà sancito alla Mostra del cinema di Venezia con la consegna del Leone D'Oro alla Carriera proprio a John Lasseter e a tutti gli altri membri fondatori dello studio, un riconoscimento collettivo come mai era capitato. Il premio non ha mancato di suscitare grande entusiasmo nella compagnia anche se mitigato dalla forte etica lavorativa statunitense: "Siamo veramente eccitati per questo premio e per John, è una cosa molto grande e quando ci sarà la premiazione per un momento ci fermeremo tutti per festeggiare".
La cerimonia dunque interromperà temporaneamente la lavorazione di Up, il prossimo lungometraggio firmato da Pete Docter (già regista di Monsters & Co.), la cui uscita americana è prevista per il 29 maggio e che da noi arriverà con il consueto ritardo in autunno. Ovviamente in tre dimensioni. E' la storia di un uomo anziano che, legata la propria abitazione ad una massa di palloncini tale da farla alzare in volo, viaggia verso il sud degli Stati Uniti per vedere le montagne come avrebbe voluto la sua ormai defunta compagna. Con lui c'è anche un bambino, inavvertitamente salito sulla veranda dell'abitazione al momento del decollo.
Una trama in linea con le grandi imprese da sempre al centro dei film Pixar, ma più di così non si può sapere: "Da quel poco che ho visionato ho capito che si tratta di una delle cose più visionarie ed eccitanti che abbia mai visto. Non posso anticipare molto ma ci siamo dati davvero da fare e ci siamo superati per offrire al pubblico qualcosa di veramente coinvolgente".
da REPUBBLICA.IT dell'11/02/09
8.2.09
RECENSIONE Il Curioso Caso di Benjamin Button
Benjamin Button nasce il giorno della fine della prima guerra mondiale, è un bimbo in fasce ma ha la salute di un novantenne: artrite, cataratta, sordità. Dovrebbe morire il giorno dopo e invece più passa il tempo più ringiovanisce. La sua è una vita al contrario che attraversa il Novecento americano sempre alla ricerca del primo e unico amore, una donna molto più emancipata, libera e in linea con il suo tempo di lui. L'unico momento in cui si potranno trovare sarà all'incrociarsi delle loro età: "Mi amerai ancora quando sarò vecchia?", chiede lei. "E tu mi amerai ancora quando avrò l'acne?" risponde lui.
Fincher sceglie di narrare una storia con un espediente classico: a partire dalla modernità, attraverso le memorie di un diario letto alla protagonista ormai anziana e in punto di morte. Fotografa tutto virando verso il seppia e opta per la calligrafia spinta, cosa che ovatta il racconto con l'indulgenza e il fascino di cui sono dotati i ricordi. Il risultato è un'agiografia del passato che vince sul presente (New Orleans ieri e oggi con Katrina alle porte), una prospettiva a ritroso indulgente e favolistica sugli Stati Uniti che non affronta nessun tema davvero e che, cosa bene più grave, manca di emozionare con sincerità.
Benjamin Button ringiovanisce invece di invecchiare ma questo non ha nessun effetto sulla trama nè tantomeno serve a dare una visione particolare degli eventi in cui è coinvolto o della società in cui è inserito, come avveniva invece con la stupidità di Forrest Gump (il paragone inaffrontabile con l'opera di Zemeckis sorge spontaneo data la sostanziale identità della struttura della storia).
Il curioso caso di Benjamin Button sembra chiedersi unicamente "Come si comporterebbe un vecchio con la testa di un bambino? E come un giovane con l'esperienza di un vecchio?", tentando di conseguenza una riflessione sulla morte e sulle possibilità di sfruttare al massimo la propria vita. "Non sai mai cosa c'è in serbo per te" ripete a Benjamin la madre adottiva, evitando accuratamente di citare scatole di cioccolatini.
Gigantesco il lavoro fatto sull'invecchiamento e il ringiovanimento digitali di Brad Pitt, entrambi ottenuti sperimentando una tecnica innovativa di motion capture. Il risultato è evidente: in ogni caso il personaggio è sempre lui, Brad Pitt, anche quando gli somiglia veramente poco. Meno celebrata invece Cate Blanchett che, invecchiata e ringiovanita anch'essa per esigenze di copione, supplisce alla frequente mancanza di digitale con la solita prestazione fuori da ogni ordinarietà.
Fincher sceglie di narrare una storia con un espediente classico: a partire dalla modernità, attraverso le memorie di un diario letto alla protagonista ormai anziana e in punto di morte. Fotografa tutto virando verso il seppia e opta per la calligrafia spinta, cosa che ovatta il racconto con l'indulgenza e il fascino di cui sono dotati i ricordi. Il risultato è un'agiografia del passato che vince sul presente (New Orleans ieri e oggi con Katrina alle porte), una prospettiva a ritroso indulgente e favolistica sugli Stati Uniti che non affronta nessun tema davvero e che, cosa bene più grave, manca di emozionare con sincerità.
Benjamin Button ringiovanisce invece di invecchiare ma questo non ha nessun effetto sulla trama nè tantomeno serve a dare una visione particolare degli eventi in cui è coinvolto o della società in cui è inserito, come avveniva invece con la stupidità di Forrest Gump (il paragone inaffrontabile con l'opera di Zemeckis sorge spontaneo data la sostanziale identità della struttura della storia).
Il curioso caso di Benjamin Button sembra chiedersi unicamente "Come si comporterebbe un vecchio con la testa di un bambino? E come un giovane con l'esperienza di un vecchio?", tentando di conseguenza una riflessione sulla morte e sulle possibilità di sfruttare al massimo la propria vita. "Non sai mai cosa c'è in serbo per te" ripete a Benjamin la madre adottiva, evitando accuratamente di citare scatole di cioccolatini.
Gigantesco il lavoro fatto sull'invecchiamento e il ringiovanimento digitali di Brad Pitt, entrambi ottenuti sperimentando una tecnica innovativa di motion capture. Il risultato è evidente: in ogni caso il personaggio è sempre lui, Brad Pitt, anche quando gli somiglia veramente poco. Meno celebrata invece Cate Blanchett che, invecchiata e ringiovanita anch'essa per esigenze di copione, supplisce alla frequente mancanza di digitale con la solita prestazione fuori da ogni ordinarietà.
da MYMOVIES
Il cinema prepara la rivoluzione
il futuro sarà a tre dimensioni
La buona notizia è che i film in 3D ci sono e piacciono, la cattiva è che è ancora difficile vederli. Nel corso del 3D Day al Future Film Festival di Bologna è emerso infatti che al momento sono 42 le sale italiane pronte per le tre dimensioni, poche rispetto alle 3.000 totali e pochissime se si pensa a quanti e quali film girati in tridimensionale usciranno nel 2009: Up (della Pixar), L’era glaciale 3, A christmas carol (di Robert Zemeckis) e l’attesissimo Avatar (di James Cameron) solo per citare i più importanti.
La copertura del territorio però continua e già per l’uscita pasquale di Mostri contro alieni, il primo cartone Dreamworks pensato e realizzato dall’inizio con tecnologia 3D, le sale dovrebbero essere diventate almeno 60 sulle 600 totali che proietteranno il film. Dunque nel 90% dei casi il film verrà visto in una versione adattata alle tradizionali due dimensioni.
Bisognerà però fare attenzione perchè non si ripetano i problemi di Viaggio al centro della Terra 3D, altro film tridimensionale che era visibile più che altro in versione bidimensionale. In molti dei cinema non 3D infatti non era specificato che si trattasse di una normale proiezione, cosa che ha indotto la gran parte degli spettatori a pensare di aver assistito ad un film in tre dimensioni pur non avendo dovuto indossare gli indispensabili occhialini. In quei casi il commento è stato inevitabilmente: “Non cambia niente!”.
Una pessima pubblicità per una tecnologia che invece dovrebbe servire da cavallo di Troia per l’adozione del digitale (e di tutti i vantaggi distributivi che comporta) anche nelle sale italiane.
Tuttavia, nonostante la scarsa copertura del territorio, lo stesso i primi film in 3D hanno confermato anche da noi i trend positivi registrati nel più maturo mercato americano: quando lo spettatore può scegliere tra vedere un film 2D oppure in 3D in 7 casi su 10 sceglie il secondo e soprattutto i film tridimensionali lasciano soddisfatti, tanto che i loro incassi invece di calare del fisiologico 35% nelle prime settimane calano solo dell’8%.
da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 01/02/09
La copertura del territorio però continua e già per l’uscita pasquale di Mostri contro alieni, il primo cartone Dreamworks pensato e realizzato dall’inizio con tecnologia 3D, le sale dovrebbero essere diventate almeno 60 sulle 600 totali che proietteranno il film. Dunque nel 90% dei casi il film verrà visto in una versione adattata alle tradizionali due dimensioni.
Bisognerà però fare attenzione perchè non si ripetano i problemi di Viaggio al centro della Terra 3D, altro film tridimensionale che era visibile più che altro in versione bidimensionale. In molti dei cinema non 3D infatti non era specificato che si trattasse di una normale proiezione, cosa che ha indotto la gran parte degli spettatori a pensare di aver assistito ad un film in tre dimensioni pur non avendo dovuto indossare gli indispensabili occhialini. In quei casi il commento è stato inevitabilmente: “Non cambia niente!”.
Una pessima pubblicità per una tecnologia che invece dovrebbe servire da cavallo di Troia per l’adozione del digitale (e di tutti i vantaggi distributivi che comporta) anche nelle sale italiane.
Tuttavia, nonostante la scarsa copertura del territorio, lo stesso i primi film in 3D hanno confermato anche da noi i trend positivi registrati nel più maturo mercato americano: quando lo spettatore può scegliere tra vedere un film 2D oppure in 3D in 7 casi su 10 sceglie il secondo e soprattutto i film tridimensionali lasciano soddisfatti, tanto che i loro incassi invece di calare del fisiologico 35% nelle prime settimane calano solo dell’8%.
da LA GAZZETTA DELLO SPORT del 01/02/09
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