4.1.07

Così la magia del digitale ha fatto ballare mille pinguini

Per quanto riguarda il cinema d'animazione il 2006 è stato l'anno più prolifico in assoluto. Mai da "Biancaneve E I Sette Nani" ad oggi erano stati prodotti e distribuiti tanti lungometraggi animati. Eppure solo pochissimi di questi sono stati dei veri successi come è capitato per "Happy Feet".
Il fascino dei pinguini canterini animati in tre dimensioni ha conquistato tantissimi spettatori, forse anche per l'involontario traino fatto al film da "La Marcia Dei Pinguini", il documentario francese che era arrivato da noi con la voce narrante di Fiorello lo scorso Natale. Eppure nonostante le somiglianze dei soggetti i due film non hanno nulla in comune. La lavorazione di "Happy Feet" infatti è stata lunga e problematica, è durata 7 lunghi anni, un arco di tempo nel quale il regista e ideatore, George Miller, ha fatto in tempo a girare un altro film e nel quale è uscito il documentario francese di Luc Jacquet. Lo stesso Miller a tal proposito ha dichiarato: "Per fortuna [La Marcia Dei Pinguini] è qualcosa di molto diverso. Se quei pinguini avessero ballato allora si che me la sarei presa!".
George Miller non è nuovo a film con protagonisti gli animali. Già nel 1998 aveva diretto "Babe Va In Città", ma questa volta lui stesso ha dovuto ammettere che "non sarebbe stato facile addestrare un pinguino a ballare", così ha deciso di optare per un film interamente realizzato al computer, pensando che sarebbe stato molto più semplice.
Le ambizioni di Miller infatti erano molto contenute inizialmente, aveva previsto unicamente inquadrature da lontano non credendo che i suoi personaggi, composti ognuno da 6 milioni di piume digitali, potessero essere realizzati con un'accuratezza tale da reggere un'inquadratura ravvicinata. Ma assieme alla tecnologia, nelle parole di Miller, "anche le nostre ambizioni si sono evolute".
Il primo problema che si è presentato è stato quello del motion capture. Se solitamente la moderna animazione in 3D viene realizzata "catturando" i movimenti di un essere umano e "attribuendoli" ad un personaggio realizzato al computer, in questo caso la cosa non sembrava fattibile. I passi di tip tap di Savion Glover, il ballerino professionista assunto per prestare le sue movenze al pinguino protagonista, erano decisamente troppo rapidi e complessi per essere compresi dai sistemi informatici di 7 o 5 anni fa, molti di questi passi non riuscivano a vederli nemmeno gli animatori stessi ad occhio nudo. E poi era indispensabile catturare i movimenti di più attori contemporaneamente.
Ci sono voluti sette anni ma alla fine della lavorazione informatica il rinnovato sistema di motion capture era decisamente migliorato: "Prima di iniziare la produzione di Happy Feet si potevano raccogliere informazioni in motion capture per appena cinque ballerini su uno stesso set" dice Brett Feeney, supervisore agli effetti speciali, "quando abbiamo finito quel numero era triplicato, potevamo arrivare fino a 17". A questo va poi aggiunto che in alcune scene i pinguini che ballano sono diverse migliaia e ognuno deve avere uno stile personale.
Questo doveva essere il segreto dell'animazione di "Happy Feet", ad ogni personaggio doveva corrispondere un attore diverso che gli prestasse i suoi movimenti, Perchè i pinguini si somigliano molto l'un l'altro ed era assolutamente indispensabile che in qualche modo fossero riconoscibili.
L'animazione computerizzata al momento si presenta dunque come un terreno d'esplorazione, le sue tecnologie non costano molto così molti piccoli studi di produzioni si cimentano nel genere e questo è alla base della sovraproduzione che vediamo e continueremo sicuramente a vedere. Si tratta inoltre di un tipo di cinema che è stato totalmente rinnovato a metà anni '90 dall'approccio della Pixar (il primo studio di produzione a puntare su questo tipo di animazione). Cartoni animati rivolti ad un pubblico un po' più adulto del solito, diversi nello svolgimento più che nelle tematiche, in grado di sollevare un rinnovato interesse sia nel pubblico che nei registi. Un interesse tale da giustificare anche produzioni più economiche e dagli obiettivi più contenuti, un livello medio di film animati che fino ad ora non era esistito e ora prende piede.

da IL SECOLO XIX del 3/01/07

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