18.1.07

Il cinema tutto artigianale di Gondry

Michel Gondry appartiene a quella schiera di registi che sono noti più per la particolarità del loro immaginario trasferito su pellicola che per i contenuti dei loro film. Quei registi che, pur lavorando in generi diversi, sono diventati un punto di riferimento specialmente per come sanno manipolare l'immagine evitando (volontariamente o meno) gli effetti digitali. Un elenco che va da Hitchcock a Michael Powell, da Mario Bava a Tim Burton, fino appunto a Michel Gondry. Una tradizione, come si può vedere, per lo più europea.
Ne L'arte del sogno, conquistata la fiducia dei produttori con i due lungometraggi precedenti (Human nature e Se mi lasci ti cancello), Gondry ha finalmente la possibilità di realizzare un film il cui soggetto principale non è più l'intreccio della trama o il carattere dei personaggi ma il suo immaginario. Nonostante la presenza di una storia, L'arte del sogno è una lunga dissertazione sull'illusione del cinema. "Illusione" perchè è proprio quello l'obiettivo di Gondry. Anche quelle rare volte in cui usa effetti interamente digitali, il regista francese ha sempre lo scopo di ingannare lo spettatore. E questo lo sa bene chi segue il regista francese fin dai suoi esordi nel mondo della pubblicità e dei videoclip, due tipologie di produzione nelle quali Gondry ha potuto esprimere al meglio la sua idea di "fascinazione artigianale" del cinema.
Poco importa che il trucco sia evidente: è proprio di questa percezione della messa in scena che si nutre il cinema di Gondry.

In uno dei molti sogni il protagonista de L'arte del sogno (interpretato da Gael Garcia Bernal) si immagina dotato di grosse mani con le quali picchia i colleghi: è subito evidente allo spettatore che le mani giganti sono estensioni di gomma, ma nell'inquadratura successiva queste mani innaturalmente grosse si muovono perfettamente come mani vere. Per fare questo Gondry ha usato mani di gomma ma, quando queste dovevano muoversi, ha allestito un set in miniatura all'interno del quale le mani reali di Bernal sembrassero gigantesche.
Un altro trucco che ben spiega la visione del cinema del regista francese è uno dei preferiti di Gondry, e sta subito all'inizio del film: una macchina da presa montata su un piatto che gira vorticosamente e sul quale vengono poi versate di volta in volta vernici colorate che la forza centrifuga fa spandere, ottenendo così l'effetto finale di esplosione di colori che accompagna i titoli di testa.

L'immagine seguente poi mostra il protagonista (interpretato da Gael Garcia Bernal) all'interno di un finto studio televisivo fatto di cartapesta, ma incredibilmente funzionante, che spiega come siano composti i sogni. In questa piccola introduzione c'è tutto il succo del film, l'immaginario artigianale, difettoso e romantico del suo autore, fatto di oggetti creati artigianalmente e appositamente difettosi, storti e di fattura scadente perchè (e sono parole di Gondry) "sono più poetici". Ma non sono solo questi oggetti le imperfezioni volute del film. Anche le molte animazioni in stop motion che caratterizzano la pellicola contengono dei grossolani difetti: "Quello che ha sempre in mente è un tipo di animazione molto cruda", spiega Cédric Mercier, uno degli animatori. "Qualcosa che sia contemporaneamente amatoriale ed energetico, così da riflettere il carattere fanciullesco del creatore. Cose che non hanno nulla a che vedere con l'animazione in stile Tim Burton, niente motion control. Ho dovuto addirittura lottare per avere una videocamera test con la quale controllare l'animazione a mano a mano che andavamo avanti. Era solo una telecamera attaccata ad un portatile, ma Michel voleva proprio che il risultato fosse percepito come improvvisato. Addirittura alle volte cambiava la posizione delle luci durante le riprese di un'animazione! E più venivano scadenti più ne era contento".

Neanche a dirlo, il film è girato tutto quanto in 35mm, con l'uso di una particolare pellicola in grado di mantenere costante il grado d'illuminazione, fornita per la prima volta dalla Fuji proprio per le riprese in stop motion. I ritocchi al computer invece sono pochissimi, e utilizzati per lo più per correggere le imperfezioni dell'animazione o dei trucchi dal vero, come la presenza evidente di fili.
Non è stato nemmeno usato il blue screen per gli sfondi. Gondry infatti si è chiuso due mesi nella sua casa di campagna per realizzare con un team tutte le animazioni che sarebbero servite per i fondali ben 6 mesi prima dell'inizio delle riprese del film. In questo modo, nelle scene che lo richiedevano, anzichè far recitare gli attori davanti a una parete blu, ha potuto proiettare direttamente le animazioni sullo sfondo dando la possibilità agli attori di interagirci.

da MYMOVIES.IT del 18/01/07

5.1.07

Tecnologie nuovissime e vecchi trucchi per Apocalypto

"Le comparse costavano così poco e Mel era così ricco dopo il successo di "La Passione di Cristo" che il film è stato girato in una maniera assolutamente non convenzionale, senza nessuna pressione da parte della produzione". Queste parole di uno dei dirigenti della Icon Pictures, la casa di produzione di Mel Gibson, descrivono bene come la lavorazione di "Apocalypto" (costata orientativamente 80 milioni di dollari) sia stata singolarmente libera, capace di tirare fuori il meglio sia dalle nuove tecnologie che dai vecchi trucchi.
Nonostante infatti sia solo al suo quarto lungometraggio da regista Gibson è una vecchia volpe del cinema, ha una visione precisa di quello che vuole mostrare e, potendolo fare, si serve di qualsiasi tecnica gli sia utile. Per questo ha deciso, in accordo con il direttore della fotografia Dean Semler, di girare con uno dei mezzi più innovativi disponibili sul mercato, la videocamera digitale Genesis della Panavision in grado di fornire ad un costo bassissimo una qualità d'immagine paragonabile alla costosissima pellicola a 70mm (utilizzata per colossal come "Lawrence D'Arabia" o "2001:Odissea Nello Spazio").
Al momento però ad Hollywood non tutti stravedono per il cinema girato in digitale, in molti continuano ad affidarsi solo alla tradizionale pellicola 35mm come supporto, ma le cose stanno lentamente cambiando. Se infatti pochi anni fa a girare tutto un film ad alto budget unicamente in digitale erano solo i maniaci della modernità (George Lucas per gli ultimi due capitoli di Guerre Stellari) o gli amanti di quel tipo di estetica (Micheal Mann per "Collateral" e poi "Miami Vice") ora, gli amanti del digitale sono sempre di più.
I motivi sono semplici: le videocamere digitali consentono riprese prima impensabili.
Per questo film è stato possibile realizzare sequenze girate unicamente con la luce naturale dei fuochi anche nella semioscurità (tipica delle foreste dove è ambientato "Apocalypto"), si è raggiunto un livello di dettaglio e di messa a fuoco in movimento mai visti prima ("Correvamo dietro ai nostri attori seguendoli nel mezzo della giungla a 7-8 metri di distanza ed è ancora possibile vedere i dettagli delle foglie e dei cespugli che si muovono e i diversi riverberi della luce!"), una maggiore resistenza a difficili condizioni climatiche e soprattutto il digitale ha consentito di effettuare lunghe riprese senza stacchi. Molti inseguimenti sono stati ripresi anche per 20 minuti senza interrompere, con 4 videocamere che simultaneamente correvano accanto agli attori.
Ma come detto Gibson non si è basato unicamente sulla tecnologia per il suo film, anzi, girare tutto in digitale è stato un modo per facilitare un approccio molto classico alla regia, usando di contro il meno possibile gli effetti speciali. Le quasi 700 comparse che si vedono infatti sono tutte reali e il lavoro di post-produzione al computer è servito per poche cose come cancellare le tracce dei cavi sparsi per la foresta durante le riprese o eliminare le scarpe calzate dai protagonisti quando corrono e il collare che tiene il grosso giaguaro utilizzato in una delle scene più spettacolari. Lo stesso Ted Rae supervisore agli effetti speciali ammette il realismo della sequenza: "Si tratta di un vero giaguaro che insegue un vero attore e non da lontano! E' stato laborioso ma viene davvero mostrato al pubblico qualcosa che non hanno mai visto. C'è un giaguaro da 81 chili che corre 2 metri dietro un attore che a sua volta corre più che può. Niente trucchi al computer, tutto vero".

4.1.07

Così la magia del digitale ha fatto ballare mille pinguini

Per quanto riguarda il cinema d'animazione il 2006 è stato l'anno più prolifico in assoluto. Mai da "Biancaneve E I Sette Nani" ad oggi erano stati prodotti e distribuiti tanti lungometraggi animati. Eppure solo pochissimi di questi sono stati dei veri successi come è capitato per "Happy Feet".
Il fascino dei pinguini canterini animati in tre dimensioni ha conquistato tantissimi spettatori, forse anche per l'involontario traino fatto al film da "La Marcia Dei Pinguini", il documentario francese che era arrivato da noi con la voce narrante di Fiorello lo scorso Natale. Eppure nonostante le somiglianze dei soggetti i due film non hanno nulla in comune. La lavorazione di "Happy Feet" infatti è stata lunga e problematica, è durata 7 lunghi anni, un arco di tempo nel quale il regista e ideatore, George Miller, ha fatto in tempo a girare un altro film e nel quale è uscito il documentario francese di Luc Jacquet. Lo stesso Miller a tal proposito ha dichiarato: "Per fortuna [La Marcia Dei Pinguini] è qualcosa di molto diverso. Se quei pinguini avessero ballato allora si che me la sarei presa!".
George Miller non è nuovo a film con protagonisti gli animali. Già nel 1998 aveva diretto "Babe Va In Città", ma questa volta lui stesso ha dovuto ammettere che "non sarebbe stato facile addestrare un pinguino a ballare", così ha deciso di optare per un film interamente realizzato al computer, pensando che sarebbe stato molto più semplice.
Le ambizioni di Miller infatti erano molto contenute inizialmente, aveva previsto unicamente inquadrature da lontano non credendo che i suoi personaggi, composti ognuno da 6 milioni di piume digitali, potessero essere realizzati con un'accuratezza tale da reggere un'inquadratura ravvicinata. Ma assieme alla tecnologia, nelle parole di Miller, "anche le nostre ambizioni si sono evolute".
Il primo problema che si è presentato è stato quello del motion capture. Se solitamente la moderna animazione in 3D viene realizzata "catturando" i movimenti di un essere umano e "attribuendoli" ad un personaggio realizzato al computer, in questo caso la cosa non sembrava fattibile. I passi di tip tap di Savion Glover, il ballerino professionista assunto per prestare le sue movenze al pinguino protagonista, erano decisamente troppo rapidi e complessi per essere compresi dai sistemi informatici di 7 o 5 anni fa, molti di questi passi non riuscivano a vederli nemmeno gli animatori stessi ad occhio nudo. E poi era indispensabile catturare i movimenti di più attori contemporaneamente.
Ci sono voluti sette anni ma alla fine della lavorazione informatica il rinnovato sistema di motion capture era decisamente migliorato: "Prima di iniziare la produzione di Happy Feet si potevano raccogliere informazioni in motion capture per appena cinque ballerini su uno stesso set" dice Brett Feeney, supervisore agli effetti speciali, "quando abbiamo finito quel numero era triplicato, potevamo arrivare fino a 17". A questo va poi aggiunto che in alcune scene i pinguini che ballano sono diverse migliaia e ognuno deve avere uno stile personale.
Questo doveva essere il segreto dell'animazione di "Happy Feet", ad ogni personaggio doveva corrispondere un attore diverso che gli prestasse i suoi movimenti, Perchè i pinguini si somigliano molto l'un l'altro ed era assolutamente indispensabile che in qualche modo fossero riconoscibili.
L'animazione computerizzata al momento si presenta dunque come un terreno d'esplorazione, le sue tecnologie non costano molto così molti piccoli studi di produzioni si cimentano nel genere e questo è alla base della sovraproduzione che vediamo e continueremo sicuramente a vedere. Si tratta inoltre di un tipo di cinema che è stato totalmente rinnovato a metà anni '90 dall'approccio della Pixar (il primo studio di produzione a puntare su questo tipo di animazione). Cartoni animati rivolti ad un pubblico un po' più adulto del solito, diversi nello svolgimento più che nelle tematiche, in grado di sollevare un rinnovato interesse sia nel pubblico che nei registi. Un interesse tale da giustificare anche produzioni più economiche e dagli obiettivi più contenuti, un livello medio di film animati che fino ad ora non era esistito e ora prende piede.

da IL SECOLO XIX del 3/01/07